La relazione pedagogica
Lo scopo della
relazione pedagogica non è instaurare un processo di intervento terapeutico, né
l’attivazione di un mero sostegno di tipo assistenziale; la relazione
pedagogica è intesa come un canale necessario affinché si attivi il processo di
apprendimento, di crescita e di maturazione del soggetto, ovvero, si possa
attivare un lavoro di tipo pedagogico vero e proprio. Senza il canale della relazione,
senza un contatto autentico che consenta di condividere spazi e tempi comuni,
senza l’accoglimento dell’altro in maniera autentica, oltre ogni forma di
pregiudizio, non è possibile attivare nessun tipo di intervento pedagogico.
La reciproca
accettazione è fondamentale, quindi, e non va mai confusa la “prigionia
reciproca” tra il soggetto considerato bisognoso di aiuto e l’altro che è
quello chiamato a dare, altrimenti, l’intensificarsi progressivo
dell’atteggiamento richiestivi del primo determina l’incrementarsi di quello
del rifiuto da parte dell’altro, oscillando costanetemente tra slanci
iperprotettive e manifeste forme di intolleranza[2]
.
Il concetto di relazione si lega, soprattutto
in ambito pedagogico, con quello di comunicazione; quest’ultimo è
significativo al fine di rendere ottimale il processo formativo all'interno
della scuola o comunque in ogni ambito pedagogico. Saper comunicare significa
stabilire delle relazioni significative fra pedagogisti e soggetti e fra i
soggetti stessi. Senza una buona comunicazione non è possibile favorire il
processo di apprendimento perché vengono a mancare le basi per favorire il
processo di acquisizione delle informazioni.
La comunicazione
è un passaggio di messaggi tra due o più persone caratterizzato da un
meccanismo di retroazione, in cui chi riceve indipendentemente dalla conoscenza
del codice scelto dalla trasmissione deve essere in grado almeno di percepire.
La capacità di capire/recepire, in virtù delle possibilità di leggere i segnali
trasmessi attraverso un codice stabilito, fornisce il punto di partenza
dell'analisi del processo comunicativo. La comprensione della comunicazione
verbale viene data dall'analisi della sua forma più che da quella del suo
significato, che ne costituisce l'aspetto semantico.
Nell'analisi del
processo comunicativo emerge prima l'aspetto formale della comunicazione, ossia
quello sintattico relativo allo studio formale degli elementi e di come essi
sono organizzati tra di loro; successivamente appare la relazione tra comunicazione,
segno e significato che è ciò di cui si occupa la semantica; infine emerge
quella parte che riguarda la natura e l'impiego dei segni e gli effetti sul
comportamento di chi li interpreta, materia quest'ultima che rientra nello
studio della pragmatica della comunicazione[3].
All'interno di
una relazione, acquisire scambievolmente le modalità comunicative nella loro
interezza significa dare importanza alla sostanza mutevole, variegata e fluida
propria dell'intenzionalità comunicativa, dato che questa qualifica il
significato di tutti gli altri comportamenti.
Oltre a questo
esistono i problemi relativi alla metacomunicazione, legati al tono della voce
e a tutte le sfumature di carattere emotivo che contraddistinguono il messaggio
espresso dal mittente. In qualsiasi situazione comunicativa, infine, il
contesto nel quale la comunicazione si svolge acquista grande importanza ed
anche se la quotidianità tende a banalizzarlo e a renderlo invisibile, esso
emerge significativamente in presenza di eventi imprevisti che pongono il
sistema in crisi.
Le regole
sociali definiscono le regole secondo le quali un comportamento è accettabile o
meno, se è comprensibile e condivisibile; ecco che allora inizia a delinearsi
l'importanza del concetto di interazione, la quale, consente di concatenare una
serie di comportamenti ad altri, così da
mettere in relazione ogni messaggio con quello precedente, consentendo
una valutazione obiettiva sull'intero fatto avvenuto. Nell'ambito di ogni
comunicazione umana il contesto assume una importanza fondamentale e la
progressione che facilita l'acquisizione della conoscenza consente
all'individuo di imparare ad imparare. Ovvero di riuscire ad orientarsi in
certi tipi di contesto.
La
comunicazione, comunque, assume soprattutto un valore strumentale nel momento
in cui è utilizzata per esigenze precise, come per la definizione di precisi
oggetti o simboli in settori specialistici che necessitano di un corpus
linguistico specifico. La comunicazione aiuta anche ad esercitare una certa
forma di controllo sulle persone in relazione ad uno scopo da raggiungere, in
modo da poter arrivare a realizzare un lavoro specifico, secondo un'ottica
anche cooperativistica e collaborativa.
Il linguaggio,
nell'ottica relazionale, aiuta anche ad avvertire l'interlocutore dei propri
stati d'animo più profondi ed i mutamenti nei rapporti interpersonali.
Per un
insegnante o un pedagogista è fondamentale saper modulare le proprie emozioni
all'interno del contesto della classe (o del gruppo pedagogico), in modo da dar
vita ad una interazione capace di creare dei cambiamenti; se nel gruppo si
verificano livelli di tensione elevati dovuti alla conflittualità fra due
membri, può darsi che ci sia la voglia di ricercare elementi provenienti
dall'esterno del sistema allo scopo di costruire nuove ed ulteriori
triangolazioni, nel tentativo di resistere al cambiamento.
Una modalità di
azione per produrre cambiamenti nel sistema passa anche attraverso la
ristrutturazione delle modalità interattive: infatti molto spesso i disagi
manifestati dal gruppo sono la conseguenza di alterazioni nell'organizzazione
gerarchica del sistema e nella distribuzione dei livelli di potere.
L'unica
possibilità efficace per risolvere i conflitti interni al gruppo è il
cambiamento strutturale, per impedire al sistema di disintegrarsi, il
referente, nelle sue interazioni con questo, deve tener conto precisamente
dell'organizzazione su cui il gruppo si basa.
La struttura
cambia attraverso le proprietà dei suoi componenti, mentre gli stimoli
provenienti dall'esterno che interagiscono con il sistema spesso non producono
su di lui nessun cambiamento strutturale. All'interno del gruppo classe ogni
manifestazione interattiva è da valutare in relazione al contesto in cui si
svolge. L'individuo e la classe sono sistemi aperti che attuano con il loro
ambiente continui scambi capaci di determinare retroazioni e anticipazioni
utili a spiegare i loro comportamenti. Il soggetto che si trova all'interno di
un gruppo è immerso in un contesto di relazioni per lui condizionanti in quanto
queste rappresentano un sistema di regole che vanno a formare la sua situazione
socio-affettiva e culturale. E' possibile quindi affermare che il bambino
sviluppa la propria personalità in due direzioni: da un lato, secondo il suo
patrimonio bio-genetico, che altro non è se non il bagaglio delle sue
potenzialità; dall'altro lato secondo 'imprinting ambientale ricevuto, che è
invero la modalità di relazionarsi appresa nel tempo a mano a mano che egli è
venuto a contatto con le esperienze dei vari contesti[4].
Il gioco e la
fantasia possono essere considerati come la comunicazione analogica e digitale
dei messaggi che definiscono la relazione all'interno del suo contesto,
diventano i fili della trama di un tessuto che, a mano a mano che si forma,
mostra, all'attento osservatore, una serie di proiezioni che offrono la lettura
e la spiegazione delle altre relazioni che si sviluppano e si ridefiniscono
reciprocamente in altri contesti sociali con i quali, al di fuori del proprio
gruppo, ciascun membro interagisce.
Contenuto e
relazione sono i due aspetti che devono rimanere reciprocamente congrui, perché
la comunicazione possa essere considerata normale ed il contesto, all'interno
del quale si svolge la comunicazione, fornisca significativi chiarimenti alla
relazione in atto. Le modalità attraverso le quali viene data la definizione ad
una relazione o ne viene assunto il controllo possono essere classificate
secondo tre tipologie: la conferma da
parte da parte degli altri della percezione che ciascuno ha del proprio sé; la sua negazione quando è possibile incontrare un rifiuto o un rigetto di
quella percezione; infine la disconferma
di tale percezione e questo sottende una modalità disturbata o patologica che
lascia passare un messaggio del tipo:<<tu non esisti>>.
Il gruppo, in
conclusione, deve essere considerato come un insieme di elementi che
interagiscono tra loro; coloro che appartengono al gruppo non hanno
singolarmente potere a senso unico sul resto del gruppo, cosicché le
interazioni si influenzano
vicendevolmente non si può dare ad uno o più membri il valore di causa
determinante delle azioni che il gruppo compie[5].
Poniamoci adesso
per un attimo in un’ottica prettamente solastica, ovvero nel momento in cui il
bambino entra per la prima volta nel mondo della scuola; tutto questo
rappresenta anche uno dei passaggi di trasformazione del ciclo vitale di ogni
famiglia, ovvero, una fase che non è preparata né dalla famiglia né dal
soggetto che dovrà recarsi a scuola ma che si comporrà invece attraverso una
naturale modificazione determinata da fattori sociali.
In questa fase
si verificano straordinari cambiamenti che colpiscono per la rapidità con cui
si susseguono e per l'importanza che assumono nel futuro di tutto quel nucleo
familiare.
All'interno
della classe si manifestano dinamiche comunicative e relazionali tra il
sottogruppo dei pari e gli adulti, intesi questi ultimi come personale docente
e non docente, gli intrecci e le dinamiche verbali e gestuali aumentano in
maniera significativa e progressiva rispetto all'intensificazione della
frequenza.
Questa nuova
acquisizione di dati e di stimoli relazionali porta i bambini ad una naturale
ridefinizione del proprio ruolo anche nella famiglia di origine e quest'ultima
tende a riorganizzarsi secondo parametri di confronto che le derivano
dall'impostazione di una quantità variabile di nuovi valori e di nuovi schemi.
Il bambino e la
famiglia non possiedono subito gli strumenti per affrontare questo periodo di
adattamento e cambiamento; così i familiari devono imparare a comprendere e
convivere con le trasformazioni anche blande del bambino cercando di integrare
gli schemi usati all'interno dell'ambito nucleare con quelli extrafamiliari. I
cambiamenti sono legati, da una parte alle trasformazioni biologiche e alla
maturazione delle strutture mentali; dall'altra alle modificazioni legate alle
dinamiche che si svolgono all'interno della coppia genitoriale ed ai relativi
messaggi che al bambino sono stati impartiti fino al momento del suo ingresso a
scuola.
In relazione
alla maturazione ed alla necessità di affermare gradualmente il proprio sé, da
una parte spinge il bambino ad accettare le regole imposte dalla scuola e dai
genitori, per una pacifica convivenza con gli altri; dall'altra la necessità di
contestare le norme stesse, ribellandosi alle imposizioni ed alla disciplina il
cui apice caratterizza la fase adolescenziale.
All'interno del
gruppo classe i bambini cominciano a sperimentare alcune relazioni affettive
extrafamiliari: i primi rapporti amicali ed il confronto con dinamiche
quotidiane diverse. Gli ambiti sociali rappresentati dalla scuola e dal gruppo
classe al bambino servono per sviluppare le sue capacità di socializzazione.
Piano piano il
gruppo classe diventa una comunità in cui sperimentare nuovi ruoli, dove creare
nuovi linguaggi e dove l'accoglienza e l'accettazione da parte degli altri
diventa motivo fondamentale di vita[6].
La scuola e la
famiglia possono proporre valori o comunque dinamiche relazionali completamente
diverse e quindi può entrare in conflitto con l'una o l'altra, a seconda di chi
riesca a coinvolgere il soggetto in maniera più o meno completa. Gli elementi
di contrasto possono farsi sentire attraverso manifestazioni di aggressività
verbale o fisica, mettendo il bambino nella condizione di cercare continuamente
conferme, che spesso vengono negate dal gruppo di appartenenza.
La
conflittualità porta inevitabilmente a dover rinegoziare il proprio ruolo
all'interno della famiglia, soprattutto se in classe il gruppo dei pari
stabilisce regole sociali diverse da quelle abituali. Il conflitto riguarda
spesso le questioni di potere, infatti, con l'aumentare dell'età ci sarà una
regolazione diversa del controllo da parte dei genitori, con un conseguente e
successivo aumento di potere da parte del bambino stesso.
La famiglia può
intervenire aumentando l'elasticità per rendere flessibili ruoli e regole ed
assumere adeguate modalità comunicative.
La molteplicità
di variabili all'interno di strutture e di situazioni rende poco probabile un
quadro che consenta la costruzione di un modello preciso e definito,
sollecitando un numero di domande maggiore delle eventuali risposte già pronte
sulle quali poter fare affidamento.
Il docente ha la
possibilità, allora, di valutare gli elementi che caratterizzano la rete
familiare e di quali risorse può disporre, attraverso l'osservazione del gioco
delle relazioni fra genitori e figli.
Un altro
problema è quello dell'immigrazione, internazionale che porta alla costruzione
di formazioni sociali multirazziali, multietniche e multiculturali, nonché
multilinguistiche e multireligiose.
La conoscenza di
un sistema sociale diverso dal proprio per regole e cultura, usi e costumi, è
il fattore chiave che consentendo di non perdere la propria identità, al contrario
sollecita lo sviluppo di relazioni congrue con gli altri; se i vari membri del
gruppo riusciranno a penetrare i vari stili di comunicazione con cui vengono
espresse le emozioni eviteranno facilmente reciproche incomprensioni ed
equivoci.
Per quanto
riguarda i bambini diversamente abili, invece,occorre ricordare che nonostante
siano trascorsi circa trenta anni dall'abolizione delle classi speciali e
differenziali, le tematiche dell'integrazione suscitano ancora numerosi
dibattiti a livello socio-culturale. L'idea del valore intrinseco e comune
dell'integrazione dei soggetti disabili è stata recepita ed assorbita a più
livelli scolastici ed extrascolastici, ma ciò non toglie che quando nel gruppo
classe è presente un bambino con handicap psicofisico o sociale, si sviluppano
internamente ed esternamente ad esso problematiche di accettazione,
riconoscimento, accoglienza e comunicazione. In sostanza, la presenza del
disagio, palesemente ricondotto alla diversità, crea conflitti.
Tutto ciò
dipende dal fatto che culturalmente le persone si sentono come aggredite nel
loro intimo, perché sfidate nelle loro capacità operative e messe in difficoltà
nell'interagire con la persona disabile, tanto da divenire un gruppo
inefficiente o addirittura incapace di conservare la propria identità. I
problemi ed i conflitti creati da un bambino disabile all'interno di un gruppo
frenano le aspettative sociali in quanto egli apparentemente è vissuto come
diverso ed estraneo al gruppo, anche se, per contrapposizione, nella realtà dei
fatti, tutti riconoscono che è una persona con pieni diritti sociali. La presenza di un bambino
disabile all'interno del gruppo classe può dar luogo a situazioni che
impediscono la normale evoluzione delle dinamiche di gruppo; questa mancanza di
evoluzione fa sopraggiungere un blocco nello stadio attuale che implica
modalità di scambio rigide senza possibilità di negoziazione e senza
cambiamento futuro. Questo può capitare nel momento in cui il gruppo percepisce
il soggetto disabile come elemento evolutivo anomalo, cosicché il sistema
produce da solo un blocco alla sua stessa evoluzione. Il sistema tende a
strutturare o ripristinare una stabilità che diventa momento di fissità, perché
nessuno vuole abbandonare facili sicurezze ed equilibri oramai consolidati[7].
Questo modello
si struttura nel gruppo a mano a mano che esso prende coscienza della gravità
dell'handicap e di come il bambino si muove; il gruppo si blocca negando così
la propria funzione di sistema in evoluzione, tuttavia, se non abbandona le sue
potenzialità di sviluppo riuscirà ad esistere come entità evolutiva anche del
soggetto disabile[8].
Queste sono
soltanto alcune delle considerazioni circa la complessità e la variabilità del
fenomeno educativo quando lo si consideri in un’ottica di tipo relazionale;
restringendo adesso il focus di indagine e concentrandoci sull’attività del
pedagogista e del suo particolare tipo di intervento, possiamo trarre delle
linee guida fondamentali, partendo dal presupposto che ancora oggi, dopo secoli
di storia, perdurano e si mostrano di larga attualità gli insegnamenti
educativi e didattici derivanti dalla dottrina socratica.
E’ sempre accesa, difatti, la fertile discussione sui costrutti basilari introdotti dal noto maestro: la ricerca costante del dialogo, del confronto e della cooperazione, l’arte della maieutica, le problematiche connesse al “fare ragionamento” e ai processi di concettualizzazione.
Secondo uno dei più autorevoli storici dell’educazione antica, Henri-Iréné Marrou, occorre attribuire ai sofisti in generale, e aggiungerei alla figura di Socrate, nello specifico, uno spessore pedagogico notevole, in quanto spetta a loro il merito di aver “scoperto e abbozzato una serie di tendenze pedagogiche diverse[9] , di aver cioè percorso in ogni strada solo alcuni passi, ma nel contempo di aver tracciato la direzione che fu successivamente seguita. La maieutica mantiene sempre forte la sua azione formativa ed è ben noto il principio teorico legato a Socrate: la Verità non può scaturire né erompere dal mondo esterno, né può essere tramandata. Essa è frutto di un processo di ricerca interno all’individuo, contraddistinto da momenti di tensione e di riflessione e che veicola come mezzo educativo e pedagogico più efficace il ragionamento che si esplica, a sua volta, attraverso la maieutica (azione del trarre fuori).
Avveniva, infatti, che l’allievo, dopo esser stato interrogato dal maestro su una determinata questione, era indotto all’abbandono delle possibili certezze e alla rinuncia dei propri pregiudizi, per poter dar spazio all’azione della maieutica, atto squisitamente educativo in grado di far venire alla luce la “verità” che è nell’animo di tutti (evidente è la correlazione con il termine “educare”, derivante dal latino “educere”, ovvero, “trarre fuori”).
A tal proposito si riporta l’inizio di un dialogo estrapolato dal Menone[10] dove Socrate, parlando con uno schiavo che non ha mai studiato geometria, dimostra praticamente l’arte della maieutica:
E’ sempre accesa, difatti, la fertile discussione sui costrutti basilari introdotti dal noto maestro: la ricerca costante del dialogo, del confronto e della cooperazione, l’arte della maieutica, le problematiche connesse al “fare ragionamento” e ai processi di concettualizzazione.
Secondo uno dei più autorevoli storici dell’educazione antica, Henri-Iréné Marrou, occorre attribuire ai sofisti in generale, e aggiungerei alla figura di Socrate, nello specifico, uno spessore pedagogico notevole, in quanto spetta a loro il merito di aver “scoperto e abbozzato una serie di tendenze pedagogiche diverse[9] , di aver cioè percorso in ogni strada solo alcuni passi, ma nel contempo di aver tracciato la direzione che fu successivamente seguita. La maieutica mantiene sempre forte la sua azione formativa ed è ben noto il principio teorico legato a Socrate: la Verità non può scaturire né erompere dal mondo esterno, né può essere tramandata. Essa è frutto di un processo di ricerca interno all’individuo, contraddistinto da momenti di tensione e di riflessione e che veicola come mezzo educativo e pedagogico più efficace il ragionamento che si esplica, a sua volta, attraverso la maieutica (azione del trarre fuori).
Avveniva, infatti, che l’allievo, dopo esser stato interrogato dal maestro su una determinata questione, era indotto all’abbandono delle possibili certezze e alla rinuncia dei propri pregiudizi, per poter dar spazio all’azione della maieutica, atto squisitamente educativo in grado di far venire alla luce la “verità” che è nell’animo di tutti (evidente è la correlazione con il termine “educare”, derivante dal latino “educere”, ovvero, “trarre fuori”).
A tal proposito si riporta l’inizio di un dialogo estrapolato dal Menone[10] dove Socrate, parlando con uno schiavo che non ha mai studiato geometria, dimostra praticamente l’arte della maieutica:
L’azione della maieutica ha rappresentato, pertanto, il primo
grande passo, compiuto nella storia della pedagogia, volto al rifiuto di un
metodo impositivo di trasmissione culturale unilaterale, dall’esterno verso
l’interno, e lineare, dal maestro verso l’allievo.
La modalità socratica di intendere la relazione educativo- didattica si caratterizza, al contrario, da una vitale circolarità dialogica che, scombinando il ruolo dei soggetti che vi partecipano, li riveste di nuovo senso: il maestro è colui che sollevando dubbi, destando incertezze, cogliendo contraddizioni, sollecita alla ricerca, indirizzando l’allievo verso la problematizzazione, guidandolo ad intraprendere uno scavo graduale che lo conduce al ritrovamento della verità, alla scoperta di un “sapere concettualizzato”. Il dialogo rappresenta un importante
strumento cardine per la realizzazione il processo del il dialogo, che schiude alla dialettica, intesa come forma di argomentazione che perviene all’unificazione attraverso l’opposizione e permette di costruire un’unità che tende a farsi sempre più ricca. Gli strumenti sono sempre i medesimi, ovvero, il ragionamento, la critica delle opinioni, la definizione dei concetti, la formulazione dei giudizi. Il sapere scientifico è quello che scaturisce da questo serrato lavoro dell’intelletto, che scava nelle opinioni per trovare i principi”[11].
Cambi sostiene che “l’azione educativa di Socrate consiste nel favorire tale dialogo e la sua radicalizzazione, nel sollecitare ad un approfondimento sempre maggiore dei concetti per raggiungere una loro formulazione più universale e più critica”[12].
Da un punto di vista educativo il dialogare per domande e risposte proprio di Socrate, oltre ad essere stimolo fruttuoso per l’innescarsi di processi di ragionamento e concettualizzazione, instaura anche, come sostiene Pancera, un rapporto di educazione reciproca fra l’allievo e il maestro, sebbene, nel caso di Socrate che sapeva di non sapere, sia assai difficile discernere l’allievo dal maestro[13].
Una pedagogia basata sul dialogo tende insomma a superare gli aspetti negativi dei ruoli egemonici e subalterni nell’educazione, della conflittualità, per ribadire il principio dell’identità e della partecipazione; identità come rispetto della crescita e della maturazione della persona, partecipazione come momento di autentica correlazione, di aiuto reciproco, di vicendevole maieutica”[14]
Pertanto la grande maestria di Socrate, in campo educativo- didattico, si snoda primariamente nei seguenti nell’aver assegnato alla parola un’immensa forza costruttiva e produttiva, veicolandola come portatrice di significati; nell’aver dato vita e diffusione alla questione sull’utilizzo del dialogo come strumento di natura sia educativa (intendendolo cioè come “spazio educativo” in cui concretamente si realizza l’incontro tra educatore ed educando) che formativa (poiché conduce, attraverso il graduale processo di argomentazione, problematizzazione, ricerca e concettualizzazione, all’autentica scoperta del “sapere”).
La modalità socratica di intendere la relazione educativo- didattica si caratterizza, al contrario, da una vitale circolarità dialogica che, scombinando il ruolo dei soggetti che vi partecipano, li riveste di nuovo senso: il maestro è colui che sollevando dubbi, destando incertezze, cogliendo contraddizioni, sollecita alla ricerca, indirizzando l’allievo verso la problematizzazione, guidandolo ad intraprendere uno scavo graduale che lo conduce al ritrovamento della verità, alla scoperta di un “sapere concettualizzato”. Il dialogo rappresenta un importante
strumento cardine per la realizzazione il processo del il dialogo, che schiude alla dialettica, intesa come forma di argomentazione che perviene all’unificazione attraverso l’opposizione e permette di costruire un’unità che tende a farsi sempre più ricca. Gli strumenti sono sempre i medesimi, ovvero, il ragionamento, la critica delle opinioni, la definizione dei concetti, la formulazione dei giudizi. Il sapere scientifico è quello che scaturisce da questo serrato lavoro dell’intelletto, che scava nelle opinioni per trovare i principi”[11].
Cambi sostiene che “l’azione educativa di Socrate consiste nel favorire tale dialogo e la sua radicalizzazione, nel sollecitare ad un approfondimento sempre maggiore dei concetti per raggiungere una loro formulazione più universale e più critica”[12].
Da un punto di vista educativo il dialogare per domande e risposte proprio di Socrate, oltre ad essere stimolo fruttuoso per l’innescarsi di processi di ragionamento e concettualizzazione, instaura anche, come sostiene Pancera, un rapporto di educazione reciproca fra l’allievo e il maestro, sebbene, nel caso di Socrate che sapeva di non sapere, sia assai difficile discernere l’allievo dal maestro[13].
Una pedagogia basata sul dialogo tende insomma a superare gli aspetti negativi dei ruoli egemonici e subalterni nell’educazione, della conflittualità, per ribadire il principio dell’identità e della partecipazione; identità come rispetto della crescita e della maturazione della persona, partecipazione come momento di autentica correlazione, di aiuto reciproco, di vicendevole maieutica”[14]
Pertanto la grande maestria di Socrate, in campo educativo- didattico, si snoda primariamente nei seguenti nell’aver assegnato alla parola un’immensa forza costruttiva e produttiva, veicolandola come portatrice di significati; nell’aver dato vita e diffusione alla questione sull’utilizzo del dialogo come strumento di natura sia educativa (intendendolo cioè come “spazio educativo” in cui concretamente si realizza l’incontro tra educatore ed educando) che formativa (poiché conduce, attraverso il graduale processo di argomentazione, problematizzazione, ricerca e concettualizzazione, all’autentica scoperta del “sapere”).
Socrate non ha lasciato in eredità un modello pedagogico
standardizzato che, come tutti i modelli, non sfugge alla regola di veicolare
proposte d’ordine essenzialmente prescrittivo; bensì ha delineato un originale stile
educativo e didattico, identificabile come un modo di procedere plastico ed
adattato, convissuto e riflesso, scientificamente orientato, caratterizzato da
elevata partecipazione personale e centrato sull’uso del dialogo. E’
importante quindi continuare a valutare la portata di questo pensiero e al suo sviluppo perchè nella
storia dell’educazione e nella pedagogia occidentale, anche a distanza di molti
secoli, fino ad arrivare alla società moderna, numerosi educatori hanno attinto
dalla sua potenza edificatrice e della sua ampia vitalità.
E’ interessante notare come l’importanza della relazione educativa abbia messo sempre in discussione il concetto stesso di educazione, su chi ha diritto a educare e su quali sono le modalità di intervento educativo ottimale, tenendo conto delle capacità relazionali individuali riconoscendo il soggetto come interlocutore attivo, protagonista vero e diretto costruttore del proprio percorso di formazione. Si arriva così all’abbandono, almeno parziale, dell’inefficace concetto di trasmissione culturale, aprendosi invece a quello della scoperta personale e autentica del sapere, dove l’educazione che nasce con la parola, diviene sostegno delle molteplici forme dell’oralità (dialogo, dialettica, argomentazione, narrazione etc.), dando vita ad originali esperienze formative, rese estremamente coinvolgenti mediante l’esclusivo e semplice uso della parola.
E’ interessante notare come l’importanza della relazione educativa abbia messo sempre in discussione il concetto stesso di educazione, su chi ha diritto a educare e su quali sono le modalità di intervento educativo ottimale, tenendo conto delle capacità relazionali individuali riconoscendo il soggetto come interlocutore attivo, protagonista vero e diretto costruttore del proprio percorso di formazione. Si arriva così all’abbandono, almeno parziale, dell’inefficace concetto di trasmissione culturale, aprendosi invece a quello della scoperta personale e autentica del sapere, dove l’educazione che nasce con la parola, diviene sostegno delle molteplici forme dell’oralità (dialogo, dialettica, argomentazione, narrazione etc.), dando vita ad originali esperienze formative, rese estremamente coinvolgenti mediante l’esclusivo e semplice uso della parola.
La relazione educativa si manifesta quindi come forza
costruttrice del “fare ragionamento”, modalità che conduce al rilevante
processo di concettualizzazione, dando vita alla presa di coscienza che, senza
processi di universalizzazione concettuale, senza l’acquisizione della capacità
di elaborazione concettuale non è possibile giungere a un sapere oggettivo,
universale.
Tutto questo coincide con la scoperta della natura sociale
ed interattiva dei processi di costruzione delle conoscenze (attraverso la problematizzazione,
il conflitto cognitivo, il dialogo, il confronto e l’interazione verbale in
genere) che porta con sé oltre al mutamento dal punto di vista cognitivo e
linguistico, anche una forte partecipazione emotiva, quindi un cambiamento nel
modo di esistere e di comportarsi. La relazione educativa ha le sue regole che
la differenziano dalle altre forme del parlare, prendendo le distanze dalla
regola del discutere tanto per discutere, in modo da proprsi come modello
diverso rispetto all’improvvisazione, alla superficialità e alla
conflittualità, fondando le sue radici in un rete ove si intrecciano i seguenti
momenti: definizione del “problema”, discussione delle opinioni, caduta dei
pregiudizi, ascolto delle informazioni, attenta documentazione e ricerca.
Una diretta applicazione dei preziosi insegnamenti
socratici, in definitiva, è consigliabile a tutti coloro che, quotidianamente,
operano come pedagogisti poiché appare urgente il bisogno di tornare a
valorizzare le molteplici forme dell’agire verbale, restituendo alla parola la
sua straordinaria forza educativa e recuperando la “dimensione” del dialogo
in quanto forma più promettente della comunicazione educativa e formativa.
La didattica come
strumento pedagogico
La didattica rappresenta una risorsa importante per il pedagogista, soprattutto se si ispira all'epistemologia cognitivista e costruttivista, dato che non dovrebbe mai venire meno il concetto di base che la nostra conoscenza della realtà è una costruzione individuale e sociale; è da questa premessa che la pratica costruttivista acquisisce incisività e di fatto si avvicina molto a metodologie già ampiamente sperimentate. Il valore delle discipline viste come costrutto storico, testimoniano l’evoluzione del rapporto dell’uomo con il mondo, e non come descrizioni oggettive di realtà ed è per questo che un approccio del genere, non può non sposarsi bene con il lavoro caratteristico del pedagogista.
L’ impostazione storico-critica dei curricola mette in luce il susseguirsi di modelli interpretativi e la variazione di significato dei concetti chiave delle discipline, in relazione ai contesti geografici, epocali e culturali, soffermandosi anche sulle aree di contraddizione e di costante ricerca, mostrando ampiamente
il radicamento e la legittimazione profonda della diversità tra le culture, assieme alla possibilità di evolvere i propri punti di vista.
La dignità e il valore dei modelli di spiegazione dei soggetti che interagiscono con il pedagogista, devono essere sempre rispettati perchè sarebbe drammatico da un punto di vista professionale interpretare semplicisticamente come errore tutto ciò che fuoriesce dal semplice buon senso comune, invece, la risposta dell’altro deve essere sempre valorizzata, in modo da impostare un’idonea azione didattica. Ecco perchè l’importanza della costante negoziazione di significati e l’inutilità di un nozionismo che, nel migliore dei casi, semplicemente si sovrappone alle strutture concettuali soggettive, senza minimamente intaccarle in senso positivo.
Lo sviluppo di un’attitudine metacognitiva e riflessiva si deve fondare sull’idea di un apprendimento costante durante tutta la vita, seguendo precise linee di ricerca che una didattica costruttivista e cognitivista possono aiutarci ad elaborare[15].
Se la conoscenza è legata al contesto ed all’attività dell’individuo, non c’è mai un solo modo giusto di fare qualcosa, non esistono quindi procedure di insegnamento fisse, meccaniche e standardizzate. L’approccio costruttivista offre piuttosto, all’insegnante, una struttura teorica dalla quale ricavare alcune importanti indicazioni sul significato dell’apprendere, sul cosa insegnare e come farlo e, di non secondaria importanza, cosa è opportuno evitare.
Al di là di una critica generalizzata di questi autori al modello attuale di scuola, che sembra rispondere poco sia alle esigenze degli alunni sia alle necessità sociali e produttive, caratterizzata da modalità didattiche sostanzialmente trasmissive che sottendono posizioni di sostanziale oggettivismo, sono stati elaborati alcuni orientamenti generali e condivisi che tendono a ridisegnare la figura professionale ed il ruolo del pedagogista.
Se la conoscenza è un’attiva e personale costruzione di significato attraverso meccanismi di assimilazione e accomodamento, coerente con la storia individuale, un docente può offrire allo studente stimolo ed indirizzamento, ma non può influire direttamente sul suo apprendimento: “l’istruzione non è causa dell’apprendimento, essa crea un contesto in cui l’apprendimento prende posto come fa in altri contesti”, quali la famiglia o il gruppo dei pari.
Quindi il pedagogista non determina meccanicamente l’apprendimento, che va visto piuttosto come un processo continuo e pervasivo, che vede l’insegnamento come una delle tante risorse possibili.
In altre parole, il docente può svolgere efficacemente e consapevolmente la sua funzione, solo riconoscendo l’illusorietà di un rapporto diretto e causale tra insegnamento e apprendimento, vedendolo invece come risposta, possibile ma non predeterminabile e pianificabile, alle finalità pedagogiche del setting che ha predisposto.
Anche la comunicazione e l’azione del docente possono essere considerate un oggetto tra gli altri oggetti a disposizione per apprendere. Infatti, ciò che l’insegnante dice e propone, viene sempre e comunque interpretato dallo studente e le interpretazioni quasi mai coincidono con quello che si voleva trasmettere, in quanto il significato viene ricostruito a partire dalle conoscenze pregresse e dagli scopi personali: “l’insegnante e i materiali d’istruzione diventano risorse per l’apprendimento in molti modi complessi, attraverso le loro intenzioni pedagogiche”.
Per quanto riguarda l’uso del linguaggio da parte del pedagogista si tende a dimenticare che l’approccio ai simboli da parte di un docente è governato da un abitudine personale acquisita da molto tempo, così come il modo di guardare gli oggetti di una disciplina. Ul pedagogista, quindi, ha una funzione costantemente orientativa nella costruzione del significato; attraverso un uso attento del linguaggio indica la direzione di senso e, senza offrire risposte precostituite, innalza limitazioni e delinea un orizzonte entro il quale condurre nella direzione corretta.
In quest’ottica perde la sua centralità la lezione tradizionale a favore dell’esperienza diretta, intesa non solo come manipolazione e costruzione di oggetti, ma anche fruizione e decostruzione di materiali e testi diversi. Anche nel proporre esperienze dirette è bene ricordare che qualsiasi percepito non è in sè significante; il “cosa si percepisce” è, come abbiamo visto, orientato e reso possibile dall’intenzionalità del soggetto e dipende dalla costruzione interna, potremmo dire che anch’esso è occasione e non causa di apprendimento. E’ infatti frequente che, durante un esperimento od un’attività di osservazione, gli studenti non sappiano letteralmente cosa guardare; ciò che per il docente è della massima evidenza, resta per gli alunni confuso in uno sfondo poco districabile di stimoli che potrebbero avere tutti la stessa importanza[16].
Tuttavia, non ci troviamo di fronte studenti privi di idee o di spiegazioni sui diversi domini di conoscenze che affrontano a scuola. Al contrario, essi sviluppano precocemente “teorie ingenue” sulla realtà, microteorie utilizzate come cornici interpretative, come paradigmi validi fin quando non vengono smentiti; modelli mentali anche fortemente strutturati che tendono a modificarsi a fatica. L’apprendimento, allora, va considerato come un processo di modifica e ristrutturazione di questi schemi rappresentativi, un progressivo adeguamento delle strutture cognitive che si rivelano inadeguate alle nuove situazioni che si presentano. Il pedagogista fornisce assistenza all’interno del processo per facilitare la rielaborazione dell’esperienza individuale che resta, comunque, compito e fatica del soggetto.
Le teorie ingenue hanno spesso qualcosa di corretto e funzionano nel quotidiano, per economicità cognitiva risultano difficili da sostituire con quelle esperte di cui non è altrettanto evidente la viabilità; è quindi necessario porre gli alunni in condizione di scoprire dove la teoria ingenua non funziona.
Compito del pedagogista sarà dunque quello di accertare le pre-concezioni spontanee degli alunni, farne emergere l’eventuale inadeguatezza (conflitto o spiazzamento cognitivo), per tendere a ristabilire l’equilibrio mediante ipotesi e tentativi, fino a elaborare una nuova struttura interpretativa coerente e più vicina a quella socialmente condivisa, depositata nel patrimonio disciplinare.
Se l’acquisizione della conoscenza avviene attraverso percorsi multipli fra loro interagenti, determinati anche dalle diverse comunità sociali a cui apparteniamo, ciò significa che l’apprendimento individuale non può rispondere a standard e fasi predefinite, lineari e segmentate; è necessario offrire a tutti le condizioni per seguire un proprio percorso individuale all’interno di un processo ricorsivo e reticolare, in cui ciascuno possa autodeterminare, attraverso la molteplicità delle piste percorribili, il suo itinerario e parte degli obiettivi stessi.
All’interno di questo processo è fondamentale valorizzare la dimensione sociale della conoscenza, le potenzialità che può esprimere la classe come gruppo, nell’imparare dagli altri e con gli altri, nella negoziazione di interpretazioni ad un livello sempre più raffinato e condiviso. Abbiamo visto come le relazioni interpersonali abbiano un ruolo essenziale e costitutivo nella costruzione del pensiero, rispondendo al duplice bisogno del singolo di venire confermato e sentirsi parte di una certa comunità condividendone le trame di significati e di trovare in essa forme di scaffolding che lo aiutino a realizzare le proprie potenzialità[17].
In questo senso le comunità di pratica e le svariate tecniche di cooperative learning possono offrire ai docenti molteplici spunti operativi. A nostro avviso, non si tratta di “sposare” una singola e specifica modalità, come spesso avviene nelle scuole statunitensi, sembra più interessante scegliere le modalità più adatte ad un determinato progetto e contesto, pur mantenendo fermi alcuni principi regolativi di fondo e la funzione di monitoraggio dei processi da parte dell’insegnante[18].
La ricaduta e l’ap plicazione sul piano didattico delle teorie costruttiviste riflettono, evidentemente, le diverse focalizzazioni e il differente peso che le varie correnti attribuiscono ai piani individuali e collettivi. In alcuni casi, queste differenze vengono enfatizzate assumendo la forma di contrapposizione. Il tentativo del nostro lavoro è stato quello di estrapolare, attraverso la ricerca-azione, le modalità più funzionali e le pratiche più efficaci delle diverse proposte e di trovare i piani di convergenza dei diversi approcci.
In Italia il pensiero di Vygotskij si è diffuso in una prima fase tra gli anni ’60 e ’70 per arrivare ad una più intensa applicazione, soprattutto nelle situazioni di emarginazione sociale e ritardo culturale, dopo gli anni ’80. Ciò ha portato ad una minor considerazione delle teorie di Piaget, anche a causa di una lettura piuttosto riduttiva della sua analisi degli stadi di sviluppo, e ad una conseguente applicazione meccanica e rigida[19].
Rimane tuttavia aperto il problema di comprendere meglio attraverso quali strade un soggetto faccia proprie le forme di interpretazione della cultura di appartenenza. Le recenti teorie evolutive della mente rifiutano l’asserzione che le forme e le convenzioni culturali possano essere estratte dal contesto sociale semplicemente perchè costituiscono l’ambiente in cui i bambini crescono; sembra essenziale la disponibilità di alcune competenze sottostanti come la capacità di tenere a mente, di distaccare gli schemi dalle loro condizioni di input-output e di inserire gli schemi all’interno di altri schemi.
In questo senso dovrebbero essere recuperate alla ricerca le potenzialità costruttive e creative che Piaget, Von Glasersfeld e la Scuola Operativa riconoscono al soggetto in apprendimento. In Italia Alberto Munari e Donata Fabbri hanno utilizzato le tesi di fondo dell’epistemologia genetica, puntando a coniugare questo punto di vista con il paradigma della complessità e con un approccio ermeneutico e negoziale, in cui il soggetto deve confrontarsi con la polisemia degli enunciati per decidere, in base alla situazione e al personale sistema di conoscenze, quale significato sia pertinente, dovendo anche condividere questo percorso di costruzione con altri soggetti[20].
Se dal discorso comune passiamo a considerare la specificità della comunicazione scolastica, si delinea una strada che consiste nel far entrare in interazione l’esercizio della negoziazione e dell’ermeneutica con strategie che rendano capaci gli studenti di riconoscere ed agire sui propri schemi interpretativi.
Pratiche discorsive formalizzate, come discutere su un tema specifico, inferire, ricordare, spiegare o argomentare, forniscono contemporaneamente nuove procedure conoscitive, riapplicabili in diversi contesti, e nuove organizzazioni concettuali e modi di leggere la realtà. Infatti “la discussione non si realizza naturalmente a scuola: è piuttosto il risultato dell'inserimento di un insieme di condizioni artefattuali che consentono il processamento congiunto dei contenuti, degli stili e degli atteggiamenti che gli attori pongono in gioco. La situazione sociale di costruzione collettiva della conoscenza e della spiegazione è la condizione matrice che presiede tanto allo sviluppo dei saperi e delle discipline, quanto a quello delle competenze” .
Gli studenti, con i propri schemi interpretativi, entrano in contatto con quelli dei compagni e con i modelli esperti prodotti all’interno delle discipline; perché questo contatto si evolva in appropriazione significativa e non in mera giustapposizione di saperi, è necessario il lavoro di negoziazione, ristrutturazione e revisione continua dei concetti, degli schemi e delle teorie.
Per facilitare questo delicato passaggio, che ci sembra essere il punto critico dell’educazione, riteniamo sia molto utile l’uso esplicito di modelli come i frames e gli script accanto all’uso delle mappe concettuali.
Gli schemi sono strutture che organizzano la memoria e che servono a interpretare eventi, oggetti o situazioni e a fare ipotesi e previsioni su di essi, sono interfacciati, dinamici e articolati in sottoschemi, il loro insieme rappresenta tutte le conoscenze di un individuo.
Utilizzati nella didattica, diventano strumento metacognitivo, in quanto permettono al soggetto di esprimere la propria rete concettuale esplicitandola al di fuori della mente, e strumento di negoziazione, in quanto facilitano lo scambio e la co-costruzione con il gruppo. In particolare, nelle mappe concettuali i dati e le informazioni sono organizzati in modo spaziale, offrendo la possibilità di dominare simultaneamente un campo di indagine, di scoprire relazioni nuove, di trasformare la conoscenza tacita in conoscenza esplicita[21].
Ci sembra che l’uso di questi strumenti cognitivi, all’interno di una pratica costante di discussione e negoziazione e assieme alla riflessione metacognitiva, possa costituire una via per il superamento di quella che a lungo è stata letta come opposizione tra la costruzione interno-esterno piagettiana e quella esterno-interno vygotskijana, tenendo presente l’importanza che ambedue gli autori ascrivono ai fattori storico-sociali ed al linguaggio.
Insomma, da un puntodi vista pedagogico, la
didattica costruttivista e quella cognitivista rappresentano importanti punti
di riferimento perché contribuiscono ad affinare gli strumenti operativi del
clinico, consentendo di acquisire una visione particolarmente ricca e plastica
dei processi della mente, delineando in maniera precisa i concetti di
apprendimento e di conoscenza che stanno alla base del comportamento umano e
fornendo infine importanti spunti operativi: mappe concettuali, strumenti
euristici, metodi di autoregolazione, insegnamento e progettazione per
concetti, ecc.
[1] Galanti A., Affetti ed empatia nella relazione educativa, Liguori, Napoli,
2001, p.115
[2] Galanti A., Affetti ed empatia nella relazione educativa, op. cit., p.116
[3] Watzlawick P., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971, pp.
48 e ss.
[4] Cancrini M.G., Zavattini G.C., Individuo e contesto nella prospettiva
relazionale, Bulzoni, Roma 1977,
p.20
[5] Cfr. Benedetti B., La relazione educativa nel gruppo, Liguori, Napoli, 2003
[6] Benedetti B., La relazione educativa nel gruppo, op.cit., p. 46 e ss., 2003
[7] Sorrentino A.M:, Handicap e riabilitazione, N.I.S, Roma, 1987, pp. 65 e ss.
[8] Scabini E., L'organizzazione della famiglia fra crisi e sviluppo, Franco
Angeli, Milano, 1985, pp. 78 e ss.
[9] H.I. Maurrou, Storia dell’educazione
nell’antichità, Studium, Roma, 1984.
[10] Platone, Menone, traduzione e
introduzione di F. Adorno, Laterza, Roma-Bari, 1997.
[11] F. Ravaglioli, Educazione occidentale,
Armando Scuola, Roma, 1990
[12] F. Cambi, Manuale di storia della
pedagogia, Laterza, Roma, 2003.
[13] C. Pancera, La paideia greca. Dalla
cultura arcaica ai dialoghi socratici, Edizioni Unicopli, Milano, 2006.
[14] R. Fornaca, Storia della pedagogia, La Nuova
Italia, Scandicci (Firenze), 1991.
[15] Per approfondimenti circa la didattica
cognitivista, Cfr. Crispiani P.,
Didattica Cognitivista, Armando, Roma, 2004.
[16] Per approfondimenti circa i domini della
conoscenza, Cfr. Calvani A. (a cura di), Fondamenti di didattica, Carocci,
Roma, 2007
[17] Per approfondimenti circa i modelli, i metodi
e le strategie di intervento, Cfr. Bassa Poropat M. T., Lauria F., Professione educatore, ETS, Pisa, 1998
[18] Degli aspetti strategici dell’apprendimento
si è occupato anche Frabboni, Cfr. Frabboni F., Manuale di Didattica generale,
Laterza, Roma, 2007
[19] per approfondimenti relativi ai settori di
interesse e di intervento del pedagogista clinico, Cfr. Vygotskij L. S., Fondamenti di Difettologia, Bulzoni,
Roma, 1986
[20] Un interessante lavoro sul concetto di
significato, sui giochi linguistici è quello proposto da Alberto Prezzi. Cfr.
Peruzzi A., Definizione, la Nuova
Italia, Firenze, 1997; oppure Cfr. Nicola U., Sembra ma non è, Demetra, Firenze, 2007
[21] Cfr. Mannese E., La pedagogia Clinica Tra Scienze Umane e Neuroscienze, Anicia,
Roma, 2002; Cfr. Fraunfelder E., Pedagogia
e Biologia, Liguori, Napoli, 2001; Fraunfelder E., Santoianni F. (a cura
di), Le scienze bioeducative,
Liguori, Napoli, 2002
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