giovedì 6 agosto 2015


Le tecniche di base e la programmazione delle Attività superiori nelle discipline bioenergetiche orientali e nelle Arti Marziali



4.1 Motivazioni ed esercizi fondamentali

Prima di cominciare a descrivere i programmi di studio e le tecniche fondamentali, occorre fare una piccola premessa: un allievo, iniziando la pratica di una qualsiasi disciplina, deve ricevere dall’insegnante le giuste motivazioni e, soprattutto, chiarirsi subito le idee, affinché la sua attività possa perpetrarsi nel tempo e non arrestarsi dopo le prime lezioni.
L’insegnante ha il dovere di illustrare con semplicità e precisione quale sono le caratteristiche fondamentali della propria disciplina, elencare i principi di base sia teorici che pratici e, importante, le modalità per progredire e passare di grado.
La curiosità, come abbiamo più volte accennato, è una carta fondamentale che deve essere giocata prima dell’entrata del praticante all’interno del gruppo; il soggetto deve avere la sensazione, fin da principio, che ciò che viene mostrato dall’insegnante durante la presentazione, non è altro che una facciata esterna e che esiste una realtà più profonda e misteriosa, molto, molto affascinante.
L’aspirante allievo deve avvertire la sensazione che vi sia una realtà sommersa tutta da scoprire, tuttavia, occorre che l’insegnante sia onesto, descriva per sommi capi i programmi di studio e le loro possibili evoluzioni, senza mai dare l’impressione al soggetto di voler fare mistero delle proprie conoscenze.
L’insegnante si deve mostrare disponibile, pronto a modificare e ad adattare i programmi di studio alle diverse esigenze del soggetto, chiarendo subito che è l’allievo ad assumere una posizione centrale e quindi rilevante all’interno del sistema e non viceversa.
Se l’aspirante allievo è un bambino, per invogliarlo occorre necessariamente fare leva sull’aspetto del gioco e delle attività di gruppo, incuriosendolo con un elenco ampio delle molteplici attività che questi dovrà svolgere durante il primo anno di studio, senza però far apparire il tutto come un qualcosa di eccessivamente difficile o impegnativo, onde evitare possibili e inutili stati d’ansia.
I bambini devono avere l’impressione fin da subito di poter far parte di un gruppo, di una squadra affiatata con cui sia possibile condividere esperienze, giochi e attività.
Con gli adulti, invece, è consigliabile ascoltare bene quali sono le esigenze e le aspettative di ognuno prima di presentare in maniera dettagliata le diverse attività che compongono la disciplina; occorre dare un accenno generale e di ampio respiro, attendere la risposta del cliente e solo allora centrare l’attenzione sull’argomento chiamato in causa.
E’ necessario, a mio avviso, fare in modo che sia l’interessato stesso a trovare da solo le giuste motivazioni per iniziare la pratica; l’insegnante deve soltanto incoraggiare il soggetto e stimolarlo affinché l’interesse non rimanga virtuale ma si concretizzi velocemente in un’attività, all’interno del gruppo.
Un concetto importante che l’insegnante si deve fissare in mente è che, chiunque si presenti, necessita di essere ascoltato e compreso e che ha esigenza di trovare qualcuno che capisca quali sono i suoi bisogni e le aspettative che nutre.
L’insegnante, soprattutto nella fase iniziale, deve svolgere questa delicata funzione di ascoltatore “empatico” , cercando di mettersi nei panni di chi ha davanti, per meglio comprendere le esigenze particolari e potere, quindi, proporre un piano formativo mirato.
 Se l’insegnante non riesce, di volta in volta, a sintonizzarsi con il cliente, rischia di proporre percorsi formativi o attività non richieste, che possono essere addirittura contrarie alle aspettative, demotivando il soggetto e costringendolo a cercare altrove.
Se il cliente che si presenta è confuso o ha solo una vaga idea di ciò che vorrebbe praticare, è opportuno instradarlo all’interno di uno dei diversi percorsi formativi previsti e cercare, insieme, di fare chiarezza sull’argomento di maggiore interesse.
Meno l’insegnante è capace di aiutare i clienti a chiarirsi le idee, più é facile che gli allievi siano inseriti in gruppi dove vengono praticate attività non desiderate, abbandonando definitivamente il corso dopo poche lezioni.
L’insegnante deve avere sempre sotto mano un depliant all’interno del quale siano elencate le diverse attività e riportate le spiegazioni generali circa la tipologia della pratica e gli obiettivi da raggiungere. Cosa fondamentale è chiarire sin dall’inizio che, a prescindere dall’attività presa in considerazione, è sempre previsto un percorso formativo con esami e passaggi di grado, senza i quali non è possibile accedere ai programmi superiori.
L’orientamento è un momento delicato e fondamentale per l’aspirante allievo; scegliere di praticare una determinata disciplina significa proiettare le proprie capacità, desideri , speranze e potenzialità in un percorso dall’esito spesso incerto. Orientare vuol dire riuscire a mettere in relazione le varie informazioni e cercare di confrontarle, in modo tale da poter costruire strategie funzionali per comprendere i meccanismi che regolano particolari realtà (in questo caso saper distinguere fra i vari corsi di Arti Marziali e scegliere quello che più si avvicina alle aspettative del soggetto). Al centro del processo di orientamento è posto l’individuo, la sua identità e i desideri che nutre; è questi il protagonista del proprio percorso formativo, ecco perché deve fare attenzione prima di scegliere di frequentare un determinato corso di Arti Marziali. Sarebbe opportuno che, oltre alla frequenza ad alcune lezioni introduttive, l’aspirante allievo effettuasse alcuni colloqui con l’insegnante, sia per conoscerlo meglio, sia per cercare di capire, insieme a lui, quale strada percorrere. Da questi colloqui dovrebbero emergere le attitudini del soggetto, le aspirazioni che nutre, i valori e la personalità che possiede. Dovrebbero inoltre emergere i principi che regolano le varie discipline, le abilità di base che occorre possedere per poter apprendere determinate tecniche e quali sono le didattiche utilizzate di norma durante gli allenamenti .
Una volta che il cliente è riuscito ad individuare l’attività a lui più congeniale, occorre aiutarlo ad inserirsi nel gruppo, favorendo gli esercizi in coppia, soprattutto durante le prime lezioni.
E’ fondamentale dare accenni teorici e filosofici delle diverse tecniche mentre gli allievi stanno praticando, in modo da favorire una maggiore comprensione dei movimenti ed una motivazione sempre più profonda nel ripetere determinati gesti.
I movimenti di base sono i più importanti perché riguardano gli esercizi di coordinazione, la capacità di muoversi in maniera rilassata e le forme di visualizzazione.
Per esercizi di coordinazione si intende l’insieme di passaggi da una posizione ad un’altra, attraverso precisi movimenti delle braccia e delle gambe, dove il busto si deve spostare secondo una logica precisa. Questi primi rudimenti sono molto noiosi e non possiamo pretendere che i nuovi allievi impieghino tutta la lezione a provare di continuo le sequenze dei movimenti come, ancora oggi, accade nelle scuole tradizionali. I movimenti di base sono necessari ma occorre esercitarli, inserendoli in contesti più dinamici, dove siano coinvolti anche altri allievi e utilizzati strumenti come bastoni o spade. Per fare un esempio, anziché costringere un allievo a praticare le posizioni di base con le gambe in modo statico, è meglio stimolarlo ad eseguire movimenti in coppia con i bastoni lunghi, dove è necessario assumere precise posture.
Allenandosi a coppia e con strumenti nuovi, il praticante è più stimolato a ripetere certi movimenti e posizioni, anziché eseguire da solo, sequenze interminabili e tecniche noiose.
L’insegnante deve tenere sempre a mente che è l’allievo al centro del sistema e non lo stile o la tecnica, è il programma che deve adattarsi all’allievo e mai viceversa; questa è stata la rivoluzione copernicana che è avvenuta nel mondo delle Arti Marziali (da Bruce Lee in poi) e che, in questa sede, prende il nome di “Educazione Gestuale”.
Iniziamo adesso a considerare gli esercizi di rilassamento, fondamentali nell’Educazione Gestuale perché senza rilassamento muscolare non c’è sensibilità e senza sensibilità non c’è possibilità di ascolto. Tutta l’educazione gestuale mascherata con le tecniche delle Arti Marziali, è un processo di graduale sensibilizzazione, attraverso un rilassamento muscolare sempre più profondo ed intenso, in modo da permettere alla mente di percepire ogni minima variazione all’interno del corpo e nell’ambiente circostante.
Generalmente evitiamo di dire al soggetto di rilassare la mente o cose simili, perché per esperienza sappiamo che è difficile comandare a se stessi di smettere di pensare a ciò che ci assilla o che ci preme in quel preciso istante; occorre invece utilizzare degli espedienti, invitando il praticante a portare l’attenzione in determinate parti del corpo, come ad esempio il basso ventre, il centro della testa, la pianta dei piedi e, se necessario, effettuare delle leggere pressioni con le mani per facilitare questo processo.
 Due esercizi importanti per stimolare la sensibilità, soprattutto per gli adulti, sono il Chi-Sao ed il Tui Shou.  Il primo è caratteristico del Wing Chun e fa parte degli stili tradizionali del sud della Cina, il secondo, invece, lo ritroviamo nell’allenamento del Tai Chi ed è fondamentale per lo sviluppo della sensibilità e del radicamento .
Tenendo le braccia o le mani in contatto, è possibile imparare ad “ascoltare” il compagno, le pressioni che esercita, gli irrigidimenti e le tensioni; è attraverso l’altro che si comincia a conoscere se stessi, le proprie paure e i propri limiti.
Il Tui Shou si esercita a coppie e concerne due movimenti fondamentali: premere e tirare indietro. Occorre essere rilassati, assumere un atteggiamento rotondo e muoversi in maniera unitaria, con il peso del corpo che si sposta agilmente da una gamba all’altra.
Occorre esercitare una forza che deriva dalla coordinazione di tutto il corpo, che non sia esclusivamente muscolare ma provenga dall’ascolto dei movimenti del compagno; il premere, ad esempio, deriva dal tirare indietro dell’altro e l’inspirare dell’uno, corrisponde l’espirare dell’altro .      
L’altro funge da specchio e, nel mostrarsi, mette a nudo le qualità di chi ha davanti; è un elemento necessario perché apre un mondo altrimenti inaccessibile e del quale, adesso, il soggetto può finalmente prendere visione.
La relazione con l’altro porta l’individuo davanti ad un mondo di possibilità, si aprono nuove porte che aiutano a prendere coscienza del fatto che “esiste dell’altro”, è presente un’altra dimensione e una diversa realtà. Questo “entrare in sintonia” con l’altro, significa solamente cercare di mettersi sulla medesima lunghezza d’onda, senza nessuna pretesa di attribuire giudizi, interpretazioni o fare diagnosi.
<<L’altro è la sorgente della consapevolezza di noi stessi e della nostra realtà profonda>>”
  L’altro non rappresenta solamente l’immagine positiva che abbiamo costruito di noi stessi, anzi, spesso chi abbiamo di fronte riesce a mettere in luce gli aspetti più nascosti della nostra personalità e che sentiamo come avversi, estranei e pericolosi. Questo confronto con l’altro è però necessario, senza il quale, vengono a mancare gli strumenti indispensabili all’ascolto interiore e alla conoscenza di se stessi.
Insomma, al praticante, fin dalle prime lezioni, deve essere chiarito il concetto che, per imparare a sensibilizzare il corpo, è necessario il contatto fisico con il compagno, cercando di seguire i suoi movimenti con le braccia e con le gambe, senza mai irrigidire gli arti. Il contatto permette di entrare a far parte di un sistema in cui all’azione dell’uno, corrisponde un adeguamento dell’altro, reagendo in maniera sensata e opportuna a determinate stimolazioni. Se il compagno spinge con le braccia, occorre imparare a cedere, a sentire che una forza ci attraversa e che bisogna adeguarsi ad essa per annullarla o farle cambiare direzione.
Occorre inoltre insegnare agli allievi le tecniche di coordinazione, come calciare e tirare i pugni simultaneamente, eseguire particolari movimenti stando in equilibrio su una sola gamba ed utilizzare spade e bastoni con precise posizioni del corpo. Il Wu Shu moderno rappresenta un ottimo sistema per cominciare ad addestrare i praticanti, infatti, esso rende i movimenti degli allievi più fluidi ed elastici, migliora la capacità di elevazione e sviluppa la memoria, con le lunghe sequenze di movimenti codificati, talvolta anche molto complessi .
Per quanto concerne l’educazione gestuale rivolta ad un gruppo di bambini,l’approccio                     migliore è quello proposto  da Yoshinau Nanbu, il quale, ritiene che l’insegnante debba
sviluppare una particolare attitudine pedagogica, basata essenzialmente su tre principi:
. la capacità di creare un’atmosfera di allenamento rilassante ma allo stesso tempo conforme alle regole e al rispetto dell’insegnante e di tutti i praticanti;
. la capacità di stimolare i bambini a scoprire da soli le caratteristiche e i concetti fondamentali della disciplina, senza mai dover ricorrere ad atteggiamenti autoritari;
. la comprensione che la tecnica, qualunque essa sia, non è mai fine a se stessa ma contribuisce in maniera determinante allo sviluppo delle potenzialità del soggetto in formazione. Gli esercizi di base per bambini, devono essere strutturati in maniera da sviluppare l’equilibrio, il ritmo (o percezione del tempo) e la capacità di percepire lo spazio intorno. Occorre inoltre che i bambini comprendano sin dalle prime lezioni l’importanza della pace e della gentilezza come fondamento di tutte le azioni, la disciplina delle passioni istintive violente e la capacità di gestire in maniera armoniosa le relazioni con gli altri. Imparare a rispettare gli altri è il primo passo per cominciare a rispettare se stessi e ad entrare in una determinata disposizione mentale, atta a favorire il  manifestarsi di sentimenti positivi ed elevati. Occorre inoltre aiutare il bambino a disciplinare alcuni comportamenti, come l’attenzione, il controllo di sé, la pulizia, la precisione, la calma e la serenità interiore.
E’ importante infine aiutare il soggetto ad aprirsi al mondo, a distendersi e rilassarsi, abbandonando ogni atteggiamento di rifiuto e di chiusura in se stesso, in modo da favorire il dialogo e il confronto con la realtà esterna. Aprirsi fisicamente significa liberarsi ed esprimersi in maniera autentica e personale, esponendosi al mondo esterno con fiducia e creatività .


4.2 Programmi per i gradi avanzati

Nel precedente paragrafo abbiamo parlato circa l’importanza dello studio del Chi Sao e del Tui Shou , fin dalle prime lezioni, al fine di abituare l’allievo al contatto con i compagni e a lavorare sulla sensibilità. Questi esercizi rappresentano il fulcro dell’educazione gestuale e non devono mai essere tralasciati, neppure dopo molti anni di pratica e di esercitazioni; terminato il noviziato (che dura un anno circa), gli studenti possono iniziare alcune applicazioni a coppia che hanno per oggetto lo sviluppo della sensibilità e la capacità di sentire le pressioni del compagno, attraverso spinte e strattoni.
Gli esercizi che proponiamo sono quelli caratteristici dello Judo (per quanto concerne la lotta) e dell’Aikido (per la gestione della forza del compagno), tuttavia, al praticante deve essere chiarito immediatamente che lo scopo di queste tecniche non è l’autodifesa o il combattimento a mani nude ma l’evoluzione interiore che avviene attraverso la coordinazione della mente con il corpo e lo studio della sfericità dei movimenti, neutralizzando le forze provenienti dall’esterno (avversario).  
Le tecniche a coppia aiutano inoltre a dare maggior ritmo alle lezioni, rendendo la pratica più stimolante e ricca di variabili, infatti, il nemico numero uno delle Arti Marziali è la noia, che favorisce l’insorgere di automatismi inutili, di demotivazioni varie e di rinunce. La pratica deve essere sempre piacevole; laddove esiste sacrificio e sofferenza non cresce niente di buono perché l’evoluzione personale è, sì, faticosa ma mai dolorosa, anzi, tutte le attività devono svolgersi nella maniera più serena e in un ambiente stimolante, altrimenti, si corre il rischio di far fiorire unicamente sentimenti di ostilità e competizione, dannosi alla reale crescita interiore.
E’ importante, inoltre, che le tecniche a coppia siano alternate agli esercizi di Qi Gong statici e dinamici; il testo di Carlo Moiraghi  “Qi Gong”  dà alcune indicazioni stimolanti per quanto riguarda la pratica delle varie metodiche che compongono l’allenamento bioenergetico e psicofisico.
Prima di iniziare l’allenamento vero e proprio, è opportuno massaggiare il tronco con le mani, eseguendo pressioni con movimenti rotatori e rilassando in seguito; il contatto in prossimità dell’ombelico, è molto importante e tutta l’attenzione deve essere diretta in quella particolare area. Riunendo le mani è possibile iniziare a massaggiare in maniera circolare i lombi, mentre il bacino esegue una rotazione continua, senza tensioni o irrigidimenti. Successivamente, è opportuno cominciare ad eseguire l’allenamento in piedi, sperimentando la posizione eretta; le braccia rilassate lungo i fianchi, la testa dritta, i piedi paralleli e le gambe leggermente flesse. L’attenzione deve essere portata al centro della testa, dove un filo immaginario compie una trazione verso l’alto, costringendo la spina a drizzarsi e a distendersi. Il bacino è leggermente curvato in avanti e il respiro profondo, come se l’aria dovesse scendere e filtrare in tutto l’organismo.
  Il passo successivo è l’esercizio della sfera, che consiste nell’immaginare di tenere fra le braccia una palla piuttosto grande, di materiale fragile; la pressione su di essa non deve essere eccessiva altrimenti si rischia di distruggerla ma neppure troppo delicata perché potrebbe cadere. La sfera può essere tenuta a livello del bacino oppure dello sterno, le gambe hanno la medesima apertura delle spalle e i piedi sono sempre paralleli. Uno degli inconvenienti di questa pratica, soprattutto per i principianti, è l’eccessiva tensione che si avverte alle spalle dopo un po’ che si mantiene la posizione; onde evitare di assumere posture scorrette per compensare il dolore e la fatica, è consigliabile portare le braccia verso il basso, rilassarle lungo il tronco e riprendere l’allenamento successivamente. Siccome le spalle devono essere tenute sempre rilassate, è opportuno utilizzare degli stratagemmi che mettano i muscoli in condizione da affaticarsi il meno possibile. E’ importante immaginare che il livello dell’acqua nella quale si è immersi, aumenti gradualmente e costringa le braccia a sollevarsi, molto, molto lentamente, in seguito, quando avvertiamo fatica, immaginiamo che l’acqua se ne vada, riportando le braccia lungo i fianchi.
Le sfere possono essere considerate anche di fianco a noi, sui palmi delle mani, sopra di noi, ecc. l’importante è avvertire sempre la sensazione di rotondità e di consistenza sul nostro corpo, come se esse fossero realmente presenti. Il passo successivo è la rotazione delle sfere lungo il corpo, sulle ginocchia, fra le dita, lungo il torace in un continuo sali scendi.
In seguito è opportuno continuare con gli esercizi del rilassamento muscolare che consistono in una serie di azioni, come spingere, tirare, sollevare corpi e rilassarsi successivamente. I corpi possono essere l’immagine del cielo che deve essere sollevato sopra la nostra testa, per evitare di rimanere schiacciati, oppure, la terra che deve essere spinta via con una mano mentre l’altra continua a sostenere il cielo.
E’ possibile spingere via degli oggetti lateralmente, imitare l’arciere che tende l’arco per scoccare via la freccia, sferrare i pugni all’interno di fluidi viscosi immaginari; l’importante è il lavoro della mente perché sono le immagini che guidano le azioni, aiutando il praticante  ad avvertire la sensazione di essere un tutto integrato ed una forza unitaria.
Gli esercizi successivi possono essere eseguiti stando seduti a terra, con le gambe incrociate cercando di mantenere i lombi, la schiena ed il tronco ben eretti; si prosegue, incrociando le mani dietro la testa per massaggiare le orecchie, le tempie ed il centro della testa con i palmi e con le dita. Occorre effettuare delle oscillazioni con il busto, roteando dolcemente le spalle e respirando in maniera molto profonda, infine, è possibile terminare con la distensione delle braccia verso l’alto, poi in avanti verso i piedi ed infine, tornare in posizione raccolta, con le mani sul basso ventre, cercando di avvertire una piacevole sensazione di calore.
La pratica nutriente rappresenta un allenamento successivo, finalizzato all’accettazione del soggetto, dell’energia messa a disposizione da parte dell’ambiente, del cielo e della terra affinché il praticante possa rigenerarsi ed aumentare la propria vitalità. Il corpo assume una postura di “accettazione”, le braccia sono aperte verso l’alto o verso terra e possono compiere delle rotazioni, in prossimità del bacino. Si prosegue con le tecniche rinforzanti (riferite al funzionamento dei reni, del cuore, della milza e dei polmoni), basate sul contatto delle mani con il ventre, inspirazioni ed espirazioni accompagnate da flessioni e distensioni. Infine, ci sono le camminate, con torsioni del busto ed un passo leggero, cadenzato e morbido, una respirazione ritmata ed un adeguato controllo del peso.
I praticanti di livello successivo, possono cominciare a fare delle camminate, immaginando di essere immersi all’interno di un fluido viscoso, come il miele, dove tutti i movimenti sono resi difficoltosi e molto rallentati. Quest’allenamento aiuta a percepire il corpo nella sua interezza perché ogni movimento delle braccia e delle gambe viene ostacolato dall’immagine del fluido che non permette al praticante di camminare o gesticolare liberamente. Le braccia sono disposte lungo i fianchi e i palmi delle mani rivolte verso il basso, come se, ad ogni passo, dovessero avvertire la sensazione della superficie del fluido che scorre. Un’altra tecnica di visualizzazione consiste nell’oscillare il peso da una gamba all’altra, immaginando che vi siano correnti d’aria che provengono, mentre ci spostiamo in avanti, sulla faccia e sul ventre, invece, quando torniamo indietro, sul dorso. Più l’immagine è vivida e più il corpo reagirà in maniera opportuna, rendendo efficace l’allenamento.
    Un nuovo esercizio può essere quello della sfera pesante da spingere in avanti, portando il peso sulla gamba avanzata e stendendo il busto e le braccia di fronte; una volta terminata l’azione, invece, la visualizzazione cambia e occorre pensare di avere degli elastici legati sulla punta delle dita, che impediscono alle braccia e al busto di ritrarsi indietro.
E’ interessante continuare l’allenamento cercando di esprimere in maniera esplosiva tutto il potenziale accumulato attraverso gli esercizi precedenti; si immagina di stringere tra le mani una pesante palla di ferro e di scagliarla violentemente contro il muro per poterlo abbattere. Le mani sono morbide e le braccia rilassate; il movimento si effettua partendo dal basso ventre e lasciando andare il peso verso il basso. Le braccia vengono scagliate violentemente in avanti, le mani vibrano come fossero una frusta e tutto il corpo si coordina come se stesse cadendo, con un piccolo passo in vanti, verso il terreno. I movimenti esplosivi possono essere eseguiti anche immaginando di avere delle fruste alle mani e di scagliarle violentemente di lato, oppure, effettuando movimenti repentini di apertura delle braccia, pensare di strappare energicamente degli stracci .
Si conclude questo breve excursus di tecniche con le camminate in cerchio, prendendo come riferimento un albero o un palo; il praticante coordina i passi con i diversi movimenti delle braccia, effettuando aperture e chiusure verso l’alto e verso il basso. Si continua con i palmi spinti in avanti e indietro, alternando il movimento del braccio destro con quello sinistro ed eseguendo torsioni con il busto.
Si perfeziona il tutto con l’atteggiamento Tai Ji, invogliando il praticante ad eseguire movimenti rilassati e continui, in maniera leggere, ritmata, cercando di avvertire la sensazione del libero fluire all’interno del corpo, senza interruzioni e blocchi. Le tecniche a coppia aiutano ad avvertire il fluire della corrente vitale e strumenti come spade, bastoni, lance e sciabole aiutano a migliorare la percezione di particolari sensazioni e a rafforzare posture, tecniche e posizioni. Si inizia a sollevare le braccia e a spingerle verso il basso, ad effettuare rotazioni e a respingere un avversario immaginario, coordinando lo spostamento del corpo in avanti con le braccia che si distendono lentamente. Si preme in avanti con le braccia mentre si espira e si ritirano gli arti superiori inspirando, facendo oscillare il peso dalla gamba arretrata a quella avanti e viceversa.
Per quanto riguarda i bambini, naturalmente, queste tecniche non possono essere adottate, a causa della scarsa dinamicità dei movimenti e del limitato spazio dedicato alla dimensione del gioco. Sarebbe a mio avviso più opportuno, come già più volte accennato, insistere molto sulle tecniche del Wu Shu moderno, sull’uso dei calci di tutti i tipi e sull’utilizzo dei diversi strumenti, come sciabole, spade e bastoni. Le forme possono essere create dagli istruttori insieme agli allievi; non occorre necessariamente obbedire alle regole e alle impostazioni dei testi ufficiali, basta semplicemente prendere spunto dai molti libri tecnici e dai video didattici, oggi largamente diffusi e pubblicizzati dalle diverse riviste di Arti Marziali . Dalle esperienze passate, ho costatato che i bambini erano molto attratti dallo studio dei movimenti animali, quindi, sarebbe opportuno aiutarli ad immedesimarsi, fin dalle prime lezioni, nella forza e nell’aggressività della tigre, nella fluidità e rapidità del serpente, nella leggerezza della gru, nella pesantezza dell’orso, nella freddezza e repentinità della mantide religiosa ecc. Utilizzando grossi guanciali, è possibile sperimentare l’artiglio della tigre, mentre i bastoni sospesi e disposti in posizione parallela rispetto al terreno, servono per compiere gli attacchi a mano aperta del serpente o le zampate della mantide. Le tecniche della gru possono essere esercitate montando sul tappeto, alcuni assi di legno disposti in maniera diversa, affinché il bambino possa rimanere su una gamba sola e roteare le braccia come se fossero ali, passando con un salto da una parte all’altra della costruzione. La scimmia si esercita cercando di imitare le sue smorfie, effettuando i calci con le mani poggiate sul terreno, roteando braccia e mani  sulla testa e davanti alla faccia. Occorre inoltre imparare la camminata tenendo i polsi sul terreno e giocando con una pallina, che scorre liberamente da una mano all’altra. Il drago invece, animale mitico e leggendario, ha la caratteristica della fluidità e della leggerezza, nonostante le tecniche siano veloci e particolarmente potenti.
Per quanto concerne l’ubriaco, l’addestramento avviene attraverso la libera imitazione degli atteggiamenti dell’uomo in preda ai fumi dell’alcool, camminando in maniera scombinata e gesticolando scompostamente. Occorre imparare gli esercizi caratteristici del tenere la fiaschetta ed il bicchiere, imitando con le dita le diverse posizioni, inoltre, è importante cercare di utilizzare i polsi ed il dorso delle mani, al fine di attaccare e deviare la traiettoria dei colpi. L’ubriaco utilizza un’infinità di strumenti, come il ventaglio, la panca, la pipa, il bastone, le lance, le spade e le catene. E’ molto importante che il bambino, nel muoversi, adotti sempre il giusto atteggiamento, scomposto e sgraziato, con improvvisi cambi di velocità e mantenendo la scioltezza dei movimenti. L’allenamento dell’ubriaco prevede inoltre la possibilità di utilizzare diversi ostacoli (come barattoli o bicchiere) da disporre a terra, affinché il soggetto, possa oscillando da una parte all’altra, imitare il passo pesante dell’ubriaco, scansando agilmente tutti gli oggetti.
La caratteristica fondamentale dell’ubriaco è la scioltezza dei movimenti, per cui, spetterà all’insegnante studiare metodi diversi di allenamento, affinché il bambino possa apprendere e colpire con gli arti in maniera imprevedibile, a prescindere dalla posizione in cui si trova. Occorre imparare a gettarsi a terra, a roteare e colpire, a rialzarsi velocemente e ad oscillare, fingendo di cadere da una parte per poi colpire dall’altra.  
Sono interessanti, infine, gli esercizi a coppia, in cui ogni praticante, rispettando le regole del proprio stile, cerca di provocare il compagno che dovrà rispondere e reagire in maniera opportuna. Maggiore è stato l’impegno verso lo studio del proprio stile e migliore sarà il risultato in termini di coreografia, fluidità, precisione dei movimenti e potenza. Gli stili di imitazione aiutano il bambino a rappresentare se stesso attraverso il movimento “immaginato” del personaggio o dell’animale e a immedesimarsi in ciò che più lo affascina e lo stimola; una vera e propria metamorfosi atta a sviluppare abilità in termini fisici e psichici, mediante una gestualità sempre più fluida e dinamica.


4.3 Gli Esercizi superiori: alcune proposte

In questo paragrafo prenderemo in considerazione due aspetti fondamentali che rappresentano, a mio avviso, il fine ultimo dell’Educazione Gestuale: la pace interiore e la libera espressione di sé. Il primo traguardo si raggiunge attraverso un percorso meditativo, che va a perfezionare e a completare quello del Qi Gong e del rilassamento globale, già descritti nei precedenti paragrafi.
La meditazione rappresenta un lavoro su di sé, attraverso l’addestramento psichico, la disciplina della sensibilità e l’autoeducazione; il fine è il recupero del senso di sé e la pienezza del proprio essere, troppo spesso oscurati dalla frenesia e dalle distrazioni eccessive della vita moderna. La meditazione serve a raggiungere uno stato di acquietamento ed una presa di distanza dagli eccessivi coinvolgimenti, necessari per sviluppare la consapevolezza e il trascendimento di sé.
La meditazione aiuta, in altri termini, ad intuire la realtà nel suo insieme, attraverso l’impegno individuale e l’auto – responsabilità; perché ciò avvenga occorre che il soggetto impari a liberarsi dai vincoli delle convinzioni e dai blocchi di natura psicologica, rifiutando ogni forma di sottomissione, di obbedienza ed attaccamento a qualsiasi livello (materiale, concettuale, emotivo, ecc.).
La meditazione, se correttamente esercitata, rappresenta un mezzo fondamentale per superare momenti di crisi, attraverso l’auto – raccoglimento e il recupero dell’equilibrio interiore. Riequilibrare le emozioni non significa spegnerle, bensì riuscire a costruire una terra protetta intorno al mare in tempesta delle passioni, convertendo gioie e sofferenze in gradini di crescita spirituale. Il metodo meditativo serve a riscoprire il senso dell'esistenza, la gioia dell'essere e la piacevolezza della vita, attraverso un ridimensionamento graduale delle ansie e delle preoccupazioni assillanti La pratica meditativa si ottiene mediante la quiete del corpo, il senso di diffuso benessere, la tranquillità della mente (intesa come centro di piacere), la presa di distanza dal proprio io comune e dall’attività mentale quotidiana. Il senso di piacevolezza e di rilassamento è conferito dallo spostamento della visuale, dal controllo dell’attività mentale alla profondità del proprio essere, in cui immagini mentali e pensieri divengono lontani, attutiti, meno opprimenti e pesanti, quasi fossero estranei. Il lavoro meditativo conferisce, gradualmente, la capacità di vivere e gestire al meglio le proprie esperienze, aiutando a fare chiarezza fra le idee, a scindere fra le diverse opinioni, a non essere una barca in balia delle onde ma un soggetto consapevole e costantemente presente a se stesso.
Il giusto atteggiamento meditativo è quello che permette di vivere le emozioni e le passioni, come se in realtà non ci appartenessero; sempre vigili al loro apparire, intensificarsi e dissolversi ma mai giudici o reattivi nei loro confronti. Condanna e assoluzione, attaccamento o ostilità non aiutano il praticante a mantenere la condizione interiore di equilibrio, di imperturbabilità e di distacco, necessari per riuscire a divenire padroni di sé e a non perdersi nel caos delle distrazioni mondane.
Tutto ciò che circonda l’uomo e lo avvolge è transitorio, mutevole e passeggero, tuttavia, l’individuo possiede un centro stabile (che è la profondità del proprio essere, quella concentrazione calma e priva di passioni deteriori), dal quale è possibile ricavare il fulcro, inteso come centro di attivazione.
La pratica meditativa si può disporre su tre livelli: la prima riguarda il distanziamento dai valori tradizionali, dall’educazione ricevuta, dai ruoli assunti e dalla realtà sociale di appartenenza; la seconda ha a che vedere con l’auto – isolamento dalla realtà del corpo e dalla mente (nel senso delle idee, convinzioni, schemi, ecc.); nel terzo ci riscopriamo come nucleo di “consapevolezza”, che non è identificabile né con il corpo né con la mente, disposto oltre i vari ruoli sociali e le diverse realtà contingenti.
L’esercizio meditativo aiuta il praticante a prendere coscienza di un fenomeno naturale comune a tutti gli esseri viventi: il distacco progressivo dalla vita. Le passioni, il dolore, i legami terreni, esistono per uno scopo preciso, ossia, quello di reciderli e superarli, passo dopo passo, fino a riscoprire la nostra natura più autentica. La sofferenza deriva unicamente dall’ipertrofia dell’Ego, ossia, dal bisogno continuo di affermare se stessi attraverso il riconoscimento sociale ed il possesso di oggetti costosi. Tutto ciò si può tradurre come “incapacità di bastare a se stessi” ed è un handicap tipico di menti non ben coltivate, aride o, in ogni modo, non nutrite in maniera appropriata. La meditazione aiuta ad andare alla ricerca di un’esistenza autentica, ossia, slegata dai bisogni indotti, generati dalla società, che spingono ad un consumo sempre più esasperato, al guadagno facile, alla competitività accesa e alla necessità di primeggiare. La ricerca affannosa, il desiderio incontrollato e l’ambizione, inducono ad un’esistenza inautentica, lontana dalla naturale piacevolezza della vita, dalla semplicità del respirare, nutrirsi ed amare. Ricercare la semplicità attraverso la meditazione, significa andare alla scoperta degli antidoti contro i mali di natura sociale, contro tutto ciò che crea dipendenza e sofferenza. La meditazione è un mezzo necessario per aiutare le persone a prendere coscienza dello scorrere della vita, della necessità del distacco da ciò che attrae e da ciò che ripudia, imparando a contemplare la realtà, ben oltre le sensazioni soggettive e l’ossessivo riferimento al proprio ego. Una volta raggiunta la capacità di mettersi tra parentesi ed evitare il continuo riferimento a se stessi, è possibile vivere la realtà non più in termini di malessere e benessere, bensì in una condizione di equilibrio interiore, di calma e di imperturbabilità, necessari per imparare ad approfondire i significati del dolore, del piacere, della vita e della morte, al di là delle semplici categorizzazioni logiche e delle risposte razionali. Meditare vuol dire, infine, educare la propria interiorità, ossia, prestare attenzione ai diversi sentimenti, ai moti d’animo, cercando di identificarli e scoprire le varie relazioni. Una volta fatta luce nella propria interiorità, occorre appellarsi ad una guida superiore, capace di indirizzarci e consigliarci saggiamente nelle scelte importanti della vita, con distacco e disinteresse. Questo mettersi fra parentesi è una condizione necessaria che permette di distaccarsi, momentaneamente, dalla realtà per poter meglio osservare il corso degli eventi, senza lasciarsi travolgere dalle passioni, dai pregiudizi e dalle convinzioni maturate con l’esperienza .      
Le tecniche meditative possono essere moltissime; in questa sede prenderemo in considerazione quelle più importanti e alla portata di tutti, adottando i criteri del Maestro Jou Tsung Hwa, riportati nel libro <<il Tao della Meditazione>>:
.Concentrazione: metodo che permette di convogliare l’attenzione su un oggetto qualsiasi, cercando di limitare il più possibile l’interferenza di pensieri disturbanti. L’attenzione può essere diretta anche verso una zona precisa del proprio corpo, focalizzando, ad esempio, le energie verso il punto Tan - Tien, posto tre dita al di sotto dell’ombelico e due dita verso l’interno.
.Contemplazione: metodo che utilizza l’immaginazione come strumento per prendere coscienza della propria interiorità, dove i pensieri sono scissi e considerati come realtà a se stanti; il fine è riuscire a raggiungere importanti rivelazioni sulla propria natura e sulla realtà che stiamo vivendo.
.Autoindagine: ricerca della propria essenza attraverso l’autointerrogazione; partendo da conoscenze esterne, come il nome o la professione, si procede sempre più in profondità, cercando di cogliere se stessi al di là delle caratteristiche o degli attributi che ci costituiscono ma che non ci completano mai totalmente.  
.Meditazione libera: si tratta di una tecnica che ha la caratteristica di non essere strutturata ma lasciata libera di contemplare ciò che più si ritiene opportuno, andando ad indagare e ad esaminare un’immagine, un concetto, ecc.; lo scopo è rimanere focalizzati il più possibile sul tema, senza divagare o lasciarsi assorbire da altro.
.Meditazione del suono: è un metodo particolare, consigliato soprattutto alle persone che hanno difficoltà a concentrarsi su un’immagine o un pensiero. Il suono ha la caratteristica di stimolare in maniera sensibile l’organismo, per questo, è più semplice riuscire a portare l’attenzione su di esso, senza lasciarsi troppo distrarre da altri pensieri.
.Esercizio del respiro: è un tecnica semplice che consiste nel portare l’attenzione sulla fase di inspirazione e di espirazione, cercando di percepire i cambiamenti che avvengono all’interno dell’organismo, come la dilatazione toracica, dell’addome, ecc. E’ possibile poggiare le mani su una zona qualsiasi del corpo, affinché il soggetto possa
concentrare l’attenzione su di esso, minimizzando le possibili distrazioni.
.Meditazione dinamica: è quella caratteristica del Tai Chi Chuan, ossia, del movimento rilassato e continuo, senza blocchi o irrigidimenti di sorta; la mente è sgombra da ogni pensiero e il corpo si muove obbedendo alle proprie leggi. Le tecniche meditative hanno lo scopo di alleggerire il praticante dal peso delle preoccupazioni, dai pensieri e dai condizionamenti che si stratificano nella mente, fino a condizionare in maniera nociva il corpo e la sua stessa esistenza. La meditazione dinamica aiuta il soggetto a liberarsi da ogni limitazione attraverso la continuità e la cedevolezza dei movimenti, senza preoccuparsi, durante l’esecuzione della forma, della correttezza tecnica o dei passaggi complicati da dover imparare a memoria. Dimenticare le tecniche significa riuscire a spogliarsi del peso che grava sulle nostre spalle, avvicinandoci sempre di più alla via che porta all’autenticità e alla libera espressione di sé .
La meditazione può essere eseguita stando seduti, su una sedia o per terra, portando la lingua sul palato per raccogliere la saliva; una volta deglutita, essa aiuta ad aumentare la vitalità e il vigore. Le mani sono rilassate e poggiano sulle ginocchia, l’attenzione viene sempre portata sul Dan tien, gli occhi sono chiusi e i muscoli rilassati. La meditazione può essere esercitata anche in posizione eretta, meglio se al sole o comunque all’aria aperta, come in un bosco o in giardino. Le mani poggiano sull’addome, il busto è leggermente flesso in avanti e l’aria espirata deve essere sentita come sostanza stantia da espellere completamente dal corpo. Durante l’inspirazione, invece, l’aria salubre attraversa e penetra in tutto l’organismo; è importante imparare a trattenere il respiro per alcuni secondi, cercando di avvertire una sensazione di calore nella zona del Dan Tian. La mente svolge un ruolo primario, infatti, è opportuno dirigere l’energia e l’attenzione prima verso il Dan Tian, successivamente, verso le gambe e, progressivamente, in tutte le parti del corpo, come schiena, testa, ecc.
Meditare camminando è un’altra tecnica che può servire a mantenere in allenamento tutto il corpo, attraverso la ricerca dell’equilibrio tra mente, movimento e respiro. Le spalle sono rilassate, il busto è dritto e la testa ben in linea; lo sguardo è tenuto sempre avanti e la mente concentrata, attenta a non lasciarsi perturbare dai soliti pensieri angosciosi.
Sonno e meditazione sono da considerare due realtà interagenti e integranti; le mani sono poggiate sull’addome e aiutano a premere con i palmi durante l’espirazione, in modo da far uscire l’aria residua. Stando su un fianco, invece, è importante tenere il palmo della mano sotto la guancia che poggia sul guanciale e premere con il pollice contro il punto yi-fung, posto in prossimità della cavità dell’orecchio, dove la mandibola incontra il cranio. Questa pratica, completata con le pressioni contro il tessuto morbido posto dietro le ginocchia, aiuta ad accumulare il potenziale energetico, tuttavia, la mente gioca sempre un ruolo fondamentale ed è consigliabile cercare di mantenerla sempre sgombra e rilassata, se si vogliono ottenere buoni risultati in termini di rilassamento e vigore.
La meditazione in posizione accovacciata, invece, consente di aumentare il livello energetico all’interno del corpo ed è possibile avvertire questa sensazione, attraverso l’innalzamento della temperatura del torace. Questa pratica aiuta a drizzare la spina dorsale, a regolare il respiro e a donare serenità alla mente; il collo viene piegato verso il dorso, le mani sono poste sopra gli occhi e le spalle sono incurvate. La mente dirige la propria attenzione dal Dan Tien alla base della spina dorsale e, dall’addome, alla parte posteriore del cranio. Il flusso energetico termina con la produzione e la raccolta di saliva che, una volta deglutita, ricomincia il ciclo da capo .
Chi pensa che le pratiche meditative appartengano esclusivamente alla cultura orientale, sbaglia di grosso; Duccio Demetrio nel suo interessante lavoro “L’educazione interiore”, cita i Maestri occidentali più rappresentativi nello studio delle pratiche di elevazione spirituale, necessarie alla coltivazione dell’esperienza interiore.
Riportiamo di seguito gli autori che hanno contribuito in maniera efficace allo sviluppo di metodi funzionali per la cura di sé, l’autoperfezionamento e l’ascolto interiore.
Nel pensiero di Seneca (4 a.C.-65) possiamo trovare l’isolamento meditativo come condizione necessaria per la ricerca di sé, attraverso il ritiro in se stessi e la continua introspezione.
L’autoripiegamento e la fuga in se stessi rappresentano un mezzo essenziale per il raggiungimento del dominio di sé e la cura della propria storia individuale, necessari per riappropriarsi del proprio tempo e comprenderne i significati più nascosti.
In Galeno (129-200 ca.), invece, ritroviamo il concetto di autodisciplina intesa come pratica volta al perfezionamento di sé, attraverso l’autodiagnosi e l’esercizio costante delle proprie facoltà, al fine di dominare gli aspetti irrazionali dell’anima, cause di sofferenza e infelicità. L’autoterapia, l’autosufficienza e l’amore sincero verso se stessi sono le  formule vincenti contro le passioni e gli impulsi irrazionali.
Nel pensiero di Marco Aurelio (121-180) troviamo, invece, la ricerca della pace interiore in armonia con il corso dell’esistenza individuale; il dominio di sé deve accordarsi sempre alla fisicità e alle necessità del corpo, senza mai cadere nell’eccesso.
In Plutarco (45-125) è presente una concezione della filosofia come cura di sé e della propria anima; l’introspezione viene utilizzata come autoterapia e farmaco contro i difetti e le carenze del proprio essere. Le passioni eccessive sono i mali contro i quali è possibile lottare, attraverso la conoscenza progressiva di sé e la coltivazione delle virtù più profonde. Plutarco mira alla prevenzione dai mali che possono affliggere l’anima e gli unici vaccini possibili sono il dialogo interiore, l’esame di coscienza, la meditazione e l’autosservazione.
In Plotino (240-270) troviamo, soprattutto nel terzo libro dell’Enneadi, una concezione filosofica dell’universo che prevede la netta priorità della realtà spirituale rispetto a quella materiale, considerando degradante, per l’anima, l’interazione con la dimensione corporea. L’elevazione da questa condizione di impurità è possibile soltanto attraverso la contemplazione, infatti, lo scopo è quello di spogliarsi dell’alterità e scoprire la propria essenza reale. Il percorso di ascesa dell’uomo e il suo abbandono progressivo dell’alterità, gli permettono di recuperare la propria vera essenza (anima) ricongiungendosi con il tutto.
Pelagio (340-380?) è convinto sostenitore della tesi che l’uomo possa trovare dentro di sé, attraverso la conoscenza, i mezzi necessari per raggiungere l’autoperfezione. La volontà gioca un ruolo fondamentale poiché è attraverso lo sforzo individuale e l’esercizio del libero arbitrio, che l’uomo può migliorare realmente se stesso.
Agostino (354-430), invece, ritiene che esista una profonda relazione ed una reciproca interdipendenza, tra fede e ragione, illuminata da una volontà superiore. In sintesi, la conoscenza di se stessi è possibile solamente attraverso Dio, tuttavia, occorre allo stesso tempo un’attenta autoindagine mediante l’uso della ragione che permetta di penetrare nel tessuto della storia di vita vissuta. Affinché l’esperienza passata possa dirsi realmente significativa e non vada persa nel marasma delle passioni, occorre la presenza di Dio, accordando le diverse istanze e cogliendo, attraverso il pensiero, il proprio Io.
Diversamente, Abelardo (1079-1142) valorizza la ragione umana, concependola come strumento necessario per far chiarezza in se stessi e nell’individuazione della verità; la fede si identifica con l’esperienza interiore, la quale, è possibile solamente attraverso lo sforzo intenzionale del soggetto.
In Eckahrt (1260-1327) troviamo i principi dell’autoannullamento, che consistono nella capacità di sottrarsi alle distrazioni esterne, in modo da raggiungere una condizione di autoisolamento e di vuoto totale. Attraverso la riduzione della distanza tra uomo e Dio è possibile riuscire ad intuire il divino e a sperimentarne le affinità, a patto però, di essere disposti a rinunciare a se stessi e ad annullare il proprio Io.
Ignazio di Loyola (1491-1556) insiste, invece, sull’importanza degli esercizi spirituali, in modo da perfezionare l’animo umano e renderlo sempre più partecipe alla vita divina. Gli esercizi spirituali servono ad aiutare il praticante a trovare dentro di sé la volontà divina, a prendere coscienza dei peccati della vita terrena e a riflettere sui misteri della passione di Cristo.
Con Montaigne (1533-1592) abbiamo l’analisi mutevole e mai definitiva del proprio essere, attraverso un’evoluzione continua prodotta dal tempo e dalle esperienze vissute. In Montaigne l’interiorità assume l’aspetto di un rifugio, di uno stare in sé, necessario a raggiungere il distacco, condizione necessaria per sperimentare la libertà.
Comenio (1592-1670) riconosce nella non dipendenza da nessuno il mezzo necessario per il raggiungimento dei propri fini, ossia, l’uomo stesso. E’ importante riuscire a non disperdersi nei rapporti sociali e ricercare costantemente la quiete interiore, al fine di perfezionarsi costantemente e divenire una guida fondamentale, oltre che per se stessi, anche per gli altri. Occorre allora che l’uomo affini l’arte del dialogo con la propria interiorità, in modo da poter trovare dentro di sé, le risposte ai diversi problemi esistenziali.
In Cartesio (1592-1650) il dubbio rappresenta lo strumento più importante per riuscire a fare chiarezza nell’attività conoscitiva, arrivando a mettere tra parentesi l’esistenza di tutte le cose e arrivando a concepire l’Io pensante come unica certezza possibile.
Pascal (1623-1662) riconosce la natura creaturale dell’uomo e la sua infondatezza, cercando di cogliere la complessità dell’esistenza stessa attraverso il dialogo con Dio. Il cogito cartesiano è ritenuto inadatto a comprendere la natura umana e a far luce in se stessi perché l’esistenza è così complessa e problematica, che solo il cuore e il sentimento possono far chiarezza nelle profondità dell’animo umano. Pascal riconosce l’infondatezza dell’uomo e la sua miseria, individuando l’incertezza del proprio essere come unico fondamento e riconoscendo Dio come pilastro della vita stessa.
In Locke (1632-1704) i sensi umani assumono una posizione centrale nei riguardi della conoscenza, asserendo che quest’ultima non è un processo passivo ma rappresenta un’attività intenzionale e consapevole, dove, attraverso la percezione dell’Io, si fonda l’identità dell’uomo.
Leibniz (1646-1716) riconosce nell’attività dell’anima umana il sorgere del processo dell’autocoscienza, dove la memoria serve a far percepire la continuità dell’esistenza stessa. E’ attraverso questa facoltà che l’uomo avverte dentro di sé il sentimento di identità cosciente, fondata essenzialmente sull’autoattribuzione di responsabilità.
In Kierkeaard (1813-1855) il libero arbitrio e la possibilità di scelta rappresentano gli strumenti necessari per pervenire alla comprensione di sé e del proprio essere uomini, arrivando a cogliere la verità soggettiva attraverso la tensione degli opposti (voler essere o non voler essere se stessi). Solo la fede riesce a lenire le sofferenze che derivano da questo lancinante dilemma, sradicando l’uomo dalla sua condizione di incertezza per porlo alle dipendenze della volontà divina, unico supporto dell’esistenza umana.
Dilthey (1833-1911) riconosce nel rapporto diretto con l’oggetto della propria comprensione, il presupposto necessario per riuscire a cogliere se stesso. Gli individui, mediante la comprensione delle esperienze passate, possono confrontarsi con i vissuti altrui, in modo da allargare i propri orizzonti, trovando punti di contatto e di rottura con le diverse esperienze e instradando il proprio Io verso l’avventura di un pensiero errante.
Per Brentano (1838-1917) le sensazioni svolgono una duplice funzione: quella di tramite per altre sensazioni e quella di far divenire consci della realtà esterna. E’ la realtà sensibile che permette all’uomo di renderlo consapevole delle sensazioni che prova, fornendo l’autocoscienza, la quale, orientandosi verso il proprio contenuto, assumerà atteggiamenti di accettazione o di rifiuto.        
Nietsche (1844-1900) riconosce la cecità degli uomini nei confronti di se stessi, proponendo il sospetto come strumento per non accettare acriticamente ciò che si impone come verità. Quest’ultima non altro che una struttura provvisoria del continuo rapporto uomo – realtà, destinata a mutare con il divenire dell’esistenza stessa. Attraverso l’esercizio del sentimento di pienezza e di felicità interiore è possibile assumere una prospettiva esistenziale che consente di sviluppare i valori della forza interiore e della volontà di vivere, necessari alla costruzione di un’esistenza fondata nel continuo divenire, sempre creativo e mai passivo o inattivo.
Husserl (1859-1938) concorda con Brentano riguardo al concetto di intenzionalità, infatti, si ha coscienza quando essa è diretta verso qualcosa. La coscienza viene allora considerata sempre in relazione al suo oggetto e interpretata in base ad essa; l’autocoscienza, invece, rappresenta quella percezione che vede la coscienza come oggetto di se stessa. L’intenzione di Husserl è di tornare a valorizzare le fonti genuine e intuitive che derivano dall’esperienza, in modo da favorire un ritorno alle <<cose stesse>>. Nell’intento di poter pervenire ad una filosofia autoevidente, Husserl concepisce l’importanza e la necessità di mettere il mondo tra parentesi (con i suoi pregiudizi e verità supposte) e operare su di essa una riduzione eidetica. Ciò che rimane dopo questo procedimento è il <<residuo fenomenologico>>, ossia, il terreno trascendentale della coscienza pura, inteso come il campo delle evidenze originarie a livello intuitivo che nessuna ulteriore riduzione può mettere in dubbio .
Bergson (1859-1941) concepisce il vivere come un divenire; l’esistenza in altre parole, si spiega in un fluire continuo di momenti che procedono verso il futuro e dove i ricordi del passato aiutano a guidare gli atti del presente. La coscienza viene considerata come una realtà che muta costantemente, o meglio, la vita della coscienza è il cambiamento stesso, dove viene mantenuto il prodotto finale di ogni suo momento precedente e modificato di volta in volta.
Freud (1856-1939) vuol rintracciare nella dimensione interiore dell’uomo i fattori responsabili dei diversi comportamenti umani, suddividendo questo mondo invisibile in tre regioni fondamentali: l’Io, L’Es e il Super Io. In Freud emerge il concetto di inconscio, inteso come luogo della mente formato da contenuti rimossi che non possono accedere alla coscienza.
Scheler (1874-1928) ritiene che la persona sia essenzialmente l’insieme degli atti guidati dai sentimenti e dai valori soggettivi. L’esperienza diretta assume in questa prospettiva un ruolo centrale dove emerge l’attrazione per l’incompiuto e l’erranza, il piacere per l’enigmatico e l’indefinibile. L’uomo non può essere compreso in relazione ai connotati del corpo e della psiche bensì in funzione della sua profondità che lo rende distinto e unico nei confronti degli altri. Le differenze soggettive emergono in base al diverso approccio al lavoro di tipo interiore e al filosofare, inteso come avventura intima del pensiero; nonostante ciò esistono comunque delle affinità comuni tutti, come la struttura organica del corpo, della psiche e l’evento morte.
Ortega y Gasset (1883-1955) ritiene che l’autocoscienza possa essere colta, al di là delle diverse appartenenze storiche, sociali e culturali, infatti, a fondamento del suo discorso c’è la sensibilità egoica che si definisce attraverso le diverse esperienze di vita, contribuendo alla costruzione soggettiva del mondo della vita.
Marcel (1889-1973) riconosce come fondamento dell’esistenza umana, l’esperienza di apertura agli altri; attraverso il pellegrinaggio e la vita contemplativa, Marcel vuol indagare su se stesso, seguendo sempre le coordinate del pensiero religioso. Il luogo in cui vuole approdare Marcel è quello della propria problematicità, dove non esistono acquisizioni certe e definitive e dove il dialogo continuo con se stesso, lo spinge alla meditazione e alla ricerca dei valori fondamentali della sua esistenza.
Heidegger (1889-1976) ritiene che, attraverso il rapporto con la realtà esterna, con il mondo, l’uomo possa relazionarsi con se stesso e, attraverso la possibilità di un progetto, sperimentare il suo poter – essere in relazione ai desideri, ai bisogni e alle motivazioni. In questo slancio verso il futuro, l’uomo si allontana dal proprio passato e si avvicina progressivamente alla morte, evento che attribuisce concretezza alle possibilità del progetto stesso. Da qui nasce l’esigenza di prendersi cura di sé in vista della possibilità della morte e il perseguire un’esistenza autentica, cercando di evitare la dispersione nel “si” generale mediante la costruzione di un progetto, che persegua le finalità di una scelta in divenire.
Arendt (1906-1975) concepisce l’autocoscienza come una personale relazione con il reale; le diverse prospettive soggettive contribuiscono all’espressione delle singolari esistenze, inoltre, la coscienza si forma in rapporto ad un preciso atto di volontà che esige un determinato orientamento etico dell’essere nel mondo.
Weil (1909-1943) ricerca, attraverso l’esperienza viva e molteplice, la sensibilità e la purezza del sentire; l’autobiografia e l’esplorazione interiore sono gli strumenti che consentono di arrivare al nocciolo, al profondo essenziale ed elementare, attraverso un affinamento progressivo dell’intelligenza. L’autrice, mediante i diari, lavora per perfezionare sempre di più la propria capacità riflessiva, autoeducandosi al dialogo con se stessa e al pensare in maniera efficace.
Ricoeur (1913) riconosce nella narrazione e nel racconto, manifestazioni diverse dell’intelligenza umana, dove il soggetto narrante non è altro che l’autore della propria storia. Il soggetto che si racconta getta semplicemente il proprio punto di vista sul mondo che cambia costantemente e si modifica, modellandosi di volta in volta entrando in contatto con le realtà <<altre>>, fino a smarrirsi.      
Focault (1926-1984) riconosce nella pratica autobiografica un metodo sperimentale di soggettivizzazione, dove entrano in scena la confessione, la meditazione, ecc.; secondo l’autore occorre meditare se stessi per lottare contro le correnti di pensiero anti individualistiche e, mediante l’asceticismo, provvedere alla cura di sé. L’asceticismo viene inteso non come rinuncia al piacere e alla soddisfazione, bensì come forma di autoterapia necessaria alla formazione umana.
  Derrida (1930) considera la verità come evidenza intuitiva e come forma che, in qualche maniera, predetermina l’intuizione stessa; affinchè la verità non rimanga isolata e rischi la dispersione occorre trasmetterla alla comunità per mezzo della scrittura, l’unica che possa cogliere il senso dell’essere. Anche per Derrida l’autobiografia riveste un ruolo di primaria importanza; essa segna sempre l’incontro con l’altro da sé e, inevitabilmente, traccia sempre una fine o un lutto. L’autobiografia è storia di vita trascorsa e mai un “vissuto” di morte (autoannullamento), infatti, quest’esperienza l’autore le racconta a se stesso poiché egli è, spesso e volentieri, l’unico destinatario della narrazione stessa.
 
  La libera espressione di sè

Il fine ultimo dello studio delle discipline marziali, è quello di riuscire ad esprimere se stessi in maniera libera e sincera, ossia, senza schemi precostituiti, condizionamenti o blocchi di qualsiasi natura. Sapere esprimere se stessi significa essere sinceri nei propri confronti, avere il coraggio di manifestarsi in maniera autentica e completa, senza censure e imbarazzi. Vuol dire avere la forza di aprirsi alla realtà esterna, manifestando ciò che si sé e si sente di essere in quel preciso istante.
Nella libera espressione l’uomo trova la forza per realizzarsi e manifestare tutta la propria potenza; la mancanza di fiducia nelle capacità soggettive, invece, crea i presupposti per le frustrazioni e la chiusura in se stessi. Sviluppare la capacità di esprimersi liberamente significa riuscire a far chiarezza in se stessi e sviluppare le potenzialità naturali (doti) più nascoste.
L’autorealizzazione avviene attraverso un faticoso e lento processo di crescita interiore e per mezzo dell’attività creativa, intesa come libera espressione delle proprie attitudini .
<<La strada maestra è l’azione. La via che porta alla conquista della fiducia in se stessi e della stima di se stessi è l’azione >>.
Agire significa comunicare con la realtà e con tutto ciò che ci circonda; è una forma di dialogo che si svolge a 360°, senza paralizzazioni o preconcetti, dove il corpo si muove liberamente, adeguandosi agli stimoli che riceve e reagendo in maniera appropriata.
Il praticante, in questa fase dell’addestramento, impara a codificare ciò che sente, ad interpretare e rispondere ai diversi input che riceve, manifestando la propria visione, intima e personalissima, della realtà che sta vivendo in quel momento particolare.
Lo studio degli stili tradizionali, come abbiamo accennato, permette al praticante di gestire le proprie energie, incanalandole all’interno di precise disposizioni mente – corpo; tutto questo, serve da stimolo per imparare ad esprimere determinate emozioni, potenzialità e stati d’animo. Ogni stile rappresenta una struttura predefinita che ha lo scopo di condurre il praticante verso una determinata capacità d’espressione. La tigre, ad esempio, conduce l’allievo verso la consapevolezza dell’aggressività e lo aiuta, con le sue meccaniche, ad esprimerla nella maniera migliore, attraverso strumenti come calci, dita ad artiglio, grida, ecc.
Lo stesso vale per il serpente, con la fluida repentinità, per la gru, con la leggerezza, per il T’ai Chi con la concentrazione, la forza, la morbidezza, ecc. Gli stili sono semplicemente delle organizzazioni di movimenti che hanno soltanto finalità didattiche, ossia, servono a far apprendere dei concetti specifici. Una volta appresi questi principi di base, il praticante deve fare come il barcaiolo che, appena arrivato alla riva, non si carica il mezzo sulle spalle per portarselo dietro ma lo lascia attraccato. Le forme degli stili sono il mezzo (barca) per raggiungere una meta (sponda); si acquisiscono i principi e si dimentica la sequenza, altrimenti, lo studio delle arti marziali rischia di divenire solamente una sterile ripetizione (cumulativa) di movenze.
Lo scopo dell’arte marziale, ripeto, è quello di condurre l’individuo verso la consapevolezza della libertà; la meta è l’espressione incondizionata di sé e delle proprie capacità. L’arte marziale educa il praticante a prendere coscienza delle proprie potenzialità, le fa emergere, le nutre, le dirozza e le lascia maturare attraverso esperienze individuali e di gruppo.
In sintesi, dopo un lungo apprendistato con lo studio delle forme tradizionali, delle armi (bastone, spada, sciabola, ecc.), della filosofia e della tradizione storica, il praticante deve cominciare a riflettere su se stesso, andare alla ricerca dei diversi significati e dare alle conoscenze acquisite, la propria personalissima interpretazione. Tutto ciò comporta un modo nuovo di gestire il corpo, un modo non schematico di eseguire i movimenti, di scaricare l’aggressività, di manifestare la leggerezza, la solidità delle posizioni, la velocità e la calma. Il corpo impara a muoversi secondo un ritmo proprio, senza nessun programma prestabilito. Il praticante sperimenta la libertà di espressione e tutto ciò avviene solo e soltanto se riesce progressivamente a liberarsi dal guscio “scomodo” delle tecniche memorizzate. La funzione delle tecniche, effettivamente, somiglia a quella del guscio, infatti, fintanto l’organismo è immaturo, esso deve rimanere avvolto, protetto e  rassicurato; in seguito, occorre che l’involucro vada distrutto, altrimenti, la creatura non potrà mai crescere, svilupparsi e seguire il proprio corso.
Il processo di crescita e di maturazione del praticante non si ferma con la liberazione dalle catene delle tecniche; l’ostacolo più grande da superare, adesso, è quello rappresentato dall’insegnante stesso. L’allievo deve cominciare a non percepirsi più tale, ma individuo libero e autonomo che è riuscito a far chiarezza in se stesso e che non ha più bisogno di guide per esperire, comprendere e scegliere. Il praticante non può correre il rischio di soffocare il proprio sé introiettando quello voluto dall’insegnante; il lavoro che lo attende è difficile perché deve recidere un cordone ombelicale intriso di affettività e sicurezze emotive. Smantellare la figura idealizzata dell’insegnante non è semplice né indolore, tuttavia, il passo decisivo per il praticante è di riuscire a superare il mito del Maestro e lasciar sgombro lo spazio necessario alla propria realizzazione e  autonomia. L’allievo gradualmente diviene Maestro di se stesso, recide ogni legame con la figura che lo ha instradato e guidato per divenire finalmente libero di essere se stesso e di realizzare a pieno le proprie ambizioni. Il soggetto, attraverso le potenzialità di cui adesso ha piena coscienza e controll

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