sabato 8 agosto 2015

La relazione pedagogica


Abbiamo avuto precedentemente modo di parlare dell’importanza della relazione educativa per quanto riguarda la professione del pedagogista, mettendo in evidenza come questa professione la interpreti in maniera significativamente diversa rispetto a quella terapeutica, psicoanalitica o delle “nuove professioni di aiuto”. Quest’ultimo termine, più offensivo che riduttivo, si utilizza per indicare quelle professioni che si situano a cavallo tra ambito educativo e ambito sociale e/o sanitario, finendo per legittimare un’unica modalità di interazione con il diverso/disabile, che è quello assistenziale di tipo tradizionale; modalità che è molto ancorata al fornire prestazioni o comunque servizi senza che venga attivato un processo di autotrasformazione da parte del soggetto che ne è fruitore[1].
Lo scopo della relazione pedagogica non è instaurare un processo di intervento terapeutico, né l’attivazione di un mero sostegno di tipo assistenziale; la relazione pedagogica è intesa come un canale necessario affinché si attivi il processo di apprendimento, di crescita e di maturazione del soggetto, ovvero, si possa attivare un lavoro di tipo pedagogico vero e proprio. Senza il canale della relazione, senza un contatto autentico che consenta di condividere spazi e tempi comuni, senza l’accoglimento dell’altro in maniera autentica, oltre ogni forma di pregiudizio, non è possibile attivare nessun tipo di intervento pedagogico.
La reciproca accettazione è fondamentale, quindi, e non va mai confusa la “prigionia reciproca” tra il soggetto considerato bisognoso di aiuto e l’altro che è quello chiamato a dare, altrimenti, l’intensificarsi progressivo dell’atteggiamento richiestivi del primo determina l’incrementarsi di quello del rifiuto da parte dell’altro, oscillando costanetemente tra slanci iperprotettive e manifeste forme di intolleranza[2] .
Il concetto di relazione si lega, soprattutto in ambito pedagogico, con quello di comunicazione; quest’ultimo è significativo al fine di rendere ottimale il processo formativo all'interno della scuola o comunque in ogni ambito pedagogico. Saper comunicare significa stabilire delle relazioni significative fra pedagogisti e soggetti e fra i soggetti stessi. Senza una buona comunicazione non è possibile favorire il processo di apprendimento perché vengono a mancare le basi per favorire il processo di acquisizione delle informazioni.
La comunicazione è un passaggio di messaggi tra due o più persone caratterizzato da un meccanismo di retroazione, in cui chi riceve indipendentemente dalla conoscenza del codice scelto dalla trasmissione deve essere in grado almeno di percepire. La capacità di capire/recepire, in virtù delle possibilità di leggere i segnali trasmessi attraverso un codice stabilito, fornisce il punto di partenza dell'analisi del processo comunicativo. La comprensione della comunicazione verbale viene data dall'analisi della sua forma più che da quella del suo significato, che ne costituisce l'aspetto semantico.
Nell'analisi del processo comunicativo emerge prima l'aspetto formale della comunicazione, ossia quello sintattico relativo allo studio formale degli elementi e di come essi sono organizzati tra di loro; successivamente appare la relazione tra comunicazione, segno e significato che è ciò di cui si occupa la semantica; infine emerge quella parte che riguarda la natura e l'impiego dei segni e gli effetti sul comportamento di chi li interpreta, materia quest'ultima che rientra nello studio della pragmatica della comunicazione[3].
All'interno di una relazione, acquisire scambievolmente le modalità comunicative nella loro interezza significa dare importanza alla sostanza mutevole, variegata e fluida propria dell'intenzionalità comunicativa, dato che questa qualifica il significato di tutti gli altri comportamenti.
Oltre a questo esistono i problemi relativi alla metacomunicazione, legati al tono della voce e a tutte le sfumature di carattere emotivo che contraddistinguono il messaggio espresso dal mittente. In qualsiasi situazione comunicativa, infine, il contesto nel quale la comunicazione si svolge acquista grande importanza ed anche se la quotidianità tende a banalizzarlo e a renderlo invisibile, esso emerge significativamente in presenza di eventi imprevisti che pongono il sistema in crisi.
Le regole sociali definiscono le regole secondo le quali un comportamento è accettabile o meno, se è comprensibile e condivisibile; ecco che allora inizia a delinearsi l'importanza del concetto di interazione, la quale, consente di concatenare una serie di comportamenti ad altri, così da   mettere in relazione ogni messaggio con quello precedente, consentendo una valutazione obiettiva sull'intero fatto avvenuto. Nell'ambito di ogni comunicazione umana il contesto assume una importanza fondamentale e la progressione che facilita l'acquisizione della conoscenza consente all'individuo di imparare ad imparare. Ovvero di riuscire ad orientarsi in certi tipi di contesto.
La comunicazione, comunque, assume soprattutto un valore strumentale nel momento in cui è utilizzata per esigenze precise, come per la definizione di precisi oggetti o simboli in settori specialistici che necessitano di un corpus linguistico specifico. La comunicazione aiuta anche ad esercitare una certa forma di controllo sulle persone in relazione ad uno scopo da raggiungere, in modo da poter arrivare a realizzare un lavoro specifico, secondo un'ottica anche cooperativistica e collaborativa.
Il linguaggio, nell'ottica relazionale, aiuta anche ad avvertire l'interlocutore dei propri stati d'animo più profondi ed i mutamenti nei rapporti interpersonali.
Per un insegnante o un pedagogista è fondamentale saper modulare le proprie emozioni all'interno del contesto della classe (o del gruppo pedagogico), in modo da dar vita ad una interazione capace di creare dei cambiamenti; se nel gruppo si verificano livelli di tensione elevati dovuti alla conflittualità fra due membri, può darsi che ci sia la voglia di ricercare elementi provenienti dall'esterno del sistema allo scopo di costruire nuove ed ulteriori triangolazioni, nel tentativo di resistere al cambiamento.
Una modalità di azione per produrre cambiamenti nel sistema passa anche attraverso la ristrutturazione delle modalità interattive: infatti molto spesso i disagi manifestati dal gruppo sono la conseguenza di alterazioni nell'organizzazione gerarchica del sistema e nella distribuzione dei livelli di potere.
L'unica possibilità efficace per risolvere i conflitti interni al gruppo è il cambiamento strutturale, per impedire al sistema di disintegrarsi, il referente, nelle sue interazioni con questo, deve tener conto precisamente dell'organizzazione su cui il gruppo si basa.
La struttura cambia attraverso le proprietà dei suoi componenti, mentre gli stimoli provenienti dall'esterno che interagiscono con il sistema spesso non producono su di lui nessun cambiamento strutturale. All'interno del gruppo classe ogni manifestazione interattiva è da valutare in relazione al contesto in cui si svolge. L'individuo e la classe sono sistemi aperti che attuano con il loro ambiente continui scambi capaci di determinare retroazioni e anticipazioni utili a spiegare i loro comportamenti. Il soggetto che si trova all'interno di un gruppo è immerso in un contesto di relazioni per lui condizionanti in quanto queste rappresentano un sistema di regole che vanno a formare la sua situazione socio-affettiva e culturale. E' possibile quindi affermare che il bambino sviluppa la propria personalità in due direzioni: da un lato, secondo il suo patrimonio bio-genetico, che altro non è se non il bagaglio delle sue potenzialità; dall'altro lato secondo 'imprinting ambientale ricevuto, che è invero la modalità di relazionarsi appresa nel tempo a mano a mano che egli è venuto a contatto con le esperienze dei vari contesti[4].
Il gioco e la fantasia possono essere considerati come la comunicazione analogica e digitale dei messaggi che definiscono la relazione all'interno del suo contesto, diventano i fili della trama di un tessuto che, a mano a mano che si forma, mostra, all'attento osservatore, una serie di proiezioni che offrono la lettura e la spiegazione delle altre relazioni che si sviluppano e si ridefiniscono reciprocamente in altri contesti sociali con i quali, al di fuori del proprio gruppo, ciascun membro interagisce.
Contenuto e relazione sono i due aspetti che devono rimanere reciprocamente congrui, perché la comunicazione possa essere considerata normale ed il contesto, all'interno del quale si svolge la comunicazione, fornisca significativi chiarimenti alla relazione in atto. Le modalità attraverso le quali viene data la definizione ad una relazione o ne viene assunto il controllo possono essere classificate secondo tre tipologie: la conferma da parte da parte degli altri della percezione che ciascuno ha del proprio sé; la sua negazione quando è possibile incontrare un rifiuto o un rigetto di quella percezione; infine la disconferma di tale percezione e questo sottende una modalità disturbata o patologica che lascia passare un messaggio del tipo:<<tu non esisti>>.
Il gruppo, in conclusione, deve essere considerato come un insieme di elementi che interagiscono tra loro; coloro che appartengono al gruppo non hanno singolarmente potere a senso unico sul resto del gruppo, cosicché le interazioni   si influenzano vicendevolmente non si può dare ad uno o più membri il valore di causa determinante delle azioni che il gruppo compie[5].



Poniamoci adesso per un attimo in un’ottica prettamente solastica, ovvero nel momento in cui il bambino entra per la prima volta nel mondo della scuola; tutto questo rappresenta anche uno dei passaggi di trasformazione del ciclo vitale di ogni famiglia, ovvero, una fase che non è preparata né dalla famiglia né dal soggetto che dovrà recarsi a scuola ma che si comporrà invece attraverso una naturale modificazione determinata da fattori sociali.
In questa fase si verificano straordinari cambiamenti che colpiscono per la rapidità con cui si susseguono e per l'importanza che assumono nel futuro di tutto quel nucleo familiare. 
All'interno della classe si manifestano dinamiche comunicative e relazionali tra il sottogruppo dei pari e gli adulti, intesi questi ultimi come personale docente e non docente, gli intrecci e le dinamiche verbali e gestuali aumentano in maniera significativa e progressiva rispetto all'intensificazione della frequenza.
Questa nuova acquisizione di dati e di stimoli relazionali porta i bambini ad una naturale ridefinizione del proprio ruolo anche nella famiglia di origine e quest'ultima tende a riorganizzarsi secondo parametri di confronto che le derivano dall'impostazione di una quantità variabile di nuovi valori e di nuovi schemi.
Il bambino e la famiglia non possiedono subito gli strumenti per affrontare questo periodo di adattamento e cambiamento; così i familiari devono imparare a comprendere e convivere con le trasformazioni anche blande del bambino cercando di integrare gli schemi usati all'interno dell'ambito nucleare con quelli extrafamiliari. I cambiamenti sono legati, da una parte alle trasformazioni biologiche e alla maturazione delle strutture mentali; dall'altra alle modificazioni legate alle dinamiche che si svolgono all'interno della coppia genitoriale ed ai relativi messaggi che al bambino sono stati impartiti fino al momento del suo ingresso a scuola.
In relazione alla maturazione ed alla necessità di affermare gradualmente il proprio sé, da una parte spinge il bambino ad accettare le regole imposte dalla scuola e dai genitori, per una pacifica convivenza con gli altri; dall'altra la necessità di contestare le norme stesse, ribellandosi alle imposizioni ed alla disciplina il cui apice caratterizza la fase adolescenziale.
All'interno del gruppo classe i bambini cominciano a sperimentare alcune relazioni affettive extrafamiliari: i primi rapporti amicali ed il confronto con dinamiche quotidiane diverse. Gli ambiti sociali rappresentati dalla scuola e dal gruppo classe al bambino servono per sviluppare le sue capacità di socializzazione.
Piano piano il gruppo classe diventa una comunità in cui sperimentare nuovi ruoli, dove creare nuovi linguaggi e dove l'accoglienza e l'accettazione da parte degli altri diventa motivo fondamentale di vita[6].
La scuola e la famiglia possono proporre valori o comunque dinamiche relazionali completamente diverse e quindi può entrare in conflitto con l'una o l'altra, a seconda di chi riesca a coinvolgere il soggetto in maniera più o meno completa. Gli elementi di contrasto possono farsi sentire attraverso manifestazioni di aggressività verbale o fisica, mettendo il bambino nella condizione di cercare continuamente conferme, che spesso vengono negate dal gruppo di appartenenza.
La conflittualità porta inevitabilmente a dover rinegoziare il proprio ruolo all'interno della famiglia, soprattutto se in classe il gruppo dei pari stabilisce regole sociali diverse da quelle abituali. Il conflitto riguarda spesso le questioni di potere, infatti, con l'aumentare dell'età ci sarà una regolazione diversa del controllo da parte dei genitori, con un conseguente e successivo aumento di potere da parte del bambino stesso.
La famiglia può intervenire aumentando l'elasticità per rendere flessibili ruoli e regole ed assumere adeguate modalità comunicative. 
La molteplicità di variabili all'interno di strutture e di situazioni rende poco probabile un quadro che consenta la costruzione di un modello preciso e definito, sollecitando un numero di domande maggiore delle eventuali risposte già pronte sulle quali poter fare affidamento.
Il docente ha la possibilità, allora, di valutare gli elementi che caratterizzano la rete familiare e di quali risorse può disporre, attraverso l'osservazione del gioco delle relazioni fra genitori e figli.
Un altro problema è quello dell'immigrazione, internazionale che porta alla costruzione di formazioni sociali multirazziali, multietniche e multiculturali, nonché multilinguistiche e multireligiose.
La conoscenza di un sistema sociale diverso dal proprio per regole e cultura, usi e costumi, è il fattore chiave che consentendo di non perdere la propria identità, al contrario sollecita lo sviluppo di relazioni congrue con gli altri; se i vari membri del gruppo riusciranno a penetrare i vari stili di comunicazione con cui vengono espresse le emozioni eviteranno facilmente reciproche incomprensioni ed equivoci.
Per quanto riguarda i bambini diversamente abili, invece,occorre ricordare che nonostante siano trascorsi circa trenta anni dall'abolizione delle classi speciali e differenziali, le tematiche dell'integrazione suscitano ancora numerosi dibattiti a livello socio-culturale. L'idea del valore intrinseco e comune dell'integrazione dei soggetti disabili è stata recepita ed assorbita a più livelli scolastici ed extrascolastici, ma ciò non toglie che quando nel gruppo classe è presente un bambino con handicap psicofisico o sociale, si sviluppano internamente ed esternamente ad esso problematiche di accettazione, riconoscimento, accoglienza e comunicazione. In sostanza, la presenza del disagio, palesemente ricondotto alla diversità, crea conflitti.
Tutto ciò dipende dal fatto che culturalmente le persone si sentono come aggredite nel loro intimo, perché sfidate nelle loro capacità operative e messe in difficoltà nell'interagire con la persona disabile, tanto da divenire un gruppo inefficiente o addirittura incapace di conservare la propria identità. I problemi ed i conflitti creati da un bambino disabile all'interno di un gruppo frenano le aspettative sociali in quanto egli apparentemente è vissuto come diverso ed estraneo al gruppo, anche se, per contrapposizione, nella realtà dei fatti, tutti riconoscono che è una persona con pieni  diritti sociali. La presenza di un bambino disabile all'interno del gruppo classe può dar luogo a situazioni che impediscono la normale evoluzione delle dinamiche di gruppo; questa mancanza di evoluzione fa sopraggiungere un blocco nello stadio attuale che implica modalità di scambio rigide senza possibilità di negoziazione e senza cambiamento futuro. Questo può capitare nel momento in cui il gruppo percepisce il soggetto disabile come elemento evolutivo anomalo, cosicché il sistema produce da solo un blocco alla sua stessa evoluzione. Il sistema tende a strutturare o ripristinare una stabilità che diventa momento di fissità, perché nessuno vuole abbandonare facili sicurezze ed equilibri oramai consolidati[7].    
Questo modello si struttura nel gruppo a mano a mano che esso prende coscienza della gravità dell'handicap e di come il bambino si muove; il gruppo si blocca negando così la propria funzione di sistema in evoluzione, tuttavia, se non abbandona le sue potenzialità di sviluppo riuscirà ad esistere come entità evolutiva anche del soggetto disabile[8].
Queste sono soltanto alcune delle considerazioni circa la complessità e la variabilità del fenomeno educativo quando lo si consideri in un’ottica di tipo relazionale; restringendo adesso il focus di indagine e concentrandoci sull’attività del pedagogista e del suo particolare tipo di intervento, possiamo trarre delle linee guida fondamentali, partendo dal presupposto che ancora oggi, dopo secoli di storia, perdurano e si mostrano di larga attualità gli insegnamenti educativi e didattici derivanti dalla dottrina socratica.
E’ sempre accesa, difatti, la fertile discussione sui costrutti basilari introdotti dal noto maestro: la ricerca costante del dialogo, del confronto e della cooperazione, l’arte della maieutica, le problematiche connesse al “fare ragionamento” e ai processi di concettualizzazione.
Secondo uno dei più autorevoli storici dell’educazione antica, Henri-Iréné Marrou, occorre attribuire ai sofisti in generale, e aggiungerei alla figura di Socrate, nello specifico, uno spessore pedagogico notevole, in quanto spetta a loro il merito di aver “scoperto e abbozzato una serie di tendenze pedagogiche diverse[9]  , di aver cioè percorso in ogni strada solo alcuni passi, ma nel contempo di aver tracciato la direzione che fu successivamente seguita. La maieutica mantiene sempre forte la sua azione formativa ed è  ben noto il principio teorico legato a Socrate: la Verità non può scaturire né erompere dal mondo esterno, né può essere tramandata. Essa è frutto di un processo di ricerca interno all’individuo, contraddistinto da momenti di tensione e di riflessione e che veicola come mezzo educativo e pedagogico più efficace il ragionamento che si esplica, a sua volta, attraverso la maieutica (azione del trarre fuori).
Avveniva, infatti, che l’allievo, dopo esser stato interrogato dal maestro su una determinata questione, era indotto all’abbandono delle possibili certezze e alla rinuncia dei propri pregiudizi, per poter dar spazio all’azione della maieutica, atto squisitamente educativo in grado di far venire alla luce la “verità” che è nell’animo di tutti (evidente è la correlazione con il termine “educare”, derivante dal latino “educere”, ovvero, “trarre fuori”).
A tal proposito si riporta l’inizio di un dialogo estrapolato dal Menone[10] dove Socrate, parlando con uno schiavo che non ha mai studiato geometria, dimostra praticamente l’arte della maieutica:
L’azione della maieutica ha rappresentato, pertanto, il primo grande passo, compiuto nella storia della pedagogia, volto al rifiuto di un metodo impositivo di trasmissione culturale unilaterale, dall’esterno verso l’interno, e lineare, dal maestro verso l’allievo.
La modalità socratica di intendere la relazione educativo- didattica si caratterizza, al contrario, da una vitale circolarità dialogica che, scombinando il ruolo dei soggetti che vi partecipano, li riveste di nuovo senso: il maestro è colui che sollevando dubbi, destando incertezze, cogliendo contraddizioni, sollecita alla ricerca, indirizzando l’allievo verso la problematizzazione, guidandolo ad intraprendere uno scavo graduale che lo conduce al ritrovamento della verità, alla scoperta di un “sapere concettualizzato”. Il dialogo rappresenta un importante
strumento cardine per la realizzazione il processo  del il dialogo, che schiude alla dialettica, intesa come forma di argomentazione che perviene all’unificazione attraverso l’opposizione e permette di costruire un’unità che tende a farsi sempre più ricca. Gli strumenti sono sempre i medesimi, ovvero,  il ragionamento, la critica delle opinioni, la definizione dei concetti, la formulazione dei giudizi. Il sapere scientifico è quello che scaturisce da questo serrato lavoro dell’intelletto, che scava nelle opinioni per trovare i principi”[11].
 Cambi sostiene che “l’azione educativa di Socrate consiste nel favorire tale dialogo e la sua radicalizzazione, nel sollecitare ad un approfondimento sempre maggiore dei concetti per raggiungere una loro formulazione più universale e più critica”[12].
Da un punto di vista educativo il dialogare per domande e risposte proprio di Socrate, oltre ad essere stimolo fruttuoso per l’innescarsi di processi di ragionamento e concettualizzazione, instaura anche, come sostiene Pancera, un rapporto di educazione reciproca fra l’allievo e il maestro, sebbene, nel caso di Socrate che sapeva di non sapere, sia assai difficile discernere l’allievo dal maestro[13].
Una pedagogia basata sul dialogo tende insomma a superare gli aspetti negativi dei ruoli egemonici e subalterni nell’educazione, della conflittualità, per ribadire il principio dell’identità e della partecipazione; identità come rispetto della crescita e della maturazione della persona, partecipazione come momento di autentica correlazione, di aiuto reciproco, di vicendevole maieutica”[14]
Pertanto la grande maestria di Socrate, in campo educativo- didattico, si snoda primariamente nei seguenti nell’aver  assegnato alla parola un’immensa forza costruttiva e produttiva, veicolandola come portatrice di significati;  nell’aver dato vita e diffusione alla questione sull’utilizzo del dialogo come strumento di natura sia educativa (intendendolo cioè come “spazio educativo” in cui concretamente si realizza l’incontro tra educatore ed educando) che formativa (poiché conduce, attraverso il graduale processo di argomentazione, problematizzazione, ricerca e concettualizzazione, all’autentica scoperta del “sapere”).
Socrate non ha lasciato in eredità un modello pedagogico standardizzato che, come tutti i modelli, non sfugge alla regola di veicolare proposte d’ordine essenzialmente prescrittivo; bensì ha delineato un originale stile educativo e didattico, identificabile come un modo di procedere plastico ed adattato, convissuto e riflesso, scientificamente orientato, caratterizzato da elevata partecipazione personale e centrato sull’uso del dialogo. E’ importante quindi continuare a valutare la portata di questo  pensiero e al suo sviluppo perchè nella storia dell’educazione e nella pedagogia occidentale, anche a distanza di molti secoli, fino ad arrivare alla società moderna, numerosi educatori hanno attinto dalla sua potenza edificatrice e della sua ampia vitalità.
E’ interessante notare come l’importanza della relazione educativa abbia messo sempre in discussione il concetto stesso di educazione, su chi ha diritto a educare e su quali sono le modalità di intervento educativo ottimale, tenendo conto delle capacità relazionali individuali riconoscendo il soggetto come interlocutore attivo, protagonista vero e diretto costruttore del proprio percorso di formazione. Si arriva così all’abbandono, almeno parziale, dell’inefficace concetto di trasmissione culturale, aprendosi invece a quello della scoperta personale e autentica del sapere, dove  l’educazione che nasce con la parola, diviene sostegno delle molteplici forme dell’oralità (dialogo, dialettica, argomentazione, narrazione etc.), dando vita ad originali esperienze formative, rese estremamente coinvolgenti mediante l’esclusivo e semplice uso della parola.
La relazione educativa si manifesta quindi come forza costruttrice del “fare ragionamento”, modalità che conduce al rilevante processo di concettualizzazione, dando vita alla presa di coscienza che, senza processi di universalizzazione concettuale, senza l’acquisizione della capacità di elaborazione concettuale non è possibile giungere a un sapere oggettivo, universale.
Tutto questo coincide con la scoperta della natura sociale ed interattiva dei processi di costruzione delle conoscenze (attraverso la problematizzazione, il conflitto cognitivo, il dialogo, il confronto e l’interazione verbale in genere) che porta con sé oltre al mutamento dal punto di vista cognitivo e linguistico, anche una forte partecipazione emotiva, quindi un cambiamento nel modo di esistere e di comportarsi. La relazione educativa ha le sue regole che la differenziano dalle altre forme del parlare, prendendo le distanze dalla regola del discutere tanto per discutere, in modo da proprsi come modello diverso rispetto all’improvvisazione, alla superficialità e alla conflittualità, fondando le sue radici in un rete ove si intrecciano i seguenti momenti: definizione del “problema”, discussione delle opinioni, caduta dei pregiudizi, ascolto delle informazioni, attenta documentazione e ricerca.
Una diretta applicazione dei preziosi insegnamenti socratici, in definitiva, è consigliabile a tutti coloro che, quotidianamente, operano come pedagogisti poiché appare urgente il bisogno di tornare a valorizzare le molteplici forme dell’agire verbale, restituendo alla parola la sua straordinaria forza educativa e recuperando la “dimensione” del dialogo in quanto forma più promettente della comunicazione educativa e formativa.







La didattica come strumento pedagogico


La  didattica rappresenta una risorsa importante per il pedagogista, soprattutto se si ispira all'epistemologia cognitivista e costruttivista, dato che non dovrebbe mai venire meno il concetto di base che la nostra conoscenza della realtà è una costruzione individuale e sociale; è da questa premessa che la  pratica costruttivista acquisisce incisività e di fatto si avvicina molto a metodologie già ampiamente sperimentate. Il valore delle discipline viste come costrutto storico,  testimoniano l’evoluzione del rapporto dell’uomo con il mondo, e non come descrizioni oggettive di realtà ed è per questo che un approccio del genere, non può non sposarsi bene con il lavoro caratteristico del pedagogista. 
 L’  impostazione storico-critica dei curricola  mette in luce il susseguirsi di modelli interpretativi e la variazione di significato dei concetti chiave delle discipline, in relazione ai contesti geografici, epocali e culturali, soffermandosi anche sulle aree di contraddizione e di costante ricerca, mostrando ampiamente
il radicamento e la legittimazione profonda della diversità tra le culture, assieme alla possibilità di evolvere i propri punti di vista.
 La dignità e il valore dei modelli di spiegazione dei soggetti che interagiscono con il pedagogista, devono essere sempre rispettati perchè sarebbe drammatico da un punto di vista professionale  interpretare semplicisticamente come errore tutto ciò che fuoriesce dal semplice buon senso comune, invece, la risposta dell’altro deve essere sempre valorizzata, in modo da impostare un’idonea azione didattica. Ecco perchè l’importanza della costante negoziazione di significati e l’inutilità di un nozionismo che, nel migliore dei casi, semplicemente si sovrappone alle strutture concettuali soggettive, senza minimamente intaccarle in senso positivo.
 Lo sviluppo di un’attitudine metacognitiva e riflessiva si deve fondare sull’idea di un apprendimento costante durante tutta la vita, seguendo precise linee di ricerca che una didattica costruttivista e cognitivista possono aiutarci ad elaborare[15].
Se la conoscenza è legata al contesto ed all’attività dell’individuo, non c’è mai un solo modo giusto di fare qualcosa, non esistono quindi procedure di insegnamento fisse, meccaniche e standardizzate. L’approccio costruttivista offre piuttosto, all’insegnante, una struttura teorica dalla quale ricavare alcune importanti indicazioni sul significato dell’apprendere, sul cosa insegnare e come farlo e, di non secondaria importanza, cosa è opportuno evitare.
Al di là di una critica generalizzata di questi autori al modello attuale di scuola, che sembra rispondere poco sia alle esigenze degli alunni sia alle necessità sociali e produttive, caratterizzata da modalità didattiche sostanzialmente trasmissive che sottendono posizioni di sostanziale oggettivismo, sono stati elaborati alcuni orientamenti generali e condivisi che tendono a ridisegnare la figura professionale ed il ruolo del pedagogista.
Se la conoscenza è un’attiva e personale costruzione di significato attraverso meccanismi di assimilazione e accomodamento, coerente con la storia individuale, un docente può offrire allo studente stimolo ed indirizzamento, ma non può influire direttamente sul suo apprendimento: “l’istruzione non è causa dell’apprendimento, essa crea un contesto in cui l’apprendimento prende posto come fa in altri contesti”, quali la famiglia o il gruppo dei pari.
Quindi il pedagogista non determina meccanicamente l’apprendimento, che va visto piuttosto come un processo continuo e pervasivo, che vede l’insegnamento come una delle tante risorse possibili.
In altre parole, il docente può svolgere efficacemente e consapevolmente la sua funzione, solo riconoscendo l’illusorietà di un rapporto diretto e causale tra insegnamento e apprendimento, vedendolo invece come risposta, possibile ma non predeterminabile e pianificabile, alle finalità pedagogiche del setting che ha predisposto.
Anche la comunicazione e l’azione del docente possono essere considerate un oggetto tra gli altri oggetti a disposizione per apprendere. Infatti, ciò che l’insegnante dice e propone, viene sempre e comunque interpretato dallo studente e le interpretazioni quasi mai coincidono con quello che si voleva trasmettere, in quanto il significato viene ricostruito a partire dalle conoscenze pregresse e dagli scopi personali: “l’insegnante e i materiali d’istruzione diventano risorse per l’apprendimento in molti modi complessi, attraverso le loro intenzioni pedagogiche”.
Per quanto riguarda l’uso del linguaggio da parte del pedagogista si tende a dimenticare che l’approccio ai simboli da parte di un docente è governato da un abitudine personale acquisita da molto tempo, così come il modo di guardare gli oggetti di una disciplina. Ul pedagogista, quindi, ha una funzione costantemente orientativa nella costruzione del significato; attraverso un uso attento del linguaggio indica la direzione di senso e, senza offrire risposte precostituite, innalza limitazioni e delinea un orizzonte entro il quale condurre nella direzione corretta.
In quest’ottica perde la sua centralità la lezione tradizionale a favore dell’esperienza diretta, intesa non solo come manipolazione e costruzione di oggetti, ma anche fruizione e decostruzione di materiali e testi diversi. Anche nel proporre esperienze dirette è bene ricordare che qualsiasi percepito non è in sè significante; il “cosa si percepisce” è, come abbiamo visto, orientato e reso possibile dall’intenzionalità del soggetto e dipende dalla costruzione interna, potremmo dire che anch’esso è occasione e non causa di apprendimento. E’ infatti frequente che, durante un esperimento od un’attività di osservazione, gli studenti non sappiano letteralmente cosa guardare; ciò che per il docente è della massima evidenza, resta per gli alunni confuso in uno sfondo poco districabile di stimoli che potrebbero avere tutti la stessa importanza[16].

Tuttavia, non ci troviamo di fronte studenti privi di idee o di spiegazioni sui diversi domini di conoscenze che affrontano a scuola. Al contrario, essi sviluppano precocemente “teorie ingenue” sulla realtà, microteorie utilizzate come cornici interpretative, come paradigmi validi fin quando non vengono smentiti; modelli mentali anche fortemente strutturati che tendono a modificarsi a fatica. L’apprendimento, allora, va considerato come un processo di modifica e ristrutturazione di questi schemi rappresentativi, un progressivo adeguamento delle strutture cognitive che si rivelano inadeguate alle nuove situazioni che si presentano. Il pedagogista fornisce assistenza all’interno del processo per facilitare la rielaborazione dell’esperienza individuale che resta, comunque, compito e fatica del soggetto.
Le teorie ingenue hanno spesso qualcosa di corretto e funzionano nel quotidiano, per economicità cognitiva risultano difficili da sostituire con quelle esperte di cui non è altrettanto evidente la viabilità; è quindi necessario porre gli alunni in condizione di scoprire dove la teoria ingenua non funziona.
Compito del pedagogista sarà dunque quello di accertare le pre-concezioni spontanee degli alunni, farne emergere l’eventuale inadeguatezza (conflitto o spiazzamento cognitivo), per tendere a ristabilire l’equilibrio mediante ipotesi e tentativi, fino a elaborare una nuova struttura interpretativa coerente e più vicina a quella socialmente condivisa, depositata nel patrimonio disciplinare.
Se l’acquisizione della conoscenza avviene attraverso percorsi multipli fra loro interagenti, determinati anche dalle diverse comunità sociali a cui apparteniamo, ciò significa che l’apprendimento individuale non può rispondere a standard e fasi predefinite, lineari e segmentate; è necessario offrire a tutti le condizioni per seguire un proprio percorso individuale all’interno di un processo ricorsivo e reticolare, in cui ciascuno possa autodeterminare, attraverso la molteplicità delle piste percorribili, il suo itinerario e parte degli obiettivi stessi.
All’interno di questo processo è fondamentale valorizzare la dimensione sociale della conoscenza, le potenzialità che può esprimere la classe come gruppo, nell’imparare dagli altri e con gli altri, nella negoziazione di interpretazioni ad un livello sempre più raffinato e condiviso. Abbiamo visto come le relazioni interpersonali abbiano un ruolo essenziale e costitutivo nella costruzione del pensiero, rispondendo al duplice bisogno del singolo di venire confermato e sentirsi parte di una certa comunità condividendone le trame di significati e di trovare in essa forme di scaffolding che lo aiutino a realizzare le proprie potenzialità[17].
In questo senso le comunità di pratica e le svariate tecniche di cooperative learning possono offrire ai docenti molteplici spunti operativi. A nostro avviso, non si tratta di “sposare” una singola e specifica modalità, come spesso avviene nelle scuole statunitensi, sembra più interessante scegliere le modalità più adatte ad un determinato progetto e contesto, pur mantenendo fermi alcuni principi regolativi di fondo e la funzione di monitoraggio dei processi da parte dell’insegnante[18].
La ricaduta e l’ap plicazione sul piano didattico delle teorie costruttiviste riflettono, evidentemente, le diverse focalizzazioni e il differente peso che le varie correnti attribuiscono ai piani individuali e collettivi. In alcuni casi, queste differenze vengono enfatizzate assumendo la forma di contrapposizione. Il tentativo del nostro lavoro è stato quello di estrapolare, attraverso la ricerca-azione, le modalità più funzionali e le pratiche più efficaci delle diverse proposte e di trovare i piani di convergenza dei diversi approcci.
In Italia il pensiero di Vygotskij si è diffuso in una prima fase tra gli anni ’60 e ’70 per arrivare ad una più intensa applicazione, soprattutto nelle situazioni di emarginazione sociale e ritardo culturale, dopo gli anni ’80. Ciò ha portato ad una minor considerazione delle teorie di Piaget, anche a causa di una lettura piuttosto riduttiva della sua analisi degli stadi di sviluppo, e ad una conseguente applicazione meccanica e rigida[19].
Rimane tuttavia aperto il problema di comprendere meglio attraverso quali strade un soggetto faccia proprie le forme di interpretazione della cultura di appartenenza. Le recenti teorie evolutive della mente rifiutano l’asserzione che le forme e le convenzioni culturali possano essere estratte dal contesto sociale semplicemente perchè costituiscono l’ambiente in cui i bambini crescono; sembra essenziale la disponibilità di alcune competenze sottostanti come la capacità di tenere a mente, di distaccare gli schemi dalle loro condizioni di input-output e di inserire gli schemi all’interno di altri schemi.
In questo senso dovrebbero essere recuperate alla ricerca le potenzialità costruttive e creative che Piaget, Von Glasersfeld e la Scuola Operativa riconoscono al soggetto in apprendimento. In Italia Alberto Munari e Donata Fabbri hanno utilizzato le tesi di fondo dell’epistemologia genetica, puntando a coniugare questo punto di vista con il paradigma della complessità e con un approccio ermeneutico e negoziale, in cui il soggetto deve confrontarsi con la polisemia degli enunciati per decidere, in base alla situazione e al personale sistema di conoscenze, quale significato sia pertinente, dovendo anche condividere questo percorso di costruzione con altri soggetti[20].
Se dal discorso comune passiamo a considerare la specificità della comunicazione scolastica, si delinea una strada che consiste nel far entrare in interazione l’esercizio della negoziazione e dell’ermeneutica con strategie che rendano capaci gli studenti di riconoscere ed agire sui propri schemi interpretativi.
Pratiche discorsive formalizzate, come discutere su un tema specifico, inferire, ricordare, spiegare o argomentare, forniscono contemporaneamente nuove procedure conoscitive, riapplicabili in diversi contesti, e nuove organizzazioni concettuali e modi di leggere la realtà. Infatti “la discussione non si realizza naturalmente a scuola: è piuttosto il risultato dell'inserimento di un insieme di condizioni artefattuali che consentono il processamento congiunto dei contenuti, degli stili e degli atteggiamenti che gli attori pongono in gioco. La situazione sociale di costruzione collettiva della conoscenza e della spiegazione è la condizione matrice che presiede tanto allo sviluppo dei saperi e delle discipline, quanto a quello delle competenze” .
Gli studenti, con i propri schemi interpretativi, entrano in contatto con quelli dei compagni e con i modelli esperti prodotti all’interno delle discipline; perché questo contatto si evolva in appropriazione significativa e non in mera giustapposizione di saperi, è necessario il lavoro di negoziazione, ristrutturazione e revisione continua dei concetti, degli schemi e delle teorie.
Per facilitare questo delicato passaggio, che ci sembra essere il punto critico dell’educazione, riteniamo sia molto utile l’uso esplicito di modelli come i frames e gli script accanto all’uso delle mappe concettuali.
Gli schemi sono strutture che organizzano la memoria e che servono a interpretare eventi, oggetti o situazioni e a fare ipotesi e previsioni su di essi, sono interfacciati, dinamici e articolati in sottoschemi, il loro insieme rappresenta tutte le conoscenze di un individuo.
Utilizzati nella didattica, diventano strumento metacognitivo, in quanto permettono al soggetto di esprimere la propria rete concettuale esplicitandola al di fuori della mente, e strumento di negoziazione, in quanto facilitano lo scambio e la co-costruzione con il gruppo. In particolare, nelle mappe concettuali i dati e le informazioni sono organizzati in modo spaziale, offrendo la possibilità di dominare simultaneamente un campo di indagine, di scoprire relazioni nuove, di trasformare la conoscenza tacita in conoscenza esplicita[21].
Ci sembra che l’uso di questi strumenti cognitivi, all’interno di una pratica costante di discussione e negoziazione e assieme alla riflessione metacognitiva, possa costituire una via per il superamento di quella che a lungo è stata letta come opposizione tra la costruzione interno-esterno piagettiana e quella esterno-interno vygotskijana, tenendo presente l’importanza che ambedue gli autori ascrivono ai fattori storico-sociali ed al linguaggio.
Insomma, da un puntodi vista pedagogico, la didattica costruttivista e quella cognitivista rappresentano importanti punti di riferimento perché contribuiscono ad affinare gli strumenti operativi del clinico, consentendo di acquisire una visione particolarmente ricca e plastica dei processi della mente, delineando in maniera precisa i concetti di apprendimento e di conoscenza che stanno alla base del comportamento umano e fornendo infine importanti spunti operativi: mappe concettuali, strumenti euristici, metodi di autoregolazione, insegnamento e progettazione per concetti, ecc.




[1]    Galanti A., Affetti ed empatia nella relazione educativa, Liguori, Napoli, 2001, p.115
[2]    Galanti A., Affetti ed empatia nella relazione educativa, op. cit., p.116
[3]    Watzlawick P., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971, pp. 48 e ss.
[4]    Cancrini M.G., Zavattini G.C., Individuo e contesto nella prospettiva relazionale, Bulzoni, Roma 1977, p.20
[5]    Cfr. Benedetti B., La relazione educativa nel gruppo, Liguori, Napoli, 2003
[6]    Benedetti B., La relazione educativa nel gruppo, op.cit., p. 46 e ss., 2003

[7]    Sorrentino A.M:, Handicap e riabilitazione, N.I.S, Roma, 1987, pp. 65 e ss.
[8]    Scabini E., L'organizzazione della famiglia fra crisi e sviluppo, Franco Angeli, Milano, 1985, pp. 78 e ss.
[9]    H.I. Maurrou, Storia dell’educazione nell’antichità, Studium, Roma, 1984.
[10]  Platone, Menone, traduzione e introduzione di F. Adorno, Laterza, Roma-Bari, 1997.
[11]  F. Ravaglioli, Educazione occidentale, Armando Scuola, Roma, 1990
[12]  F. Cambi, Manuale di storia della pedagogia, Laterza, Roma, 2003.
[13]  C. Pancera, La paideia greca. Dalla cultura arcaica ai dialoghi socratici, Edizioni Unicopli, Milano, 2006.

[14]  R. Fornaca, Storia della pedagogia, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze), 1991.
[15]  Per approfondimenti circa la didattica cognitivista, Cfr. Crispiani P., Didattica Cognitivista, Armando, Roma, 2004.
[16]  Per approfondimenti circa i domini della conoscenza, Cfr. Calvani A. (a cura di), Fondamenti di didattica, Carocci, Roma, 2007
[17]  Per approfondimenti circa i modelli, i metodi e le strategie di intervento, Cfr. Bassa Poropat M. T., Lauria F., Professione educatore, ETS, Pisa, 1998
[18]  Degli aspetti strategici dell’apprendimento si è occupato anche Frabboni, Cfr. Frabboni F., Manuale di Didattica generale, Laterza, Roma, 2007
[19]  per approfondimenti relativi ai settori di interesse e di intervento del pedagogista clinico, Cfr. Vygotskij L. S., Fondamenti di Difettologia, Bulzoni, Roma, 1986
[20]  Un interessante lavoro sul concetto di significato, sui giochi linguistici è quello proposto da Alberto Prezzi. Cfr. Peruzzi A., Definizione, la Nuova Italia, Firenze, 1997; oppure Cfr. Nicola U., Sembra ma non è, Demetra, Firenze, 2007
[21]  Cfr. Mannese E., La pedagogia Clinica Tra Scienze Umane e Neuroscienze, Anicia, Roma, 2002; Cfr. Fraunfelder E., Pedagogia e Biologia, Liguori, Napoli, 2001; Fraunfelder E., Santoianni F. (a cura di), Le scienze bioeducative, Liguori, Napoli, 2002 

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