mercoledì 5 agosto 2015

                       Il concetto di Arte Marziale nelle pratiche bioenergetiche orientali.
Quando si parla di bioenergetica orientale occorre necessariamente soffermarsi sull'analisi delle Arti Marziali, infatti, le pratiche psicocorporee non occidentali pongono sempre al centro la ricerca costante dell'equilibrio psicofisico, dell'unione mente-corpo, della calma interiore e dello sviluppo di tutte le facoltà umane, di tipo mentale, emotivo e spirituale.
Le Arti Marziali, siano esse cinesi o giapponesi, coreane o vietnamite, possiedono tutte, nonostante le notevoli differenze estetiche e filosofiche, la caratteristica di svolgere un’importante funzione educativa e formativa nei confronti del praticante.
Educativa perché insegnano sempre a rispettare le regole, se stessi e gli altri allievi, formativa perché, grazie alla disciplina e all’esercizio della volontà, è possibile migliorare le abilità individuali e temprare il carattere.
Le arti marziali, infine, fondano i propri insegnamenti sulla ricerca delle virtù, come il coraggio, la saggezza, la pazienza, l’umiltà e la sincerità, incoraggiando a riflettere su temi importanti, come la vita e la morte.
In questa sede saranno prese le distanze dall’impostazione tradizionale delle arti marziali (come ad esempio, l’atteggiamento autoritario dell’insegnante e la strutturazione troppo rigida dei programmi d’insegnamento), lasciando tuttavia inalterate quelle qualità fondamentali che da sempre le contraddistinguono e le rendono uniche. E’ importante riconoscere la funzione fondamentale che queste discipline svolgono nell’agevolare l’integrazione dei ragazzi all’interno dei gruppi, come l’affiatamento e il rispetto reciproco dei praticanti, l’educazione alla cura di sé (del corpo e della mente), difficilmente riscontrabile in altri sport.  
Con lo Judo, ad esempio, alcuni insegnanti hanno fatto esperienze costruttive con bambini e ragazzi affetti da sindrome di Down, aiutandoli ad inserirsi all’interno delle varie squadre e sperimentando con successo la possibilità di stimolarli a svolgere un ruolo attivo nel gruppo.
In questo paragrafo saranno sintetizzati alcuni concetti pedagogici, che serviranno unicamente per introdurre il lettore in maniera chiara all’interno del mondo delle Arti Marziali o, più precisamente, delle discipline che riguardano l’educazione gestuale.
I concetti esposti servono quindi esclusivamente come apparato teorico che utilizzeremo per sostenere la tesi che, le discipline corporee (come alcune arti marziali) possono svolgere un’importante funzione educativa e di crescita individuale.
Prendendo come punto di riferimento il corpo è possibile, in altre parole, entrare in contatto con la sfera più intima delle persone, aiutandole ad uscire dalle condizioni di isolamento, di impotenza e di frustrazione nelle quali spesso si trovano a dover vivere, a causa di circostanze diverse.
L’educazione svolge un ruolo fondamentale nella nostra società; è il volano che consente di trasmettere conoscenze, modelli e abitudini, caratteristici di una determinata società o cultura. Le conoscenze trasmesse sono necessarie affinché l’individuo possa rielaborarle e farle divenire proprie, in modo da costruire e utilizzare gli strumenti utili alla propria crescita personale.
Trisciuzzi a questo proposito afferma:

<<Secondo una visione cara ai filosofi, l’educazione ha il compito di formare coscienze e di costruire il mondo della persona che viene educata. In modo più realistico ed empirico o, se vogliamo rimanere nel campo filosofico, pragmatico, si può affermare  che l’educazione è un sistema informativo e regolativo, diretto a plasmare e formare gli uomini e le loro coscienze [...] essa è il modo in cui veniamo preparati a comprendere la realtà, a interpretare gli stimoli e a controllarli attraverso le nostre risposte. E ad affrontare psicologicamente la realtà sociale e a modificarla. Ma la stessa comprensione della realtà determinata dalla prospettiva in cui l’azione educativa si situa, ossia dal tipo di società e di cultura in cui l’individuo vive .>>  

O ancora,

<<Nel rapporto psico-sociale con l’altro, l’educazione si esprime nel dare sicurezze e nel soddisfare bisogni. Educare vuol dire tendere la mano al figlio o alla figlia mentre oltrepassa la strada; ma anche dirgli che tenga la nostra e ci guidi nel passare da un marciapiede all’altro. Educare vuol dire seguire costantemente i figli, senza sostenerli, lasciando che camminino da sé. Educare vuol dire aspettare che lui o lei sbagli: non anticipare i suggerimenti e tantomeno i rimproveri. Educare vuol dire capire e spiegarsi. Educare vuol dire guardare con amore negli occhi, e sorridere anche con gli occhi. Ma anche cercare negli occhi dell’altro un medesimo sentimento. Non basta amare, occorre dimostrare di amare. Educare vuol dire esporre comportamenti, sviluppare abitudini con l’esempio, non con le parole di raccomandazione o di dileggio. Educare vuol dire proporsi o e proporre livelli di aspirazione; soprattutto attraverso un ambiente che invii messaggi idonei. Educare vuol dire creare l’abitudine alla sicurezza .>>

Secondo Makiguchi, il concetto di educazione è da intendersi come processo fondamentale per la crescita e lo sviluppo degli uomini, il cui scopo deve manifestarsi dai bisogni e dalle necessità delle persone, non dalle idee astratte sradicate dalla realtà, tipiche di molti filosofi.
Il fine dell’educazione è, per Makiguchi, la felicità, ossia, la creazione di una solida coscienza sociale, la quale, si può realizzare solamente andando alla ricerca delle virtù, lontane dai valori vuoti proposti dalle società industrializzate, fondati unicamente sull’accumulo delle ricchezze e sul consumo esasperato delle merci. Makiguchi propone un’attività educativa capace di limitare l’apatia ed il malessere che investono sempre di più le nostre società, ossia, la canalizzazione delle energie umane in processi costruttivi, indirizzando bambini e ragazzi verso un modo di vedere e di vivere la realtà, totalmente incentrato sulla creazione del valore .
La creazione del valore rappresenta il fulcro del pensiero di Makiguchi, infatti, per questi ogni essere umano ha in sé un grande potenziale creativo che deve potersi manifestare; se ciò non avviene, significa che sono presenti condizione avverse che impediscono alla persona di manifestare la propria umanità. L’educazione, allora, seguendo il pensiero di questo autore ha l’importante funzione di orientare l’individuo verso gli scopi e i valori fondamentali, sviluppando un enorme potenziale creativo, in grado di aiutare l’uomo a manifestarsi al meglio; il fine è il raggiungimento della felicità e il riuscire ad apportare valore alla società di appartenenza. La felicità è ottenibile solamente eliminando, attraverso l’educazione, l’apatia e il disinteresse verso la comunità, aiutando le persone a divenire elementi attivi della società, includendo, all’interno del proprio sistema di valori, oltre ai diritti anche i doveri verso la vita collettiva. La felicità, insomma, è raggiungibile attraverso il risveglio della coscienza sociale e, l’educazione, in quanto strumento essenziale per la maturazione e lo sviluppo delle persone, diviene il motore irrinunciabile .
Krishnamurti a questo proposito, ritiene che per trasformare effettivamente la realtà e migliorare la società nella quale viviamo, occorre cominciare a prendere coscienza del fatto che ogni individuo deve essere responsabile delle proprie azioni e a non delegare alla comunità, tutte le colpe e i mali che lo affliggono. L’educazione, allora, svolge una funzione fondamentale di crescita interiore, in grado di guidare l’individuo verso una effettiva conoscenza di sé, ripristinando l’equilibrio fra le diverse tensioni che affliggono l’uomo e che si riflettono di conseguenza nel mondo esterno con la lotta, le guerre, la violenza ecc.
L’educazione, insomma, dovrebbe servire ad esaminare se stessi, non ad imparare nozioni da applicare nelle pratiche quotidiane; dovrebbe aiutare ad approfondire importanti aspetti della vita, come la religione, la paura, il piacere, la morte ecc. Spesso, invece, i precetti educativi mirano esclusivamente a far obbedire le persone alle diverse autorità, soprattutto in campo spirituale. Krishnamurti manifesta tutta la sua preoccupazione per l’educazione moderna che tende ad omologare, a far accettare passivamente le idee e ad ottenere assoluta obbedienza, riferendosi in particolare modo ai giovani che, decidendo di sottostare alla volontà di un Maestro o di un Guru, si rasano la testa, iniziano a vestire in maniera bizzarra e a adottare stili di vita imposti.
La domanda, insomma, è: perché accettiamo l’autorità, come ad esempio quella del Santone che si proclama intermediario di una realtà che solo lui dice di conoscere?
Il problema principale è che l’educazione dovrebbe stimolare le persone a ragionare, ad approfondire in maniera critica la realtà, a smascherare gli impostori che vorrebbero ad ogni costo imporre idee e modi di essere.
Molto è stato fatto per quanto concerne la coscienza della libertà e l’importanza della sua attuazione all’interno di una qualsiasi società civile; tutti sono concordi nel ragionare quando si tratta di politica e di potere mentre altrettanto non si può dire per quanto riguarda la spiritualità, anzi, sembra quasi che sia assolutamente accettabile sottostare, in questo campo, all’autorità di chicchessia .
Insomma, secondo Krishnamurti, l’educazione dell’uomo dovrebbe investire la sfera interiore dell’individuo, aiutandolo a scoprire quale sia il modo di concepire la vita, l’uomo in generale e tutti i problemi che lo riguardano. L’educazione riguarda la trasformazione dell’individuo nella sua totalità, una volta che quest’ultimo si sia appropriato della responsabilità del proprio cambiamento, cessando di delegare ad altri questo compito e smettendo di prestare orecchio ai precetti degli esperti, dei Guru, dei Sacerdoti o dei Santoni.  
L’educazione è lo strumento che permette all’uomo di progredire e di maturarsi socialmente e quindi di cambiare, infatti, come dice Demetrio:

<<Il cambiamento, analizzato sia come bisogno di mutamento dettato da necessità esterne alla volontà degli individui, sia come desiderio di trasformazione indotto dalle istanze profonde dello sviluppo, dell’affermazione di sé e della propria identità, o ancora, come bisogno di emancipazione e liberazione, si configura così come una sorta di archetipo educativo (dal gr.: archetipon: idea esemplare, originaria) e, pertanto, di natura universale (lat.: universalis:caratteristica appartenente ad ogni cosa, uomo, fatto)>>.      

Continuando con il processo di cambiamento, poco più avanti, troviamo:

<<Chi si educa cambia e chi cambia vive un processo educativo. In altri termini: non c’è educazione senza cambiamento e cambiamento senza educazione. >>

Lo scopo dell’educazione è quello di attivare negli individui la necessità di modificare il proprio comportamento al fine di cercare modalità diverse e più utili per il raggiungimento dei propri scopi, senza nessun tipo di obbligo o di condizionamento esterno.
 Importante è anche il contributo che ci deriva dall’approccio con la corrente fenomenologica e, soprattutto, con quella proposta dalla Pedagogia di Piero Bertolini, il quale, trattando le problematiche riguardanti la categoria dei <<ragazzi difficili>>, ritiene fondamentale considerare le visioni particolari del mondo, tipiche di ogni soggetto, che sono spesso elaborate in seguito a determinate esperienze, non sempre formative e costruttive.
Ogni individuo costruisce la propria particolare visione del mondo, in base alle esperienze vissute e al contesto con il quale si trova a dover interagire di volta in volta. Il problema si viene a delineare quando il soggetto assume ingenuamente quella determinata versione del mondo come se fosse realmente il mondo ed è per questo che occorre un adeguato intervento educativo, in grado di eliminare questa assunzione immediata ed incontestabile della realtà.
L’intervento educativo mira, in sintesi, a rendere consapevole il soggetto del ruolo da protagonista che svolge nella costruzione della propria visione del mondo e, allo stesso tempo, della relatività di ogni punto di vista che adotta, aiutandolo gradualmente a prendere coscienza della responsabilità che assume nei confronti di se stesso, in questo processo di costruzione della realtà.
L’azione educativa serve, insomma, ad aprire nuovi orizzonti di possibilità, a rompere le solite modalità di pensiero, perciò, anziché accettare il dato esterno come ovvio, il soggetto deve riuscire ad intenzionare attivamente la realtà, una volta risvegliata la consapevolezza di non essere soggetto passivo nel mondo.  
Una volta acquisita la consapevolezza di essere parte attiva della società, l’individuo prenderà coscienza del ruolo principale che svolge nella costruzione della propria visione del mondo e della responsabilità che deve assumere in questo processo di attribuzione di senso alla realtà. Responsabilità che si rifletterà, poi, necessariamente nella vita di tutti i giorni, nelle azioni e nelle parole del soggetto.
Educare vuol dire allora aiutare l’individuo a divenire consapevole della sua possibilità di autonomia e dei suoi limiti, della sua autodeterminazione e, allo stesso tempo, della responsabilità che comporta il divenire elemento attivo nel mondo, insieme con gli altri.
Divenire soggetto attivo e responsabile significa riuscire a controllare la realtà che ci circonda, eliminando quella visione del mondo troppo riduttiva, che rende incapaci di reagire, passivi di fronte agli avvenimenti esterni e incapaci di intervenire in maniera efficace alla costruzione della realtà.
Il fine ultimo dell’educazione è, allora, riassumendo quanto detto finora, la capacità di trasmettere modi di fare e di pensare che aiutano l’individuo ad uscire dalla propria condizione di disagio, aprendosi al mondo con determinazione e responsabilità; modificando i propri schemi mentali restrittivi e spesso inadeguati, il soggetto prende coscienza di una nuova realtà, imparando a relazionarsi ad essa in maniera più gratificante e costruttiva. Tutto questo non può che produrre nell’individuo un senso di appagamento e di gratificazione, dovuto alla sensazione di crescita e di cambiamento.
Quale sia, allora, il rapporto tra educazione gestuale e felicità, lo vedremo nei prossimi paragrafi.

2.2 Arte Marziale: verso una possibile definizione

Non è facile dare una definizione precisa del termine “Arte Marziale” perché molti sono gli elementi che lo costituiscono e che occorre tenere presenti per poter trattare  l’argomento in maniera seria e approfondita. Lo sforzo della definizione, d’altra parte, è necessario se vogliamo iniziare a mettere ordine fra le idee. Il significato di una parola, infatti, non può che essere unico e, una volta stabilito, rimanendo sempre attinenti a quella particolare definizione, avremo modo di arrivare ad una conclusione univoca della nostra trattazione. La definizione ci aiuta, così, a superare o almeno a ridurre, la potenziale vaghezza del termine in questione e a stabilire l’ambito della sua applicabilità.
La storia delle arti marziali è lunga e complessa; per quanto concerne la tradizione delle discipline giapponesi troviamo un grande insieme di metodi, forme ed armi, che determinano particolari specializzazioni, le quali, indicano il modo con cui devono essere eseguiti certi movimenti. Ogni stile fa un uso specifico delle armi, dei movimenti a mani nude ed ha una propria filosofia di base .
L’aggettivo marziale, in ogni modo, è sempre legato alle azioni militari e quindi finalizzato alla guerra e alla sopraffazione.
Anche H. Reid e M. Croucher, concordano con il fatto che le arti marziali, sin dalle loro origini, avessero finalità combattive e fossero un insieme integrato di movimenti aggressivi, come colpire, graffiare, picchiare con mani aperte o chiuse, calciare, ecc.
L’evoluzione delle arti marziali, nel tempo, rappresenterebbe una selezione di sistemi sempre più rapidi ed efficaci per riuscire ad annientare il nemico.
   Claudio A. Regoli, nel suo libro “Il manuale completo del Kung Fu”, fa una distinzione importante nell’ambito delle discipline cinesi, suddividendo gli stili <<Interni>> (Wai Chia) da quelli <<Esterni>> (Nei Chia); i primi enfatizzano estremamente l’allenamento fisico, la forza e la velocità, sempre con un occhio di riguardo per il combattimento, i secondi, invece, si concentrano maggiormente sull’ascolto interiore e sullo sviluppo dell’energia interna attraverso meditazioni, movimenti lenti e particolari respirazioni. La suddivisione riportata, comunque, non è così netta come potrebbe sembrare, ha solamente una funzione esemplificativa, infatti, nella pratica le due diverse concezioni tendono ad interagire, quindi, con l’allenamento assiduo degli stili esterni, è possibile raggiungere risultati apprezzabili anche in termini di energia interna .
  Ecco allora, che l’arte marziale, da disciplina finalizzata al combattimento, comincia ad assumere anche un altro importante significato, ossia, quello di mezzo o strumento per educare la propria interiorità.
Wong Kiew Kit, nel suo libro “Shaolin Kung Fu”, ritiene che, pur essendo l’autodifesa lo scopo principale del Kung fu (in assenza della quale avremmo solo uno sterile esercizio fisico), esistono allo stesso tempo altri aspetti che riguardano i benefici, come, ad esempio, la salute fisica e mentale, la formazione del carattere, l’educazione della mente e dello spirito .
Sviluppando quest’ultimo punto, Wong Kiew Kit pone l’accento sull’importanza di alcune pratiche (come ad esempio il Tai Ji Quan), che hanno l’obiettivo di espandere la consapevolezza dell’individuo, aiutandolo nella sua ricerca e comprensione dei misteri del cosmo e della vita, in accordo con i dettami della filosofia taoista, che mira all’educazione spirituale dell’uomo.
La comprensione e la sapienza raggiunti, precisa l’autore, non sono puramente intellettuali, infatti, essi sono sempre legati all’esperienza diretta dei diversi livelli di realtà o coscienza, che l’apertura mentale permette di raggiungere, attraverso una pratica assidua ed una consapevole progressiva della disciplina marziale .
Keith R. Kernspecht, uno dei maggiori conoscitori delle arti marziali del mondo, nel suo interessantissimo libro “Logica del combattimento individuale”, spiega l’importanza della filosofia per una corretta comprensione delle arti marziali citando tre correnti di pensiero fondamentali: il confucianesimo, il taoismo ed il buddismo.
Le tre filosofie esposte vengono da noi prese in considerazione perché sono veramente importanti per una corretta comprensione di ciò che noi vogliamo, in questa sede, intendere per “Arte Marziale”.
Il confucianesimo ha in sé dei valori pedagogici che non possono essere ignorati e che si basano essenzialmente sul rispetto reciproco fra insegnante ed allievo, sull’autodisciplina, la responsabilità delle proprie azioni e sul continuo miglioramento di se stessi.
Il taoismo è una corrente di pensiero che aiuta a comprendere l’armonia tra gli opposti e l’importanza del saper cedere di fronte ad una forza (di qualunque natura essa sia), maggiore della propria. Il taoismo è una filosofia di vita pratica che non accetta la contemplazione delle formule scritte ma richiama l’uomo ad esperire in prima persona la realtà, per poter veramente arrivare alla conoscenza. Il principio fondamentale è quello di imparare a vivere seguendo le leggi della natura e, di conseguenza, a non opporsi a queste, anzi, sfruttando le forze esterne che spesso ostacolano il cammino di ognuno, è possibile riuscire a vivere in armonia con se stessi e con gli altri, manifestando le proprie energie vitali in maniera libera e creativa.
Il Buddismo-Chan è, invece, una filosofia di vita che insegna la precarietà dell’esistenza, la sofferenza come costante del cammino umano, che tutto scorre e prima o poi cessa di esistere; le soluzioni che vengono proposte riguardano, in primo luogo il cessare di desiderare per smettere di soffrire, seguendo le regole del giusto vivere, ripudiando il mondo delle illusioni.
La scuola del Buddismo-Chan insegna, infatti, che l’uomo ha il compito di ricercare in sé la propria essenza attraverso la meditazione e che questa è raggiungibile solamente dopo aver abbandonato la pretesa di poter comprendere il senso dell’esistenza attraverso il pensiero razionale.
L’influenza del buddismo-Chan nelle arti marziali cinesi è particolarmente evidente durante l’allenamento, dove i progressi in termini fisici sono ottenibili soltanto con la sopportazione del dolore, della sofferenza e con il giusto atteggiamento mentale .
Tae Yun Kim famosa insegnante di Arti Marziali, nel suo libro “Potere interiore”, dà alcuni suggerimenti interessanti per riuscire a sviluppare e manifestare la propria energia creativa;
l’autrice elenca sette princìpi fondamentali, da seguire secondo quest’ordine:
1. corpo e mente come un unico insieme, nel senso che occorre considerare le due unità come diverse manifestazioni della medesima energia creativa e che scinderle significa soltanto perdere l’occasione per raggiungere la verità. Dire che corpo e mente sono un’unità significa raggiungere con determinazione e concentrazione la possibilità di realizzare le proprie aspirazioni nella maniera più efficace.
2. Verità significa riuscire a fare chiarezza in se stessi, identificando paure, debolezze e punti di forza; per verità l’autrice intende le idee autentiche, quelle cioè che riguardano la bellezza, l’amore, la forza, la saggezza, la lealtà ecc., e che sono tutte presenti dentro di noi. Le debolezze, le paure, i pensieri negativi, non sono altro che il risultato delle idee errate che abbiamo maturato sul nostro modo di essere.
3. Purezza vuol dire riuscire a scoprire la nostra unicità, eliminando gli elementi estranei che ci limitano e ci rendono inautentici; queste sostanze inquinanti sono rappresentate dai sentimenti negativi, come rabbia, frustrazioni, nervosismo, ecc. La condizione di purezza è data esclusivamente dall’espressione di energia e dalla consapevolezza che siamo individui completi ed integri.
4. Amore significa riconoscere e sperimentare verso se stessi il rispetto, la lealtà e la stima necessari; rappresenta la verità che l’uomo deve riconoscere in sé e nel mondo esterno. Solo attraverso questa consapevolezza l’individuo può sperimentare un autentico sentimento di amore.
5. Lealtà rappresenta un supremo atto di amore nei confronti di se stessi; è un atto di gratitudine nei riguardi di un’idea che, essendo riconosciuta, è destinata a prendere forma e a manifestarsi.
6. Sacrificio significa abbandonare determinati stati mentali per far posto ad altri; vuol dire eliminare le proprie paure e debolezze affinché possa fiorire l’autentico amore per se stessi e manifestarsi in maniera autentica e progressiva.
7. Pazienza è l’elemento necessario affinché qualsiasi processo realmente creativo e formativo possa manifestarsi; vuol dire comprendere la realtà delle cose e attendere che questa si manifesti .
Nelle pagine successive, il Maestro Tae Yun Kim, mostra il rapporto che esiste tra i diversi livelli di consapevolezza interiore e l’allenamento fisico di tipo marziale, affermando che solo mediante questa sintesi è possibile sviluppare in maniera completa, la mente, il corpo e la loro intrinseca unitarietà.
L’allenamento fisico, afferma l’autrice, è un mezzo per imparare a superare i propri limiti e per testare se stessi, le proprie capacità e il livello di progresso interiore raggiunti. L’allenamento marziale rappresenta un sistema di combattimento verso le debolezze e le paure soggettive, un’incessante lotta verso la consapevolezza che, in realtà, non siamo limitati e che per cambiare occorre riorganizzare gradualmente il proprio modo di pensare.
L’allenamento marziale è, infine, capacità di osservare la realtà delle cose e coglierne le essenze, nonché meditazione in movimento, ossia, capacità di penetrare negli strati più profondi della coscienza e risvegliare la consapevolezza. Questo obiettivo è raggiungibile attraverso il movimento unito alla meditazione, infatti, il soggetto può realmente “intenzionare” ogni gesto e riscoprire l’autentica forza che si libera attraverso la comunione della mente con il corpo.
Al di là dell’essere concordi o meno con quanto sopra esposto (queste indicazioni potrebbero apparire a qualcuno troppo simili ad una ricetta del vivere bene) è importante sottolineare come, il concetto di Arte Marziale, da semplice sintesi di tecniche letali, vada progressivamente trasformandosi in un sistema di autoanalisi, di introspezione e di miglioramento delle proprie capacità fisiche, mentali e creative.
Spostando adesso l’accento su “Arte” e mettendo per un attimo in ombra il termine “Marziale”, riportiamo integralmente una bellissima affermazione del M° B. Lee che è veramente degna di considerazione e di riflessione:

<<L’arte è la via che porta all’assoluto e all’essenza della vita umana. Scopo dell’arte non è la promozione unilaterale dello spirito, dell’anima e dei sensi, ma l’apertura al ritmo vitale del mondo della natura di tutte le facoltà umane: del pensiero, dei sentimenti e della volontà. Così potrà essere udita la voce senza voce, e l’io entrerà in armonia con essa>>.

L’Arte rappresenta la via per aprirsi alla realtà e per la comprensione della vita stessa; abbiamo raccolto un altro elemento importante per arrivare ad una definizione del termine “Arte Marziale”, utile a circoscrivere l’ambito nel quale vogliamo cominciare a fare un po’ di luce.
Se mettiamo fra parentesi il termine “Arte Marziale” e lo scomponiamo nei suoi elementi costitutivi più caratteristici, otteniamo:
. sistema particolare in grado di esercitare un forte fascino  sulle persone (come tutte le discipline orientali)
. metodo efficace di autodifesa e di promozione della salute
. sistema  capace di sviluppare forza, abilità e resistenza
. metodo integrato di filosofia, psicologia ed educazione fisica capace di far avvicinare le persone verso altre culture
. particolare forma di espressione, assimilabile per molti versi al teatro e alla danza
. sistema che aiuta a prendere coscienza di sé, a gestire paure ed ansia e a superare ostacoli di natura emotiva
. sistema che insegna a progredire interiormente, sviluppando stati mentali positivi, come la pazienza, il rilassamento, l’autocontrollo, ecc.
. metodo formativo che aiuta a sviluppare, fin da piccoli, la disciplina, l’umiltà, la capacità di ascolto, la determinazione, la costanza, la tolleranza
.sistema ricco di riferimenti filosofici che stimolano il praticante ad acquisire autonomia di pensiero, ad espandere la coscienza e a meditare sulla realtà
. metodo di crescita spirituale.
 Una volta effettuato il sezionamento, occorre iniziare una riduzione e sospendere il giudizio su alcuni attributi dell’Arte Marziale stessa. Dobbiamo, in poche parole, eliminare quegli aspetti che, seppur importanti, renderebbero l’argomento troppo ampio e difficilmente circoscrivibile.
Poiché il concetto che a noi interessa approfondire riguarda prevalentemente la formazione, la cura di sé, la crescita e l’educazione interiore dell’uomo, siamo costretti a mettere in ombra alcuni elementi, primo fra tutti, quello del combattimento e della difesa personale.
Questa riduzione è dovuta al fatto che oggi, esiste proprio un settore specifico di studio che prende il nome di Discipline da Combattimento, centrato esclusivamente sull’  autodifesa aggressiva. L’autodifesa aggressiva è un sistema non sportivo  che si orienta totalmente verso la ricerca dei sistemi più funzionali per lottare in maniera rapida ed efficace. I metodi di Autodifesa Aggressiva prendono nomi diversi in base alla scuola di appartenenza, comunque, la filosofia che le accomuna è  l’impostazione sperimentale tecnica che i praticanti adottano per riuscire ad avere la meglio in situazioni di pericolo e nei combattimenti per strada .
I praticanti di queste discipline si occupano di ricercare e di evolvere continuamente il proprio bagaglio di conoscenze tecniche ed hanno un unico obiettivo: migliorare con l’allenamento l’efficacia e la funzionalità del proprio metodo.
Questo tipo di approccio è totalmente orientato verso conoscenze di natura biomeccanica e fisica, cercando di sviluppare una grande capacità di autocontrollo in situazione di stress, tralasciando di aspetti maggiormente legati all’espressività e alla creatività del soggetto . Il motivo per cui vogliamo escludere il concetto dell’autodifesa e del combattimento dalla nostra indagine, deriva dal fatto che, l’unico obiettivo che desideriamo raggiungere, è l’assenza di finalità specifiche, come vincere un torneo, sconfiggere un avversario, ecc. La sola cosa che realmente interessa è sviluppare la capacità di esprimere se stessi in maniera sincera e autentica, attraverso un percorso di liberazione progressiva dagli ostacoli o condizionamenti, di natura psicologica e fisica.
Un altro aspetto da eliminare è quello legato alla salute e alla cura di alcune malattie (come certi artisti marziali pretenderebbero di fare), senza avere nessuna competenza in ambito medico. Questa scelta è necessaria, non perché la ricerca della salute fisica non sia importante, ma perché preferiamo far rimanere le Arti Marziali all’interno della loro categoria di appartenenza, quella formativa, anziché rischiare di cadere nelle trappole ideologiche tipiche di molte scuole del “dolce” e del “naturale”, che vorrebbero inserire le Discipline Marziali in un contesto di medicina alternativa.
Un ultimo aspetto da eliminare è quello “troppo” inerente alla spiritualità o, per meglio dire, all’esoterismo, alle formule alchemiche e a tutto ciò che riguarda il soprannaturale ed il fantastico. Questo passo è necessario al fine di non cadere nell’errore di inquadrare la disciplina all’interno della categoria ”Esoterica”, relegando il tutto ad una dimensione discorsiva e speculativa. La pratica assidua, le movenze, tutta la dimensione corporea, assumono una posizione centrale nell’educazione gestuale e non possono essere soppiantate in nessun caso dai racconti o dalle discussioni sulla natura trascendentale delle Arti Marziali.
Dopo anche quest’ultima riduzione, allora, cosa rimane dell’Arte Marziale?
Semplicemente una struttura formale vuota, un insieme integrato di movimenti che non ha di per sé un significato ma che può acquistare valore e senso solamente attraverso l’intenzione soggettiva.
In sintesi, non esistono movimenti significanti di per sé ma è il praticante che attribuisce valore e senso a ciò che fa.
 La struttura formale vuota può essere, allora, arbitrariamente “riempita” di senso, attribuendogli valori e significati precisi.
L’Arte Marziale, a mio avviso, rappresenta un reticolato categoriale in grado di ordinare l’esperienza (soggettiva); è una forma ideale che permette di selezionare e filtrare le diverse conoscenze acquisite attraverso la pratica. Ma questa “forma a priori” non è distaccata dal tessuto sociale culturale dell’individuo, anzi, è integrata con i modelli ufficiali e socialmente accettati, pronta ad integrare tutto ciò che rientra nel proprio orizzonte storico- culturale.
L’Arte Marziale è una forma culturale organizzata, socialmente accettata e di natura flessibile, aperta e dinamica, sempre pronta nuovo innesti e a rotture anche se mai definitive. L’Arte Marziale è un prodotto storico mutevole dove l’esperienza soggettiva non è mai totalmente privata ma va a partecipare e ad inserirsi in un contesto più ampio, partecipando ad una realtà culturale obiettiva dove le forme si universalizzano e comunicano le diverse esperienze.
L’Arte Marziale non è mai un fatto totalmente privato ma non è neppure mera ripetizione degli schemi classici, forse potremmo rappresentarla come universalità dei fatti, limitata, appartenente ad un tradizione, al costume e al consenso del gruppo. In sintesi la categoria formale dell’Arte Marziale non è mai del tutto individuale ma non si può neppure identificare con le convenzioni storiche e sociali; essa rappresenta quella realtà multiforme che si è venuta a creare nei secoli attraverso tensioni e sviluppi, passando dalla cultura orientale fino ad approdare (non senza interpretazioni, censure ed arricchimenti) a quella occidentale. L’Arte Marziale è un reticolato di forme a priori dove il soggetto non viene messo in ombra ma assume una posizione attiva e partecipante, artefice e costruttore di conoscenze e di oggetti culturali .  
L’Arte Marziale la possiamo considerare come un mezzo di espressione del soggetto (storicamente e socialmente collocato), che permette di manifestare sentimenti e stati d’animo; un insieme di movimenti arbitrariamente organizzato, frutto del proprio modo di essere, di sentire e di vivere la realtà.
Attraverso la pratica marziale il soggetto si apre a se stesso, impara a sentire e a gestire il proprio corpo in maniera creativa e responsabile. Nell’Arte Marziale il soggetto è tutto, infatti, senza la centralità del praticante, la manifestazione artistica non avverrebbe; è lo studente che, di volta in volta, crea e distrugge, sperimenta e modifica, scompone e sintetizza. Una vera e propria novità, questa, poiché in tutte le Arti Marziali, la disciplina esiste a prescindere dal praticante; in questa sede, invece, il processo si ribalta: non è la disciplina che fa l’uomo ma è l’uomo che la crea, arbitrariamente e al di fuori di qualsiasi codificazione e schema prestabilito (pur rispettando i limiti, le condizioni della propria cultura e del periodo storico  nel quale si trova inserito).






2.3 Arte Marziale o Educazione Gestuale?

Abbiamo precedentemente appurato che è l’uomo che crea il processo artistico e non viceversa, tuttavia, ad una domanda non abbiamo ancora dato risposta: che Arte Marziale è, una disciplina che non ha a che fare con il combattimento, con l’autodifesa e che mette in discussione il concetto stesso di disciplina?
Effettivamente il nostro discorso sull’importanza della spontaneità dei movimenti, sull’espressione di sentimenti come rabbia, euforia, gioia, tristezza, ecc., potrebbe dare l’impressione che, ciò di cui stiamo parlando, riguardi più l’educazione gestuale o alcune specialità della danza, che non le Arti Marziali.
Le similitudini fra la danza , le Arti Marziali e l’educazione gestuale sono molte e non possiamo non essere d’accordo con la Orlic, quando afferma che

<<Il gesto è la materia prima dello psichismo. Quest’ultimo consiste nello stato di tensione in cui si mette l’organismo che si prepara all’azione e anche nell’anticipazione dello schema di questa azione, per il riferimento a modelli attuali o precedenti. Lo stato di tensione è l’emozione stessa che sta per esprimersi nel gesto, secondo uno schema tratto dall’esperienza anteriore o dall’imitazione dei gesti altrui. L’anticipazione è la rappresentazione interiore dei gesti che permetteranno al soggetto di mettersi in rapporto con il mondo che lo circonda, sia che si tratti di un’azione sugli oggetti o sulle persone, sia di un movimento inteso a interporre una distanza attraverso la fuga. Appare così duplice il movimento che fa del gesto l’espressione di un’emozione, un atto che mira a modificare il rapporto con il mondo esterno, mentre è anche un linguaggio per gli altri.>>

Allo stesso modo, per quanto concerne la danza, Lucia Balduzzi nel suo interessantissimo saggio intitolato “Dall’educazione del corpo all’educazione con il corpo”, afferma che il danzatore utilizza i propri gesti, i passi e le movenze, per affermare se stesso nel mondo, per comunicare ed apprendere attraverso il linguaggio del corpo. Secondo l’autrice, il linguaggio scaturisce sempre dal corpo, sia esso scritto, verbale o gestuale, infatti, esso è il primo ad essere utilizzato dal soggetto, proprio perché più immediato e spontaneo .
La danza allora, diviene a pieno titolo uno degli strumenti necessari per imparare a capire, a sentire, a sensibilizzarsi e a valutare gli stimoli trasmessi; insomma, il corpo anche in questa sede diviene il protagonista del processo educativo, in particolar modo di quello estetico, intendendo con questo termine l’educazione al sentimento, alla percettività e all’emozione .
Il corpo ed il movimento intenzionale e spontaneo rappresentano il nodo centrale del nostro discorso sull’educazione gestuale, sulle arti marziali e sulla danza.
Quale è, allora, la differenza tra danza e arte marziale, così come noi l’abbiamo descritta?
La differenza principale riguarda la tipologia del movimento e la didattica (che avremo modo di approfondire più avanti); i movimenti marziali che noi proponiamo mantengono, in parte l’atteggiamento bellicoso, agguerrito ed aggressivo, caratteristici degli stili esterni, dall’altra viene enfatizzato il rilassamento, la contemplazione della natura, la ricerca dell’armonia e dell’eleganza, tipici degli stili interni. Inoltre, la musica, elemento fondamentale nella danza, riveste in questa sede una funzione solamente ausiliaria, infatti, i movimenti non seguono mai un ritmo esterno, ma prestano sempre orecchio ai moti e ai flussi interni del praticante. Il soggetto si muove in maniera più o meno veloce, in modo più o meno aggressivo, in base alle sensazioni interne e a ciò che è intenzionato a manifestare; non esiste nessuna musica che costringa il praticante ad adattarsi ad un ritmo prestabilito. Per il resto, comunque, non vedo grande differenza tra uno studente di arti marziali ed uno studente di danza: entrambi lavorano per migliorare le proprie capacità, imparano, attraverso l’autodisciplina e la cura di sé che è possibile raggiungere determinati traguardi e che il fine ultimo è riuscire a sperimentare il senso di libertà che deriva dal movimento spontaneo e disinteressato, frutto del personalissimo modo di intendere se stessi e la realtà. Il fine è manifestare in maniera autentica se stessi attraverso il gesto spontaneo, libero dai condizionamenti di natura mentale e dai blocchi psicofisici.
Sull’importanza dell’autoespressione e della spontaneità si sofferma anche Alexander Lowen, il quale, nel suo libro “Bioenergetica” , ritiene che queste attività, libere da ogni tipo di condizionamento, rappresentino una caratteristica comune a tutti gli esseri viventi.
La spontaneità gestuale, insomma, non è altro che la libera manifestazione dell’unicità dell’individuo, al di là di ogni sforzo o tensione; una sincera e naturale liberazione delle emozioni dal profondo dell’animo umano.
La spontaneità, in ogni modo, non può essere appresa; non è una disciplina che si può insegnare, anche se, è possibile intervenire affinché siano eliminati tutti quei blocchi o condizionamenti che inibiscono il soggetto.
Lowen fa comunque una importante precisazione, infatti, mette in guardia il lettore affinché non cada nel tranello di pensare che qualunque azione di natura impulsiva sia da considerare frutto della spontaneità. Spesso accade che alcuni comportamenti siano solamente in apparenza spontanei e che, in realtà, rappresentino la manifestazioni di condizionamenti all’interno del soggetto, il quale, può rimuovere il blocco unicamente all’interno di un contesto terapeutico, scaricando tutta l’aggressività in una situazione controllata. Lowen afferma, infine, che il piacere rappresenta l’asse portante dell’autoespressione, infatti, quando un individuo ha la possibilità di esprimersi, di esternare le proprie emozioni e di affermarsi, prova un’autentica sensazione di benessere e di liberazione. Il ballo, come abbiamo detto in precedenza, aiuta tantissimo il soggetto ad esprimersi in maniera autentica, tuttavia, quando questa attività inizia a divenire una routine o una performance, la spontaneità dei gesti si riduce ed il piacere lentamente inizia ad estinguersi. Quando il livello di autoespressione di un individuo si abbassa, diminuisce anche la spontaneità delle azioni stesse, con un conseguente calo di attività del corpo, di energia, e di intensità delle sensazioni e delle emozioni .
La respirazione rappresenta, nello studio delle arti marziali, un elemento di importanza fondamentale, infatti, basta sfogliare l’antico testo “Canone Taoista”, per rendersi conto che il controllo del respiro è sempre legato alla ricerca del benessere, della longevità e dell’autodifesa.
Attraverso la respirazione, l’individuo alimenta e sostiene la propria vita; quando l’attività respiratoria è perfetta, anche la forma corporea lo è, mentre quando il respiro si fa flebile, si esaurisce anche l’organismo . Lo studio della scienza della respirazione prende il nome, per i cinesi, di Qi Gong o Chi kung che, letteralmente, significa “forza del respiro”. Nel prossimo paragrafo faremo alcune importanti considerazioni in merito.

2.4 Che cos’è il Qi gong

E’ stato scritto veramente molto, in questi ultimi anni, circa l’importanza dello studio del Ch’i kung (o Qi Gong), analizzando questa pratica sotto diversi aspetti, tutti molto interessanti, che vanno da quelli educativi a quelli esoterici, da quelli medici a quelli marziali, fino ad arrivare ad asserire che sia possibile un utilizzo della “forza del respiro” in ogni momento della giornata, nel lavoro, al computer, durante il gioco, ecc.
Park Bok Nam e Dan Miller  ritengono che lo scopo principale della pratica del Qi Gong, sia lo sviluppo ottimale dell’energia interiore ed il suo fluire equilibrato all’interno dell’organismo, a prescindere dall’utilizzo che se ne vuole fare (stare in salute, autodifesa...), mostrando l’importanza delle visualizzazioni, del controllo del respiro e della meditazione, insieme a un apposito lavoro muscolare che consente di raggiungere una buona postura, una migliore coordinazione ed una maggiore stabilità delle posizioni.
Park ritiene che sia più importante raggiungere la consapevolezza del Ch’i che fluisce all’interno dell’organismo che non la sua concettualizzazione, infatti, occorre una pratica assidua, l’unica che permetta effettivamente di sperimentarne le sensazioni e i benefici. Stare seduti a parlare dei benefici del Ch’i e di tutte le sue possibili applicazioni, risulta essere un’inutile perdita di tempo mentre invece sarebbe molto più proficuo allenarsi con costanza e concentrazione, cercando, ognuno in base alle proprie esigenze e stili di vita, il modo più proficuo per utilizzare questa energia coltivata all’interno del corpo. Sono importanti quindi le esperienze individuali, le sensazioni particolari che il soggetto prova durante la pratica e non i concetti o le convinzioni mistiche che derivano dai libri o dai racconti degli “Esperti” nell’arte della respirazione.
Secondo Park occorre inoltre riuscire ad armonizzare e bilanciare l’allenamento interno con quello esterno, esercitando il controllo sulla respirazione ed il suo sviluppo, al fine di aumentare la forza vitale dell’organismo. La meditazione è necessaria per incrementare la consapevolezza mentre i diversi movimenti, hanno lo scopo preciso di fare circolare l’energia ed il sangue.
Gli esercizi di respirazione consentono il rifornimento di Qi e, allo stesso tempo, di eliminare tutte quelle tossine dannose all’organismo umano e responsabili della continua stanchezza, che sempre più persone accusano quando arrivano alla fine della giornata. Educarsi in maniera adeguata alla respirazione, significa prevalentemente riuscire a rafforzare la propria capacità vitale, attraverso esercizi specifici, che cambiano in base alle problematiche soggettive, alle necessità e condizioni del momento.      
Gli esercizi di respirazione permettono di sperimentare la sensazione del Qi che fluisce, inizialmente nei palmi delle mani, successivamente nella pelle, nelle gambe, nelle braccia, nel busto e nelle spalle, fino ad arrivare a percepire il Ch’i in profondità, coinvolgendo le ossa e i nervi.
I praticanti dopo i primi esercizi, cominciano ad avvertire una sensazione di formicolio alle estremità delle dita delle mani, in seguito, questa sensazione diviene più intensa, cominciando ad estendersi anche in altre parti del corpo. Molti praticanti dicono di sentire calore nei palmi, al busto, alla pancia e, soprattutto, una sensazione di pienezza che coinvolge tutto il corpo, il quale, è spesso percepito come immerso in una sostanza densa, come il miele, che rende difficile ogni tipo di movimento.
L’allenamento deve essere progressivo, sviluppando lentamente una capacità sempre maggiore di rilassamento, di flessibilità nei movimenti e, soprattutto, una forte motivazione al miglioramento delle proprie potenzialità fisiche e mentali.
Jou Tsung Hwa  ritiene che sia possibile distinguere almeno otto diverse metodologie di respirazione, distinguendole in spontanea, profonda, purificatrice o sibilata, tonica, alternata, addominale post natale, prenatale e, infine, della tartaruga. La spontanea rappresenta quella naturale, involontaria e regolare; la purificatrice, invece, riguarda una inspirazione attraverso il naso ed una espirazione mediante la bocca, utile al fine di attenuare le tensioni interiori e le contrazioni muscolari dovute allo stress. La respirazione alternata si basa su una inspirazione attraverso una narice ed una espirazione mediante l’altra, utilizzata molto per alleviare dolori come le emicranie; è una respirazione complessa che prevede inizialmente l’utilizzo degli indici per tappare una narice alla volta, in seguito, con molto allenamento è possibile praticarla in senza l’uso delle mani. La respirazione profonda avviene in maniera naturale, ogni volta che inspiriamo profondamente allargando le braccia; avviene generalmente quando si è immersi nella natura, al mattino in prossimità del mare o in cima ad una montagna.
La respirazione addominale si basa su una inspirazione che fa espandere il basso addome ed una espirazione che invece lo fa contrarre. La respirazione prenatale è contraria a quella precedentemente descritta, infatti, l’addome si contrae in fase di inspirazione mentre si rilassa nel momento di espirazione, imitando l’attività respiratoria del feto durante la gravidanza. La respirazione della tartaruga rappresenta lo stadio più evoluto della disciplina Chi-Kung e si arriva ad essa dopo una lunga pratica della respirazione prenatale, come una sua successiva evoluzione.
La pratica del Ch’i Kung, insomma, gradualmente porta alla consapevolezza di un “serbatoio energetico” che si avverte come una specie di palla morbida, gonfia, un accumulo di forza che i cinesi chiamano Chin e che permette al praticante di disporre di un’illimitata fonte di energia.
La respirazione pre-natale deve essere praticata in maniera costante perché solo così è possibile riuscire ad utilizzarla in maniera spontanea e ad avvertire la sensazione del flusso delle diverse correnti energetiche che vanno tutte a confluire nel Tan Tien, il punto che si trova sotto l’ombelico e che viene descritto come un grande raccoglitore di energia.
La pratica del Ch’i Kung non ha però solamente come scopo la presa coscienza di queste sensazioni, infatti, è molto importante imparare a dirigere e sviluppare l’energia e, a livelli superiori, è opportuno riuscire a far penetrare il respiro in ogni parte dell’organismo, cercando di automatizzare certi meccanismi che consentono la pratica del Qi Gong in qualsiasi momento della giornata.
Il Chi lo potremmo definire come l’energia che pervade il cosmo, l’universo e tutte le sue determinazioni e anche l’uomo la possiede, tuttavia, riuscire a disporre di essa, a gestirla e ad utilizzarla in maniera ottimale, non è semplice ed occorre una buona autodisciplina accompagnata da esercizi specifici.
L’immaginazione è uno degli strumenti migliori che l’uomo possieda per imparare a prendere coscienza di questo flusso energetico, entrando in rapporto diretto con il proprio corpo ed assumendo diverse posture. E’ possibile rimanere sdraiati cercando di avvertire specifiche sensazioni in alcune parti del corpo, immaginando ad esempio del ghiaccio sulla pelle oppure una fonte di calore che dallo stomaco si espande lentamente verso gli arti.
La posizione tipica della meditazione (statica), comunque, rimane quella seduta, con le gambe incrociate e le mani che poggiano sulle ginocchia o raccolte sotto l’ombelico.
Questa posizione si chiama San Pan; non è difficile assumerla in maniera corretta, tuttavia, imparare a rimanerci per lungo tempo in maniera rilassata e con la mente sgombra dai fastidi e dai dolori muscolari, non è per niente semplice ed occorre molto tempo, prima di riuscire a stare comodi con la testa e la colonna vertebrale ben allineate e dritte.    
Le successive posizioni sono più complesse, nel senso che occorre, con il tempo, riuscire a portare entrambi i talloni rispettivamente sopra i ginocchi opposti, con le piante dei piedi rivolte verso l’alto. Una volta assunta la posizione del loto, occorre sgombrare la mente dai pensieri che assillano e condizionano, cercando di arrivare ad una condizione di vuoto e di tranquillità interiore. Occorre inoltre deglutire la saliva e seguire il suo cammino fino al Dan Tien, il punto che si trova due dita sotto l’ombelico e due dita in profondità .
Torneremo in seguito sulle tecniche specifiche di Ch’i Kung, fino ad arrivare a quella della Fenice, che analizzeremo in maniera dettagliata e che definiremo come una delle più complesse ed originali forme di Qi Gong dinamico.
Park Bok Nam e Dan Miller  affrontano il tema del Ch’i kung in maniera molto esauriente; questi ultimi ritengono che sia difficile definire il Ch’i Kung senza inserirlo all’interno della disciplina praticata o della materia in esame, infatti, fuori da un contesto preciso, quest’ultimo perde di significato. In Cina esistono diverse scuole che insegnano discipline tradizionali (marziali e non) ed ognuna, in relazione alla corrente filosofica di appartenenza, sviluppa una pratica diversa di Qi Gong. Il termine Kung significa “lavoro” oppure “sforzo”, perciò, unito alla parola Chi, ne deriva un “ottenimento” o meglio “raggiungimento”, in seguito ad una seria esercitazione, di obiettivi di natura bioenergetica.
Il modello a cui occorre far riferimento per ottenere buoni risultati con la pratica, è quello dell’equilibrio e della mutua dipendenza che esiste fra uomo e ambiente, fra individuo e cosmo; esistono in pratica delle specifiche relazioni fra l’energia umana e quella universale e continui scambi di flusso che devono mantenere il sistema in continuo equilibrio. Questo concetto lo ritroviamo soprattutto nella medicina cinese, con il ciclo di creazione e di distruzione dei cinque elementi che possiamo vedere nella figura n°1.
Alla base della pratica del Ch’i Kung c’è la nozione di equilibrio che deve essere sempre rispettata; se ciò non avviene, esiste il rischio che, in un organismo magari già squilibrato a causa di un eccesso o di una deficienza di energia in qualche zona del corpo, si sommino gli effetti di un esercizio non idoneo.
Occorre tenere presente che non possiamo sganciare la pratica del Qi Gong dalla situazione soggettiva del praticante, ossia, dal suo stato di salute, dall’umore che possiede in quel preciso istante, dalle abitudini alimentari, dai vizi, dallo stile di vita in generale, o, per dirla più semplicemente, dalle condizioni psicofisiche.
La pratica di Ch’i Kung comporta l’integrazione della mente con il corpo, utilizzando come veicolo la respirazione, la quale, se correttamente dosata e gestita, permette di ottenere benèfici effetti, un rilassamento generale dei muscoli ed una mente libera ed equilibrata. Il movimento in sincronia con la respirazione, aiuta a ripristinare i delicati equilibri all’interno dell’organismo, che spesso vengono alterati a causa di un errato stile di vita, entrando in sintonia con l’ambiente circostante e con l’universo tutto.
Il praticante deve sempre percepirsi come parte di un sistema organizzato e strutturato, come elemento di un insieme, la cui posizione ed il cui ruolo sono fondamentali affinché tutto continui a mantenere un equilibrio stabile.
Per fare un buon lavoro con la pratica Ch’i Kung, occorre un adeguato sistema di allenamento che riguarda, da un lato il bilanciamento energetico, una costruzione dello schema corporeo ed una precisa dinamica dei movimenti, dall’altro, la costruzione della forza interiore, che deve progredire senza alterare gli equilibri faticosamente raggiunti. Il Ch’i Kung deve servire principalmente a mantenere la struttura interna in salute, mirando ad un potenziamento della volontà e ad una esistenza più equilibrata, che potremmo riassumere in una sola frase: “Armonia tra mente e corpo”.
La mente nella pratica Ch’i Kung, svolge un ruolo fondamentale, infatti, se è il Ch’i che guida la forza, è altrettanto vero che, senza una adeguata intenzione mentale, non è possibile impiegare il flusso energetico in maniera adeguata. Senza intenzione non esiste né Ch’i né forza. Allenarsi nel Ch’i Kung vuol dire imparare a far fluire l’energia in tutte le parti del corpo e dirigerla con precisione nelle zone interessate; a seconda degli obiettivi prefissi, il praticante invierà il flusso alle estremità, in caso si tratti di un artista marziale, oppure, se lo scopo è il mantenimento della salute, l’intenzione si volgerà all’interno, nella profondità del proprio organismo.
Lam Kam Chuen   ritiene che l’energia Ch’i risieda dentro ogni essere umano ma che purtroppo, spesso tende a bloccarsi a causa del processo di invecchiamento. L’energia scorre all’interno dell’individuo in maniera naturale, come il sangue o l’aria che respiriamo, tuttavia, sappiamo che in gioventù la forza vitale sprizza da tutti i pori, man mano che gli anni passano, quest’ultima si sopisce sempre di più. Il Qi Gong è una pratica che permette di invertire questo processo e perché ciò avvenga, occorre riuscire a rilassare i muscoli ed il sistema nervoso, un obiettivo veramente difficile da raggiungere, infatti, i nemici contro cui bisogna combattere sono molto forti e portano i nomi di “stress”, “pressioni psicologiche” e “ansia”.
Occorre innanzitutto imparare a rilassarsi, il che, non significa diventare apatici, privi di ogni stimolo vitale; è importante capire che, senza un’attitudine mentale adeguata che permette di liberarsi, almeno per il tempo necessario alla pratica, dei problemi quotidiani, i muscoli non riusciranno mai ad allentarsi e a stendersi. Il passo successivo è quello dell’uso corretto della mente, la quale, attraverso adeguate visualizzazioni e ad una consona respirazione, lavora affinché avvenga una scoperta ed una conseguente liberazione, dell’intrinseca forza naturale che giace sopita dentro ogni essere umano. Liberare questa forza vitale significa spezzare le catene alle quali spesso l’uomo si lega, a causa di una condotta di vita sbagliata, dettata da abitudini e comportamenti spesso nocivi e frustranti.
Il praticante deve principalmente imparare ad ascoltarsi, a relazionarsi con il corpo, al fine di soddisfare le proprie reali esigenze e non quelle imposte dalle mode o dalle abitudini di vita degli altri. Il Ch’i Kung è principalmente un metodo di autoanalisi, una via verso la conoscenza di se stessi, tuttavia, per riuscire in quest’intento, occorre saper ascoltare se stessi e imparare a comunicare con il proprio corpo. Conoscere se stessi è necessario affinché il praticante possa procedere al miglioramento di sé, della propria salute, del modo di relazionarsi agli altri, ecc. La strada corretta da seguire, è quella della pratica del Qi Gong che si basa essenzialmente nel riuscire a fondere in maniera simultanea, le due attività fondamentali dell’uomo: lo sforzo e il rilassamento.
Il Qi scorre in ogni essere vivente, all’interno di canali chiamati meridiani, interagendo costantemente con la materia e dando luogo a processi che sono alla base, non solo della nostra esistenza, ma anche di tutto ciò che è presente nell’universo, creando il substrato necessario affinché tutto ciò che ci circonda continui ad essere.
Il nodo più importante da sciogliere è sempre stato, fin dai tempi più remoti, il modo corretto di utilizzare questa rete energetica, al fine di raggiungere precisi traguardi: salute, forza, vigore, ecc.
I pensatori cinesi del passato hanno dato origine, così, alle diverse branche del sapere tradizionale, come l’erboristeria, le arti marziali, la ginnastica terapeutica e molte altre ancora.
Poiché è il Ch’i che permette ai diversi organismi di poter rimanere in vita, è logico che i molteplici problemi di salute fossero, seguendo il pensiero dei filosofi cinesi, da ricercare negli eventuali blocchi di flusso, all’interno dei canali che compongono la rete energetica del corpo umano. Sovraccarichi, scompensi o insufficienza energetica, sono le cause delle diverse malattie, per questo, quando l’organismo non è capace, da solo, di ripristinare determinati equilibri, occorre intervenire con la pratica Chi Kung.
Grazie al Qi Gong è possibile intervenire affinché si verifichi una stimolazione dell’organismo tale, da permettere all’energia di fluire in maniera omogenea, senza ostruzioni o impedimenti di alcun genere. Lo scopo degli esercizi Chi Kung è di riuscire ad aumentare la circolazione sanguigna, in modo da permettere al Qi di scorrere e di evitare, allo stesso tempo, un affaticamento eccessivo dei polmoni. Da questo, si capisce perché la maggior parte degli esercizi Chi Kung si eseguono stando fermi in piedi, inoltre, è importante ricordare che un buon allenamento permette al sistema nervoso, agli organi interni e alla mente di ottenere quei benefici, che nessun’altra pratica sarebbe in grado di eguagliare.
L’aumento del potenziale fisico e mentale, unito allo stato di benessere generale, è causato dalla creazione e dalla trasformazione della corrente energetica Chi, prodotta dal lavoro di respirazione unito alla pratica meditativa statica e dinamica.
L’uomo insomma, seguendo l’ottica del Qi Gong, si può considerare come una gran sorgente di energia, la quale, canalizzando le diverse correnti che provengono dal terreno, dall’aria e da tutto ciò che è intorno, riesce a far sgorgare un’innumerevole quantità di forza e di calore umano, importanti non solo per migliorare la qualità della propria vita, ma anche per aiutare le persone in difficoltà a superare ostacoli di varia natura.
Sappiamo che l’uomo, grazie al progresso, alla scienza e alla tecnologia, è riuscito a migliorare aspetti della vita che solamente 50 anni fa sarebbe stato impossibile immaginare; basti pensare ai sistemi di comunicazione a distanza, al personal computer, ad internet ecc. Nonostante la comodità cui il progresso ci ha ormai abituato e la possibilità di ridurre notevolmente tempo e fatica nel raggiungere determinati traguardi, occorre tenere presente anche l’altra faccia della medaglia, ossia, il progressivo allontanamento dell’uomo dai ritmi naturali di vita e il diffondersi in maniera sempre più massiccia dell’inquinamento di natura atmosferica e acustica.
Senza sperare in maniera utopistica nella costruzione di un mondo incorrotto dalla civiltà e dalla tecnica, ricco solamente di piante e di fiori, possiamo dire che la pratica Chi Kung aiuta l’uomo ad imparare ad ascoltare se stesso ed i propri ritmi e a prestare orecchio alla voce della natura, ai suoi suoni e vibrazioni. Poiché l’uomo lo possiamo considerare come il ponte che unisce il cielo con la terra, è importante capire che il Qi Gong rappresenta un efficace sistema affinché questi riesca, da una parte ad affondare le proprie radici nel terreno, dall’altra, ad aprirsi al cielo, proprio come la chioma di un albero.
Molti testi orientali che trattano di Qi Gong, spesso tendono a considerare l’argomento in chiave esoterica, chiamando in causa forze ancestrali e cosmiche; pur ritenendo tutto questo degno di considerazione e di approfondimenti, in questa sede ci limiteremo a considerare l’educazione alla respirazione, semplicemente come l’espressione più autentica e continuativa del nostro voler vivere, il nostro incessante flusso e riflusso che ci lega in maniera indissolubile ad una realtà dalla quale non possiamo in nessun modo sentirci sconnessi.
L’esercizio delle tecniche respiratorie, in sintesi, aiuta il praticante a prendere coscienza di sé, a strutturare e organizzare la propria interiorità, ad esprimersi in maniera unica ed autentica e, infine, ad integrarsi socialmente .  
In allegato è riportata una raccolta di disegni con le relative spiegazioni, inerenti alla pratica di un’antica forma di Qi Gong. Questa serie di esercizi è stata raccolta da un mio carissimo amico, Simone, con il quale ho avuto la fortuna di condividere molte esperienze formative nel campo delle Arti Marziali, soprattutto durante il periodo di noviziato nello studio del Kung Fu tradizionale. Tutte le immagini e le didascalie sono state curate e realizzate dal mio compagno di studi, tuttavia, a causa di alcuni spiacevoli inconvenienti, le prime pagine della raccolta sono andate perse, quindi, non possiamo riportare né il nome del Maestro che ha tramandato la forma, né la data in cui si sono svolti i seminari. L’insegnante di origine cinese, ha svolto questa attività nella prima metà degli anni novanta, durante il periodo invernale. Gli esercizi, denominati “La forza del Respiro”, vengono riportati per due motivi: primo perché è mia intenzione valorizzare il lavoro di un amico sincero, studioso appassionato delle tradizioni orientali e secondo perché ritengo giusto mettere a disposizione dei tecnici un lavoro che, in qualche modo, possa servire come spunto di riflessione e di ricerca.    


2.5 I contenuti delle Arti Marziali

In questo paragrafo faremo una sintesi dei concetti fondamentali delle Arti Marziali, selezionando quegli aspetti e contenuti che possono servire al nostro scopo, ossia, costruire una teoria generale dell’educazione marziale – gestuale, fondata su criteri di formazione interiore, di socializzazione, di espressione spontanea del sé e di autorealizzazione. Non essendo questo, un manuale che ripercorre la storia e l’evoluzione delle diverse discipline, ci limiteremo a dare solamente alcuni accenni, evidenziando immediatamente gli aspetti a noi utili e quelli che dobbiamo invece scartare.
Iniziamo allora a prendere in considerazione l’Arte Marziale che da sempre si distingue per diffusione e notorietà: il Karate. Arte Marziale giapponese, non ha bisogno di grandissime presentazioni, poiché grazie alla propaganda, alle gare e alle manifestazioni sportive, è giunta in ogni nazione, ricevendo sempre molti consensi da parte del pubblico e dei praticanti.
Al di là dei diversi stili e federazioni, ciò che caratterizza il Karate è la ricerca costante della perfezione del movimento, la velocità di esecuzione della tecnica, la “pulizia dei gesti”, l’eleganza, la scioltezza e la stabilità. Insomma, il Karate è una disciplina che mira al progressivo perfezionamento delle tecniche (forme) codificate, al fine di migliorare continuamente le capacità psicofisiche dell’atleta. Il punto di forza dei Maestri di Karate è proprio quello di aver codificato gli stili (Shotokan, Sankukai o qualunque esso sia) e di avere creato una metodologia di insegnamento standard, affinché i principi possano essere trasmessi in maniera chiara, completa e senza fraintendimenti.
Per intenderci, le forme del Karate Shotokan (di una medesima federazione) praticate il Italia, sono le stesse di quelle praticate ad esempio negli Stati Uniti, il che significa che esiste all’interno delle diverse organizzazioni, una matrice comune, dei programmi prestabiliti, che agevolano tantissimo il processo di divulgazione dello stile. Il fatto poi di essere allo stesso tempo uno sport e prevedendo gare di Kata (o forme codificate), di Kumite (combattimento con regole), ecc. ha dato modo al Karate di radicarsi ancora di più in tutto il mondo, divenendo una disciplina educativa e formativa, soprattutto per i bambini. Il Karate gode quindi di un primato rispetto a molte altre Arti Marziali: quello di  possedere programmi di studio codificati ed una didattica standard, un sistema di graduazione comune e un regolamento sportivo preciso. Per intenderci, il Kung Fu Wu Shu cinese vive, per molti aspetti, una situazione caotica: troppe organizzazioni frammentate, assenza (salvo in pochi casi) di un programma di studio ben definito, di una metodologia standard di insegnamento e di obiettivi comuni (i puristi non accettano la dimensione sportiva dell’arte, altri vorrebbero una codificazione precisa, altre organizzazioni non accettano determinati regolamenti e via di seguito). Un’altra caratteristica positiva del Karate, che noi adotteremo, è quella di eseguire i Kata a squadre; questo fatto è molto importante, soprattutto per i bambini perché aiuta i praticanti a condividere esperienze, ad aiutarsi vicendevolmente al fine di raggiungere obiettivi comuni e a prendersi cura dei membri del gruppo.
I soggetti più svantaggiati ad esempio, sono stimolati a migliorarsi progressivamente perché, facendo parte di un gruppo, devono necessariamente sforzarsi e dare il meglio di sé, altrimenti, è la squadra stessa a risentirne. I bambini svantaggiati tendono, spesso, ad accettare in maniera passiva la propria situazione di handicap e a non essere incentivati a fare per migliorarsi. Le attività svolte singolarmente, molte volte non motivano a sufficienza il soggetto poiché i fallimenti ripetuti e i continui insuccessi, lo frustrano a tal punto da dover fuggire di fronte a qualunque compito. Con questo non si vuol affermare che l’attività di gruppo rappresenti la panacea di ogni male ma, semplicemente, che è un metodo più coinvolgente e appassionante per tutti quei bambini o ragazzi che, vivendo una condizione di difficoltà o disagio, necessitano maggiormente di sostegno e di stimoli da parte degli altri.
 Il gruppo rappresenta, allora, l’insieme delle persone che lavora in accordo e in armonia per il raggiungimento di determinati traguardi, come ad esempio l’esecuzione di una forma, un combattimento prestabilito, lo studio di una tecnica particolare, ecc.
Un soggetto in situazione di difficoltà può ricevere sostegno da parte dei compagni e, allo stesso tempo, sono i ragazzi del gruppo che hanno l’occasione di fare nuove e costruttive esperienze, stando a contatto con chi necessita di aiuto.
Il Karate a squadre ha proprio il grandissimo pregio di mettere le persone l’una a disposizione dell’altra, di stimolarle a scendere a compromessi, a patti, a rinunciare a soddisfazioni egoistiche per aprirsi maggiormente alle necessità e al bene del gruppo. La squadra è come una piccola società all’interno della quale se ognuno non opera per il bene del gruppo, non si ottengono risultati positivi e l'attività diviene frustrante e priva di reali soddisfazioni. Il gruppo migliora solamente con la partecipazione attiva di tutti i suoi componenti, con l’affiatamento e con l’impegno verso gli altri, aprendosi a nuove e stimolanti esperienze.
Per quanto concerne la nostra ricerca, in ogni modo, possiamo affermare che il limite del Karate sta proprio nel suo punto di forza, ossia, nell’eccessiva codificazione del sistema, nei programmi standard, nella ricerca costante ed assidua della perfezione  tecnica. Tutto questo non lascia spazio all’improvvisazione, alla manifestazione libera del movimento e all’espressione di sé. L’aspetto artistico, inteso come manifestazione del proprio modo di sentire e di vivere la realtà, viene soffocato da una struttura rigida fatta di regole e di movimenti preordinati, ai quali occorre adeguarsi senza discutere. Se è vero che per imparare a coordinare i movimenti e per prendere coscienza della dinamica delle tecniche, delle posizioni e delle forme, bisogna ripetere continuamente certi schemi, è altrettanto vero che, in un secondo tempo, sarebbe importante verificare come un allievo <<vive>> tutto ciò che ha appreso e come lo interpreta. Il fine della nostra ricerca non è la perfezione della tecnica e del gesto, bensì l’espressione di sé che deve essere libera, incondizionata, autentica e sincera. La libera espressione di sé può scaturire solamente qualora il praticante riesca a rimuovere quei blocchi e condizionamenti, che gli impediscono di entrare in contatto con la propria sfera più profonda.
Il karate offre una grande opportunità di crescita e di educazione interiore perché, come abbiamo visto, stimola i praticanti a migliorarsi continuamente, a rispettare gli altri e a lavorare con gli altri, a cercare di superare i propri limiti fisici ma anche psicologici, soprattutto quelli fondati sul pregiudizio e sull’intolleranza.
Lo Judo è un’altra disciplina di origine giapponese basata essenzialmente sull’uso di proiezioni, di leve e di lotta a terra, che si differenzia dal Karate per l’assenza di colpi di mano e di piede. Per molti aspetti, lo Judo ha seguito le sorti del suo compaesano Karate, infatti, essendo entrambi sport regolamentati e codificati con programmi standard di allenamento, hanno subìto un’invidiabile diffusione e divulgazione in tutto il mondo.
Lo Judo ha il grandissimo pregio di sfruttare, come via sensoriale, il tatto anziché la vista; essendo una disciplina che si basa sul corpo a corpo e quindi sul contatto con l’altro, i praticanti devono imparare a sensibilizzarsi e a “sentire” (da un punto di vista tattile) gli spostamenti e i movimenti dell’altro, per poterlo poi sbilanciare, proiettare e immobilizzare al suolo.
Lo Judo è educativo perché insegna a sfruttare la forza del compagno per renderlo inoffensivo, senza causare danni di nessun tipo; è una pratica che insegna a rispettare il proprio avversario, stimolando l’autocontrollo e la calma interiore. Per riuscire a proiettare l’avversario e ritorcere contro di lui la sua stessa forza, occorre che il praticante riesca prima di tutto a vincere se stesso, la rabbia verso chi lo vuole colpire, la tentazione di usare pugni., calci e la forza fisica. La sensibilità è la qualità più importante e per poterla sviluppare occorre che il praticante sia rilassato, che si liberi, cioè, da qualsiasi tensione di natura fisica e psicologica. Lo Judo dà, a mio avviso, importanti direttive per imparare a vincere la paura e l’instabilità emotiva, stimolando il controllo di sé e delle proprie emozioni. Lo Judo utilizza una via di comunicazione molto importante, quella del corpo, infatti, con la pratica e con il rilassamento, lentamente si comincia a percepire quando c’è tensione nel compagno, paura o aggressività; si apprende un sistema che permette di comunicare e di entrare in sintonia con l’altro.
Al di là dell’aspetto sportivo e competitivo, che a noi non interessa poiché partiamo dal presupposto che le discipline gestuali abbiano unicamente finalità espressive, riteniamo che lo Judo possa essere molto utile per imparare a prendere coscienza di sé e del proprio corpo, attraverso gli altri e il loro modo di reagire determinate stimolazioni esterne. Il corpo del compagno entra in sintonia con il nostro e più questo contatto è profondo e privo di tensioni, più la comunicazione è autentica, limpida e ricca di occasioni di crescita e di sviluppo. L’altro ci mette davanti ai nostri limiti, ai blocchi che abbiamo e all’incapacità di <<ascoltare>>; per poter sentire il compagno occorre esercitarsi, far fluire la sua forza attraverso il nostro stesso corpo, in maniera libera e rilassata. La proiezione dell’avversario a terra, non è altro che il risultato positivo di questo ascolto; la disponibilità totale che abbiamo avuto nei confronti di chi avevamo davanti. Saper gestire la forza dell’avversario significa essere riusciti a sviluppare una profonda sensibilità ed una notevole capacità di ascolto e di comprensione.
Nonostante la presenza, all’interno dello Judo, di questi importanti princìpi, è opportuno ricordare che, nella pratica, soprattutto sportiva, questa disciplina risulta essere estremamente faticosa, centrata quasi esclusivamente sulla lotta libera, con una grande percentuale di infortuni, distorsioni e contusioni da parte dei praticanti.
L’Aikido, invece, rispetto allo Judo, è molto più morbido, distensivo, centrato quasi esclusivamente sull’unione corpo – mente; le reazioni del praticante di Aikido di fronte agli attacchi, sono sempre estremamente dolci, con movimenti rotondi e continui. Nell’Aikido è centrale l’educazione interiore del praticante e la su formazione spirituale, mentre sono esclusi dalla pratica, gli aspetti che riguardano le competizioni sportive, la lotta libera e tutto ciò che prevede la possibilità di recare un danno all’avversario, come colpi, strangolamenti, ecc.
Nell’Aikido, a differenza di altri metodi marziali, non esistono né forme, né codificazioni; i suoi movimenti rappresentano unicamente le reazioni naturali e spontanee a determinati stimoli o sollecitazioni esterne. Per raggiungere questa capacità di riuscire ad adeguarsi in maniera intelligente e creativa ad una realtà che muta in continuazione, occorre che il praticante non si fossilizzi sulla ripetizione meccanica delle tecniche e sulla routines dei movimenti. La personalità del praticante di Aikido deve necessariamente evolversi in continuazione, andando alla ricerca di soluzioni creative ai diversi nodi problematici che la realtà mutevole pone costantemente.
Il Maestro Uyeshiba, fondatore dell’Aikido, attraverso lo studio dello stile voleva dare il proprio contributo per migliorare la condizione umana, portando ordine e unione là dove emergono conflitti e disordini. L’Arte di Uyeshiba affonda le proprie radici nell’etica e nella ricerca dell’equilibrio affinché la personalità del singolo e tutta la collettività possano vivere in continua e crescente armonia. L’Aikido è, in definitiva, una via per il raggiungimento della coordinazione della mente con il corpo; un sistema che permette di armonizzare ed integrare le profonde e spesso contrastanti correnti che attraversano l’animo umano, al fine di riconciliare l’uomo con se stesso e con quella grande famiglia che è il genere umano .
La caratteristica che noi prenderemo in prestito dall’Aikido, è proprio questa capacità di studiare i movimenti, le forze e l’equilibrio in maniera neutrale, semplice, libera da qualunque dimensione marziale, alla quale, purtroppo, molte altre discipline ci hanno abituato. La parola Arte Marziale può creare, a mio avviso, un’immagine mentale deleteria, che mette il praticante in un atteggiamento mentale di chiusura anziché di apertura, in una condizione rigida e difensiva, che non lascia spazio alla creatività e alla sperimentazione.
L’Aikido è una delle poche discipline che stimola il praticante a pensare con la propria testa, a tentare soluzioni creative anziché rispondere con schemi cristallizzati e morti alle diverse sollecitazioni esterne. I movimenti codificati sono privi di vita e del tutto inefficaci quando davanti si ha una persona viva che agisce con naturalezza. Il praticante deve riuscire a trovare risposte proprie ai diversi quesiti, attraverso una continua integrazione fra le forze del corpo e quelle della mente, in armonia con le leggi etiche e morali.
Il problema maggiore dell’Aikido è, a mio avviso, l’eccessiva difficoltà nel raggiungere un adeguato atteggiamento mentale e nell’esecuzione delle tecniche, che prevedono una grande flessibilità fisica e mentale, un profondo autocontrollo ed una sensibilità spiccata. Sicuramente con la pratica si possono ottenere ottimi risultati in questo senso, tuttavia, per un bambino è difficile immergersi in una realtà dove non esistono figure estetiche affascinanti e dove non ci sono pugni, calci e lotta. La dimensione ludica, in questo contesto, è molto dimensionata e anche nelle tecniche a coppia, è difficile trarre piacere da un’attività così complessa e poco scenografica. Alcuni insegnanti di mia conoscenza, comunque, sono riusciti a motivare gruppi di bambini con la pratica dell’Aikido, inserendo strumenti di gioco, come la sfera, il bastone, i rotolamenti a terra ecc., pur riconoscendo, tuttavia, la difficoltà nel riuscire a far comprendere loro, gli elementi di base del sistema.  
Il kung Fu Wu Shu rappresenta l’insieme delle discipline tradizionali da combattimento della Cina ed occupano un ambito vastissimo nel panorama marziale, difficilmente circoscrivibile. E’ proprio dalla Cina che provengono la maggior parte delle conoscenze filosofiche, mediche e tecniche su cui si basano le più importanti Arti Marziali oggi conosciute. Non staremo a fare le solite suddivisioni tra scuole interne (o morbide) e scuole esterne (o dure) e non tratteremo neppure le differenze che esistono fra i diversi stili, poiché sarebbe un argomento che esula dalla nostra trattazione e sarebbe tra l’altro un lavoro infruttuoso perché ancora oggi, molti stili e concetti non sono stati trasmessi in maniera completa (forse non lo saranno mai, visto che molte conoscenze sono state tramandate per via orale) e esistono troppe versioni, spesso contrastanti, sulle caratteristiche delle varie discipline. Quello che a noi interessa specificare è che il Kung Fu Wu Shu, per il fatto stesso di essere composto da innumerevoli stili, ognuno con le proprie applicazioni, la propria filosofia, la propria teoria sulla respirazione e sulla medicina, risulta essere un autentico rompicapo e non è facile riuscire a trovare il bandolo di questa intricata matassa. Per motivi storici, politici e culturali, poi, molte conoscenze non sono state trasmesse, altre si sono perse con i secoli, altre ancora, sono gelosamente custodite dalle famiglie di appartenenza e modificate con il passare delle generazioni. Non sta certo a noi, metterci a fare una ricostruzione storica delle Arti Marziali cinesi o ad elencare le conoscenze che ci sono pervenute fino ad oggi.
Non è raro trovare insegnanti o grandi appassionati che vanno in giro ad accumulare tecniche e sequenze di movimenti da Maestri cinesi sparsi per il mondo; queste persone sono vere e proprie “enciclopedie viventi” sanno tutto di tutto, conoscono gli stili, conoscono alla perfezione la medicina cinese, le diverse filosofie, le tradizioni e i rituali, conoscono tutte le applicazioni da combattimento, il maneggio di tutte le armi ed il loro utilizzo. Noi prenderemo le distanze da questo tipo di approccio; non ci interessa la conoscenza cumulativa degli stili perché siamo contrari ad un approccio passivo alle Arti Marziali. Conoscere non significa registrare in maniera acritica le nozioni impartite; occorre invece passarle continuamente al vaglio del dubbio e dell’analisi.
Come dice Hazard <<il dubbio è il principio della scienza: chi non dubita di nulla, non esamina nulla, è cieco e rimane tale>>. Occorre allora adoperare la propria testa, anche con il rischio di sbagliare e di cadere, affidandosi all’esperienza diretta, o, quando ciò non sia possibile, cercare di verificare tutto in maniera critica e obiettiva.    
 Le Arti Marziali, cinesi e non, danno occasioni di spunto e di riflessione, danno cioè, la possibilità di esprimersi in maniera del tutto nuova e creativa. Occorre avvicinarsi a queste discipline in maniera nuova, originale, abbandonando l’approccio classico che prevede l’apprendimento passivo e acritico degli insegnamenti impartiti. Per molti puristi il fatto di non essere a conoscenza di tutti gli stili cinesi esistenti e di ignorare l’utilizzo codificato delle armi tradizionali rappresenta una pecca e un motivo di cruccio; per noi, invece, significa che esiste l’opportunità di trovare nuove possibilità di studio dei concetti e di approccio alle tecniche, improvvisando e cercando spunti originali. Significa che possiamo trovare noi, in maniera nuova e creativa, applicazioni, movimenti e tecniche, che ci sembrano adeguati alla situazione o al contesto. Le zone d’ombra, la mancanza di chiarezza in certi ambiti del Kung Fu cinese, lo smarrimento di terminate conoscenze, non rappresentano più un difetto, anzi, divengono un punto di forza perché mettono il praticante nella condizione di trovare, da solo, soluzioni, significati e nuovi orizzonti di senso. L’arte Marziale non è mai un piatto già preparato, pronto per essere gustato; è un insieme di tanti ingredienti e sta al praticante trovare la ricetta giusta, dosando le quantità in maniera originale e creativa. Si prova, si sperimenta, si fanno tentativi, si impara dagli errori e si ricomincia da capo. Solo così è possibile parlare di apprendimento e di crescita interiore perché l’iniziativa parte dal soggetto stesso, che va alla ricerca di soluzioni ai propri problemi e agli interrogativi, verificando il risultato delle diverse azioni.
Approfondiremo l’argomento successivamente, quando parleremo della metodologia e della didattica dell’insegnamento, adesso, invece, cercheremo di mettere a fuoco i concetti che vogliamo prendere in prestito dal Kung Fu cinese.
Innanzitutto è importante specificare che il Kung Fu Wu Shu è ricco di riferimenti mitologici, culturali e tradizioni, che permettono di dare libero sfogo alla fantasia e alla creatività, inoltre, molti stili prendono spunto dall’osservazione degli animali,  stimolando il praticante a migliorare le proprie capacità di immedesimazione, di riflessione e di imitazione.
Per quanto concerne gli stili di imitazione, occorre considerare il Drago, che simboleggia lo spirito; il leopardo, che simboleggia la velocità, lo scatto e la rapidità di esecuzione; la tigre, che simboleggia la forza, l’aggressività e la potenza caratteristica dei felini; la gru, che simboleggia la grazia, l’eleganza dei movimenti e la continuità, pur mantenendo al suo interno, una grande espressione di potenza; il serpente, che simboleggia la fluidità, la sinuosità e la morbidezza dei movimenti; la mantide religiosa, caratterizzata da movimenti rapidi e improvvisi, che permette di assumere una postura del corpo del tutto simile a quella dell’insetto.
Un altro stile che noi prenderemo in grande considerazione è quello della scimmia, infatti, grazie alla sua particolare caratteristica di essere costituita da movimenti, smorfie e atteggiamenti del tutto simili a quelli dell’animale, riscuote un grandissimo successo soprattutto fra i bambini. La scimmia stimola tantissimo, nei più piccoli, la capacità di osservazione, di imitazione e di immedesimazione, apprezzando soprattutto il fatto che si tratta di un animale imprevedibile e dispettoso.
Lo studio della scimmia prevede un notevole numero di cadute, rotolamenti e balzi, inoltre, esistono anche delle varianti, che permettono di scegliere quelle che più si avvicinano alla personalità del praticante.
La scimmia ubriaca, ad esempio, rappresenta la sintesi tra lo stile dell’ubriaco e quello della scimmia, dove viene dato maggiore enfasi ai movimenti sconnessi, alle cadute e alle tecniche a terra, rispetto ad esempio alla scimmia di legno o di pietra, dove  si prediligono movimenti estremamente controllati, precisi e potenti, con posizioni  solide.
Molto importante è stimolare il soggetto ad assumere l’espressione facciale dell’animale, insegnando le diverse mimiche, come sorpresa, paura, rabbia, stupore, ecc.
Lo stile della scimmia può essere utile soprattutto con i soggetti più timidi perché aiuta a superare la vergogna e l’imbarazzo di esibirsi in pubblico, stimolando l’espressività e l’atteggiamento spesso comico, goffo e bizzarro.
Lo stile dell’ubriaco è un altro esempio di come la capacità imitativa ed espressiva, rappresentino uno dei cardini principali del Kung Fu Wu Shu; i principi si basano sulle caratteristiche spettacolari e coinvolgenti, che l’allievo deve essere in grado di esprimere attraverso l’esercizio dei movimenti apparentemente sconnessi, delle ripetute cadute a terra, dell’imitazione del bere e del colpire con un bicchiere o una fiaschetta immaginari. Lo scopo è quello di sviluppare il controllo, attraverso movimenti sconnessi e, apparentemente, privi di qualunque coordinazione, inoltre, il praticante deve imparare a sviluppare l’abilità di ingannare l’avversario, fingendo di cadere mentre in realtà vuole colpire, o di difendersi quando in realtà vuole solo attaccare. A noi interessa estrapolare da questo stile l’espressività e l’aspetto ludico dell’esercizio, al di fuori di qualunque pretesa applicativa, marziale o di autodifesa.    
Il Maestro Paolo Cangelosi, uno dei maggiori conoscitori ed esperti dello stile, afferma che, durante l’esecuzione, occorre simulare continuamente la condizione mentale e l’instabilità emotiva della persona in preda ai fumi dell’alcool; occorre quindi esercitare la capacità di esprimere i diversi stati d’animo, che cambiano repentinamente, passando dalla rabbia allo sconcerto, dalla felicità alla tristezza. Il Jiu, il liquido contenuto all’interno del bicchiere o della fiaschetta che il praticante finge di utilizzare, rappresenta, secondo la filosofia dello stile, un liquido sacro che permette di acquisire forza, coraggio e determinazione, elementi necessari per riuscire a superare le innumerevoli difficoltà della vita. Lo scopo è la ricerca della forza interiore, cercando, ognuno con i propri mezzi, la via per riuscire a trovare la felicità, la prosperità e la ricchezza, senza mai rinunciare o perdersi d’animo .
Il Choy Lee Fut è uno stile che noi prenderemo in considerazione, per il fatto contenere al suo interno, innumerevoli branche di studio e settori tecnici, utili come fonte di ispirazione per la creazione di programmi tecnici vari e dettagliati. Questi stle prevede numerose forme a mani nude, l’applicazione a due delle tecniche che si ispirano agli animali, forme con armi tradizionali ed oggetti di uso comune, sviluppo della sensibilità stando con le braccia a contatto con quelle del compagno. Il fine della pratica Choy Lee Fut è quello imparare a “sentire” il compagno, conoscere se sessi, gestire la forza dell’avversario, ecc. Lo stile prevede inoltre interessanti esercizi con diversi manichini e strumenti imbottiti, che possono davvero aiutare a rendere i programmi di insegnamento divertenti e motivando, soprattutto i più piccoli, a praticare con costanza ed entusiasmo.  
 Il Wing Chun è invece uno stile che mette da parte tutte le tecniche spettacolari, fantasiose ed ornamentali, per ricercare l’efficacia e la praticità. Poiché a noi interessano solamente quelle caratteristiche che hanno a che fare con la creatività, l’espressività e la volontà di manifestare se stessi con i gesti, prenderemo in prestito solamente alcuni concetti teorici e pratici del Wing Chun, tralasciando tutto il resto.
Il Chi Sao, o mani appiccicose, è un esercizio che aiuta a sviluppare la sensibilità, a percepire i movimenti del compagno e ad entrare in sintonia con questi. Il Wing Chun è uno dei pochi metodi che abbia sviluppato una didattica, quasi esclusivamente centrata sull’esercizio a coppia, insistendo molto sull’importanza della morbidezza, del rilassamento fisico e mentale ma, allo stesso tempo, sulla reattività, la velocità di risposta e sulla precisione. Il Wing Chun aiuta a sviluppare moltissimo la concentrazione perché, a differenza degli altri stili, non si possono imparare le tecniche mnemonicamente ma occorre essere costantemente presenti a se stessi, per riuscire a gestire i movimenti del compagno e reagire in maniera adeguata.
Le esecuzioni ripetitive e schematiche, in questo sistema perdono totalmente di valore poiché il fine è riuscire, con la sensibilità tattile, ad adeguarsi alle sollecitazioni esterne, neutralizzando qualunque tipo di attacco. Per il nostro discorso è molto importante considerare il fatto che occorre sviluppare una metodologia di insegnamento, che non preveda la ripetizione sterile dei movimenti, ma prenda spunto da uno stile come il Wing Chun, affinché il praticante sia continuamente stimolato a cercare risposte e soluzioni, senza affidarsi alla memoria ma imparando ad attivare gli automatismi meccanici, attraverso la sensibilità tattile.
Il Tai Chi Chuan è uno stile che trae ispirazione dalla filosofia taoista e dal libro dei mutamenti, il cui scopo è quello di permettere il libero fluire del flusso di energia all’interno dei meridiani del corpo umano. Perché ciò avvenga, occorre rimuovere tutti quei blocchi che ne ostruiscono la circolazione, come rigidità muscolare, movimenti inappropriati  e mancanza di rilassamento psicofisico. La respirazione aiuta il praticante a prendere coscienza di sé e di questa forza interiore che, se opportunamente sviluppata e messa in circolo, permette di ottenere numerosi benefici da un punto di vista salutare, muscolare e mentale. Al di là dei tanti prodigi che il Tai Chi sarebbe in grado di compiere, almeno secondo alcuni praticanti, a noi interessa considerare solamente l’aspetto relativo alla ricerca del rilassamento del corpo e della mente e lo studio della respirazione per un contatto profondo con il nostro essere. Importante è lo studio dei movimenti sincronizzati con la respirazione, in cui, piegando gli arti si inspira, distendendo si espira. Spingendo o colpendo si impara ad espirare, mentre ritraendosi o parando si inspira. Anche nello studio delle forme, caratterizzate da movimenti lenti, rilassati e continui, la respirazione svolge una funzione fondamentale, come ad esempio, quella di mettere il praticante nella condizione di essere sempre presente e attento a tutto ciò che fa, senza distrarsi mai.
Nel nostro caso, che la forma di Tai Chi Chuan sia eseguita in maniera accurata da un punto di vista stilistico o che sia più rozza e meno precisa, non ha assolutamente importanza, infatti, quello che conta è che il praticante riesca a coordinare i movimenti, stando sempre presente con la mente, attento al proprio corpo, ai movimenti, al ritmo e alla respirazione. Stare a discutere sulla posizione della mano, sul fatto che sia di vitale importanza eseguire un passaggio in più o uno in meno, ci sembra un’inutile perdita di tempo, che deleghiamo volentieri ai praticanti ortodossi dello stile.
Nel nostro programma introdurremo poi il Tui Shou, un esercizio a coppie che serve ad esercitare la forza in maniera corretta, imparando a gestire, assorbire e neutralizzare le sollecitazioni del compagno. Stando continuamente aderenti, i praticanti imparano ad interpretare le intenzioni dell’avversario e lo scopo è quello di rendere vano qualunque tipo di attacco, di spinta o di sbilanciamento. Per riuscire in questo intento occorre praticare con la mente sgombra da qualunque intenzione aggressiva, causa principale della rigidità muscolare e con l’intento di ritorcere contro l’avversario, la sua stessa forza. Ciò che rende veramente difficile questa pratica, è la ricerca costante della forza nel rilassamento e la capacità di ristabilire sempre l’equilibrio, ogni qual volta uno stimolo esterno tenti di perturbarlo e di romperlo.
Il Ba Gua Zhang è uno stile che predilige linee di movimento circolari anziché lineari ed è caratterizzato da una camminata in cerchio, dove vengono studiate le diverse combinazioni tecniche, forme che riguardano lo spingere, il colpire, il proiettare a terra ed il bloccare. Lo scopo non è lo sviluppo della forza fisica, ma la capacità di esprimere la forza interiore, opponendo la minor resistenza possibile e integrando la mente con il corpo Lo scopo del Ba Gua, come del resto quello del T’Ai Chi, è quello di sviluppare, nel praticante, flessibilità, stabilità, equilibrio e coordinazione .  
 Lo Hsing I e l’Yi Quan sono entrambi stili che noi prenderemo in considerazione nella nostra trattazione, poiché prendono in esame, aspetti molto interessanti, soprattutto per quanto riguarda l’approccio alla meditazione, alla concentrazione e alla visualizzazione.
In entrambe le pratiche, la mente e la capacità di effettuare delle visualizzazioni, ricoprono una funzione di primaria necessità poiché agiscono direttamente, su quella sfera che viene definita “interiore” del praticante. Non staremo qui ad analizzare il termine “Interiore” perché saremmo costretti ad entrare in un ginepraio filosofico dal quale non ci libereremmo più; ci basti sapere che la mente viene esercitata a lavorare, immaginando, ad esempio, il corpo immerso in un liquido, o costretto a spingere e tirare grossi carichi. Il corpo rimane rilassato e flessibile mentre il lavoro maggiore spetta alla mente, che sarà sottoposta, ad una immensa ”fatica”.
L’allenamento mentale permette di recuperare gli aspetti più autentici e istintivi dell’arte marziale, riscoprendo il suo nucleo più profondo. Lo scopo è quello di mettere il praticante nella situazione di cercare in sé, le condizioni per esprimere l’Arte in maniera libera e spontanea, lasciandosi alle spalle tutti i condizionamenti di natura tecnica. Per riuscire in questo intento occorre imparare a rilassarsi, a instaurare un nuovo rapporto con il proprio corpo attraverso l’ascolto interiore e prendendo coscienza delle proprie potenzialità. L’Yi Quan non prevede, proprio per il fatto di essere una disciplina che mira alla spontaneità, lo studio di forme codificate ma solamente attività mentali creative, in grado di far progredire il praticante in termini di potenzialità e di consapevolezza, fino ad arrivare ad una sua profonda e completa metamorfosi.
Si cominciano a studiare le posizioni statiche, imparando a rimanere con i piedi ben saldi a terra, con una postura corretta del corpo e, in seguito, si passa allo studio degli spostamenti, dei movimenti esplosivi, dell’espressione dell’energia, ecc .        
 Il Wu Shu moderno rappresenta, invece, la codificazione dei diversi stili di Kung Fu, al fine di creare forme da competizione sportiva. Il Wu Shu moderno è basato su un allenamento specifico per preparare i diversi atleti a confrontarsi in competizioni sportive, giudicandoli secondo parametri standardizzati.
Ciò che noi prenderemo in prestito da questa disciplina, è la ricerca degli aspetti più coreografici, della coordinazione, dei movimenti più aggraziati ed esteticamente perfetti, dell’equilibrio e della flessibilità.
In alcune specialità del Wu Shu si ricercano l’ampiezza dei movimenti, la velocità, l’esplosività, enfatizzando i salti, le parate, gli attacchi e le tecniche rotatorie. In altre, invece, si guarda maggiormente alla solidità delle posizioni, alla potenza, alla decisione delle tecniche; inoltre, si ricerca la staticità, l’equilibrio e l’uso delle grida, quando sono eseguiti i movimenti esplosivi .
Non prenderemo in considerazione altre Arti Marziali che, seppur importanti, non contribuiscono ulteriormente ad ampliare il bagaglio concettuale della nostra sintesi. Il Ju Jitsu, la Capoeira, l’Hap Ki Do, ecc. verranno escluse, non perché meno importanti ma per il semplice fatto che, l’estrapolazione tecnica e filosofica che abbiamo effettuato per le precedenti discipline, risulta essere più che sufficiente per sostenere il nostro lavoro. Occorre evitare di disperdersi nel mondo variegato delle discipline marziali, nonostante tutte le arti siano molto importanti da un punto di vista tecnico, psicologico e storico; in questa sede non possiamo fermarci ad analizzare ogni singolo stile ma occorre prendere in considerazione solamente i principi e i concetti fondamentali comuni che sono alla base delle Arti Marziali e cercare di sintetizzarli in un unico nucleo.
Un ultimo aspetto degno di essere preso in considerazione, è quello riguardante lo studio delle armi tradizionali cinesi e giapponesi, come il bastone di diverse lunghezze, la sciabola, la spada dritta, le spade uncinate, le alabarde, i coltelli, la frusta metallica, la lancia e molti strumenti di uso quotidiano, come la panca, la pipa o lo sgabello.
 Quello che a noi interessa studiare, non è l’esecuzione formalmente corretta delle tecniche codificate, bensì la possibilità di creare metodi di maneggio differenti, asseconda dell’arma utilizzata, rispettando naturalmente le caratteristiche dello strumento.
Tanto per citare un esempio, alcune alabarde hanno una parte della lama affilata o dentata e l’altra liscia, quindi, logicamente, le tecniche di parata o di evasione dovranno essere eseguite più con la seconda parte che non con la prima, mentre gli attacchi di taglio dovranno essere portati con la lama affilata.
Rispettando l’arma e le sue caratteristiche, è possibile creare numerose forme e combattimenti simulati, enfatizzando molto gli aspetti coreografici, la libertà di movimento, di improvvisazione e di impiego. Naturalmente, occorre fare esercizio per imparare a roteare un’arma, bisogna sapere eseguire delle oscillazioni, i passaggi di mano e coordinare i movimenti del corpo con quelli dello strumento. Il fine ultimo è sempre il medesimo, ossia, sollecitare il praticante affinché riesca ad esprimere se stesso attraverso lo strumento utilizzato e ad eseguire movimenti di propria iniziativa, facendo tesoro delle capacità creative, dell’immaginazione e della volontà di manifestare quella particolare visione della realtà che possiede .
Tutte le Arti Marziali si fondano su dei princìpi filosofici comuni, dove l’uomo è considerato come portatore della scintilla divina (inteso in termini di conoscenza, verità e felicità), spesso sopita e soffocata da un’educazione repressiva, fondata quasi esclusivamente sul consumismo e sull’utilitarismo. L’infelicità è prodotta dalle molteplici passioni umane, che spingono l’individuo a disperdersi letteralmente in una miriade di attività, senza mai soffermarsi a riflettere e ad approfondire il senso delle proprie azioni. Tutto questo produce dispersione nel mondo, divisione anziché unione e conseguentemente, un senso di vuoto e di smarrimento. L’educazione attraverso le Arti Marziali, invece, propone di utilizzare il corpo come mezzo per la crescita e l’evoluzione interiore, infatti, attraverso il gesto e la ricerca del miglioramento tecnico, il soggetto impara a scoprire i propri limiti, le proprie debolezze e a coordinare il corpo con la mente.
Il fine dell’Arte Marziale è scoprire che la felicità e l’autorealizzazione sono possibili solamente attraverso la ricerca dell’equilibrio, della moderazione e della sintonia, eliminando ogni forma di dispersione e di divisione al proprio interno. La ricerca dell’unità psicofisica aiuta a far luce nella propria interiorità, facendo emergere inclinazioni, interessi reali, motivazioni, che possono guidare la persona nella realizzazione della felicità.
Il cammino verso la verità (individuale) è possibile solamente attraverso il tentativo di eliminare quel “velo di Maya”, che le passioni (negative), continuamente tessono per impedire all’uomo di comprendere se stesso e la via da seguire. L’Arte Marziale è un sistema pratico per abbattere (con calci, pugni e determinazione), tutti quei mali che  impediscono all’uomo di scoprire la sua reale unicità; occorre lottare costantemente contro la passività, l’inerzia, la pigrizia e la demotivazione, per scoprirci esseri umani.
Sono gli arti, gli strumenti che consentono di abbattere, al nostro interno, i muri della superbia e dell’accidia, nemici giurati della sintesi mente - corpo e della comprensione interiore .            

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