giovedì 6 agosto 2015

Insegnanti di discipline Bioenergetiche Orientali (Arti Marziali) e Organizzazioni

5.1 Insegnanti di Arti Marziali o Educatori?

L’insegnante di Arti Marziali (operatore in discipline bioenergetiche) è, a tutti gli effetti, un educatore; chiunque decida di seguire la strada dell’insegnamento, deve essere consapevole della scelta fatta e di tutte le implicazioni che questa scelta comporta.
Scrive Francesco Crisafulli in merito alla figura dell’Educatore Professionale:

La specificità della professione consiste nel promuovere la maturazione delle persone, accompagnandole nei percorsi di crescita attraverso gli strumenti della progettazione educativa e soprattutto della relazione interpersonale .

Alessandro Reati, sempre in merito alla figura dell’Educatore, sostiene:

Educatore è chi si assume la responsabilità di sostenere i processi di interazione sociale che  incidono sul comportamento dei soggetti coinvolti, che trasmettono cioè abilità, conoscenze, sensibilità, valori d’orientamento. Lo scopo complessivo è quello di sviluppare l’autonomia e una potenziale gestione critica e personale del ruolo sociale .

L’insegnante di Arti Marziali non ha come scopo principale quello di insegnare una certa disciplina (Kung Fu, Karate, Hap Ki Do, ecc.); il suo obiettivo è ben più importante e nobile, infatti, affiancando i soggetti, li accompagna attraverso il sentiero della crescita, dell’evoluzione interiore e del cambiamento in generale. Chiunque si avvicini al mondo delle Arti Marziali, lo fa perché vuol apprendere le regole di un sistema che lo aiuti ad evolversi e a maturare sotto diversi aspetti: intellettuale, spirituale, fisico, ecc.
Poiché l’insegnante di arti marziali si rispecchia in un ruolo che prevede l’accompagnare, lo stimolare, l’incoraggiare e il promuovere il cambiamento, non possiamo che evidenziare l’affinità che esiste tra la figura dell’istruttore di Arti Marziali e quella dell’educatore professionale. Ciò che differisce tra la professione dell’educatore e quello dell’insegnante di Arti Marziali sono i mezzi utilizzati, infatti, nel primo prevalgono quasi sempre gli aspetti relazionali, invece, nel secondo prevale essenzialmente l’espressione fisica, il linguaggio del corpo e la dimensione gestuale.
L’insegnante di Arti Marziali promuove il cambiamento dei propri allievi sensibilizzandoli all’ascolto interiore, al rilassamento progressivo del corpo e della mente, senza mai tralasciare lo sviluppo delle attitudini soggettive, mediante la pratica “fisica” della disciplina prescelta. Alla base dello studio delle Arti Marziali c’è sempre questo concetto di cambiamento, inteso come processo e stimolo, necessario all’educazione interiore del soggetto. Tale processo consente di effettuare misurazioni circa le diverse fasi esistenziali, andando ad indagare i mutamenti di natura mentale dei soggetti, come le visioni del mondo, le concezioni dell’esistenza e i modi di essere di ognuno. C’è di più: la categoria del cambiamento prevede la trasformazione del soggetto anche per quanto concerne aspetti puramente relazionali, come passaggi di ruolo e modificazione dei diversi status sociali. Le Arti Marziali sono allora uno strumento educativo che promuove il processo di cambiamento del praticante in una direzione evolutiva, secondo la dimensione dello spazio e del tempo, dell’affettività, della corporeità e della cognitività. Le Arti Marziali promuovono esperienze diverse, atte a favorire mutamenti attraverso apprendimenti, insegnamenti e confronti tra persone che perseguono il medesimo fine, ossia, la conoscenza di sé e il superamento dei propri limiti. Le Arti Marziali favoriscono il cambiamento (educativo) a livello organico (quindi fisiologico), sociale (in senso relazionale ma non solo) attraverso un lavoro che utilizza il corpo come strumento di indagine (o esplorativo) di sé e della realtà circostante .
L’insegnante di Arti Marziali oltre a promuovere il cambiamento favorisce la comunicazione, altro importante veicolo educativo, che avviene a livello verbale e non verbale, necessario per valutare se e come il soggetto è riuscito ad apprendere. Generalmente, quando un soggetto riesce a trarre dalla propria esperienza un insegnamento importante, manifesta la tendenza a coinvolgere gli altri e renderli partecipi del proprio vissuto, quando ciò non avviene, occorre far avanzare seri dubbi circa il valore educativo dell’evento stesso. In sintesi, le Arti Marziali, come ogni altro mezzo educativo, deve sollecitare i praticanti a maturare una certa riflessività ed  una maggiore capacità di problematizzare in maniera critica i diversi accadimenti; orientare e ampliare gli orizzonti del reale attraverso validi suggerimenti, infine, favorire l’azione soggettiva affinché l’individuo possa scoprirsi protagonista del proprio cambiamento attraverso la presa di coscienza delle trasformazioni vissute, nel tempo.  
Lo studio delle Arti Marziali deve favorire l’analisi del proprio passato e del cammino intrapreso affinché l’allievo possa rivisitare i luoghi attraversati e prendere coscienza del progresso compiuto, narrando a se stesso e ad altri la fatica della propria personalissima crescita e di ciò che è riuscito o non è riuscito a realizzare .
Insomma, l’insegnante di Arti Marziali è un educatore a tutti gli effetti perché utilizza tecniche finalizzate all’apprendimento e alla cura di sé, aiutando le persone a trovare la propria strada personale anche attraverso esperienze condivise (di gruppo), guidandole e rassicurandole durante  difficili e impervi percorsi di crescita, dove è facile perdere il proprio <<centro interiore>>.
L’insegnante di Arti Marziali, in qualità di educatore, favorisce il superamento dell’ ignoranza attraverso una costante riflessione sui temi della vita e della morte, stimolando il soggetto a conoscere meglio il proprio corpo, la psiche, lo spirito e i propri limiti. Lo studente di Arti Marziali, con il tempo, prende sempre più coscienza di essere protagonista indiscusso del proprio agire e quindi responsabile in tutto e per tutto delle proprie azioni, manifestando una sempre maggiore necessità di auto interpretazione e di scoperta di sé.
Tutto ciò è possibile solo qualora il praticante abbia raggiunto un livello di maturazione tale, da sperimentare una condizione di benessere e di equilibrio interiore derivante da una paziente ricerca introspettiva e da una dedizione assidua alla propria crescita personale, attraverso un approfondimento della consapevolezza interiore ed una inedita relazione con il mondo esterno.    
L’artista marziale insegnante è un educatore perché aiuta i propri allievi a capire che il  destino sta nelle nostre mani e che gli eventi sono la risultante delle azioni espresse attraverso l’esercizio del libero arbitrio. Si educa attraverso le Arti Marziali perché l’allievo impara che solamente attraverso l’auto-aiuto, ossia l’appello alle proprie riserve energetiche, è possibile imparare a concentrarsi e prestare orecchio alle risonanze interiori, alle voci dei ricordi, sintonizzandosi con la propria dimensione più nascosta ed enigmatica, condizione necessaria, questa, per riuscire a vincere se stessi, le proprie debolezze e reagire al senso di smarrimento interiore.
L’attività educativa marziale mira ad una sintesi armonica degli opposti al fine di favorire una evoluzione completa del soggetto, aiutandolo ad orientare in maniera costruttiva e unitaria la propria autoconsapevolezza; il fine è sempre lo stesso, ossia, il raggiungimento del controllo di sé, l’equilibrio interiore e, di conseguenza, la felicità .



 5.2 Le competenze dell’Insegnante di Arti Marziali

L’insegnante di Arti Marziali è essenzialmente un educatore, quindi, occorre che acquisisca specifiche competenze, tra cui:
1) competenze culturali
2) competenze psicopedagogiche
3) competenze tecnico-professionali
4) competenze metodologiche - didattiche
5) competenze relazionali
6) competenze riflessive .

Le prime fanno riferimento alle conoscenze inerenti alla psicologia sociale e dello sviluppo; le competenze tecnico-professionali, invece, sono specifiche per le diverse discipline, ad esempio, l’insegnante di Ju Jitsu farà propri gli strumenti necessari per il raggiungimento di certi obiettivi, che sono diversi da quelli adottati dall’istruttore di Wu Shu o di Karate.
 Le competenze metodologiche e didattiche riguardano la capacità di programmazione, valutazione dei risultati, documentazione, osservazione e verifica finale.
Per competenze metodologiche e didattiche si intende la capacità di organizzare le diverse attività in relazione agli obiettivi da raggiungere, alle capacità soggettive e ai bisogni formativi dei praticanti. Attraverso una opportuna organizzazione metodologica e didattica, si possono definire opportunamente le finalità del processo formativo, oltre alla verifica e alla valutazione finale. Prendendo in considerazione, poi, la storia individuale dei singoli praticanti, è possibile utilizzare l’osservazione come metodo di indagine e di conoscenza degli allievi. Le competenze relazionali facilitano la possibilità di interazione, conoscenza e formazione, atte ad innescare il processo di maturazione e di aiuto nei confronti degli allievi. Le competenze dell’insegnante- educatore, allora, non possono essere di natura esclusivamente tecnica, infatti, entrano in gioco i fattori culturali, la storia personale dell’istruttore, la sua formazione e il suo equilibrio interiore. Sapersi relazionare significa essere capaci di gestire le strategie comunicative, fondate essenzialmente sulla conferma e sul rinforzo sociale. Attraverso l’incoraggiamento è possibile facilitare nell’allievo la sua capacita di gestire al meglio le risorse che possiede e realizzare, così, le proprie aspirazioni.
Per competenze riflessive, infine, si intende la capacità di arricchire costantemente il proprio bagaglio culturale e di conoscenze, al fine di migliorare sempre le proprie competenze professionali. L’insegnante di arti marziali, in pratica, lavora fianco a fianco con soggetti in formazione e, quindi, problematici; occorre allora che possieda la capacità di categorizzare l’esperienza affinché riesca ad imparare da ciò che accade e far propria l’essenza dell’accadimento. In pratica, l’insegnante apprende dall’esperienza ma tutto ciò che accade viene disposto all’interno di strutture già costruite dalla formazione e dalla storia personale, le quali, concorrono alla costruzione di nuovi saperi .
Senza una adeguata formazione di base, difficilmente l’insegnante riuscirà a costruire strutture mentali idonee a contenere il flusso dell’esperienze e, attraverso  esse, dar vita e forma a nuovi saperi e conoscenze.
Le competenze dell’Insegnante – Educatore riguardano essenzialmente la capacità di essere “professionisti dell’incoraggiamento”, ossia, operatori in grado di attivare le potenzialità dei soggetti, facendo forza sulle loro motivazioni interne, in modo da valorizzare al massimo le risorse di ognuno. L’incoraggiamento rappresenta il principio fondamentale dell’agire educativo ed è un fattore che consente di mettere in luce gli elementi positivi anziché gli errori, sdrammatizzando circa eventuali prestazioni negative degli allievi. L’insegnante capace di valorizzare i risultati positivi, anziché gli sbagli, evita eventuali scoraggiamenti e dannose rinunce all’apprendimento da parte dell’allievo. Valorizzare le capacità dei ragazzi significa anche, in una certa misura, responsabilizzare gli allievi riconoscendo loro i meriti dei risultati ottenuti; tutto questo non fa che incrementare la fiducia in se stessi e nei propri mezzi .
Le competenze dell’Insegnante – Istruttore devono essere tali da permettere lo sviluppo di personalità equilibrate attraverso le diverse attività marziali. L’insegnante deve curare al massimo la dimensione relazionale e la situazione apprenditiva degli allievi, in maniera da poter innescare importanti fattori proattivi per la riuscita nelle diverse prove. L’istruttore ha il compito di  creare un clima  cooperazione tra il gruppo e gli insegnanti e tra gli allievi stessi, dando vita a stati d’animo positivi, necessari alla formazione di una buona autostima, fiducia, sicurezze ed interesse sociale.
Le competenze relative all’atteggiamento incoraggiante, si basano essenzialmente sulla capacità di ascolto, necessarie per riuscire a cogliere negli allievi eventuali indici di natura verbale, gestuale, i bisogni di autonomia, di crescita, interessi, umori e disponibilità. L’insegnante deve inoltre possedere la capacità autocontrollo, cercando di non spazientirsi e di tollerare al meglio le diverse frustrazioni. Essere pazienti non significa assumere una posizione di sottomissione nei confronti degli allievi né essere permissivi; essere pazienti vuol dire avere ben chiari gli obiettivi da raggiungere, cercando di comprendere le reazioni emotive dei soggetti e favorendo, con fiducia, il processo di superamento delle condizioni di difficoltà.      
Gli allievi devono inoltre percepirsi come protagonisti dell’attività formativa, infatti, senza un coinvolgimento in prima persona degli allievi, difficilmente si creerà una situazione di reale apprendimento. L’insegnante, infine, deve essere in grado di evidenziare i risultati positivi raggiunti, senza soffermarsi su quelli negativi, riconoscendo impegno e sforzi nel conseguimento degli obiettivi desiderati. Apprezzare i tentativi e gli sforzi degli allievi a dispetto degli insuccessi e delle manchevolezze, significa evitare ogni forma di scoraggiamento, demotivazione e di abbandono, facilitando così, lo sviluppo di una personalità equilibrata e competente.
L’insegnante deve sviluppare competenze relative all’arte dell’ascolto e della comunicazione, attraverso tecniche non verbali, come la postura, la mimica, l’espressione facciale e lo sguardo, in grado di rassicurare l’allievo e confermare le abilità acquisite.
Per quanto concerne gli aspetti verbali, invece, particolarmente efficaci risultano essere la risposta a specchio e la tecnica dell’eco, dove l’insegnante aiuta al completamento della frase esposta dall’allievo e ad una sua riorganizzazione strutturale, con parole diverse. Grazie alle tecniche di derivazione rogersiana, la strategia a specchio e a eco aiutano l’allievo a migliorare le proprie abilità espressive, infatti, attraverso una sintesi dei concetti esposti, l’insegnante cede continuamente al soggetto la parola, facilitando la sua libera esposizione. Ponendo costante attenzione all’allievo, attraverso domande incoraggianti, è possibile instaurare un rapporto diretto e reale con i ragazzi, assumendo il ruolo di facilitatore e di insegnante incoraggiante.
Lo scopo dell’insegnante di Arti Marziali è quello di favorire l’autonomia e il cambiamento, inteso come un graduale incremento dell’autocontrollo e della fiducia in se stessi. Le Arti Marziali devono mirare a “costruire” persone indipendenti, dotate di pensiero creativo; perché ciò avvenga, occorre che i soggetti in formazione ricevano durante il loro cammino soddisfazioni e ricompense, attraverso modalità di confronto aperte e di fiducia reciproca. L’insegnante di Arti Marziali deve sempre rispettare la specificità di ogni soggetto aiutando gli allievi a costruire la propria identità attraverso modalità adeguate di interazione tra i membri del gruppo e l’ambiente circostante; solo così i ragazzi potranno sperimentare una condizione di benessere generale, sviluppando una percezione positiva di sé e di adeguatezza nei confronti del contesto di appartenenza .


5.3 Federazioni e Associazioni

Chiunque si sia affacciato per la prima volta al mondo delle Arti Marziali si sarà certamente accorto di quanto sia difficile riuscire a scegliere una disciplina da praticare, all’interno di un panorama così vasto di proposte, iniziative e organizzazioni. Qualora il neofita avesse le idee chiare circa l’Arte Marziale da praticare, le difficoltà continuerebbero a persistere poiché per una medesima disciplina, esistono tantissime organizzazioni diverse.
Una persona che decide di praticare un’Arte Marziale, è costretta a prendere  decisioni “a lume di naso”, in base alle prime impressioni ricevute dall’insegnante e dall’ambiente, nonché dalla vicinanza della palestra rispetto alla propria abitazione. Generalmente, infatti, una persona è attratta dalla disciplina, dal “Dojo” e dal carisma dell’insegnante, senza considerare minimamente il fattore federale, che, invece, riveste un’importanza notevole. Molti insegnanti e atleti di altissimo livello, a causa dell’ organizzazione burocratica delle diverse federazioni alle quali appartengono, sono costretti a rifugiarsi all’interno di associazioni di minor prestigio, per poter sfuggire ai vincoli e alle pressioni ai quali vengono spesso sottoposti. Un esempio per tutti: esistono federazioni che impediscono ai propri docenti di insegnare in altre organizzazioni e di rivestire cariche al loro interno, oppure, di prendere parte ad iniziative, gare e manifestazioni sportive che appartengono a enti diversi. Le organizzazioni, in pratica, anziché agevolare l’ingresso dei praticanti nel mondo delle Arti Marziali e stimolarli verso esperienze diverse, tendono ad adottare una politica del separatismo e ad impedire ai propri associati di incrementare e maturare le conoscenze entrando in contatto con realtà diverse.
Le federazioni, in sintesi, anziché essere garanti delle diversità e della pluralità delle esperienze, tendono ad essere garanti delle omogeneità, considerando tutto ciò che è “altro” come avverso e da sopprimere. Omogeneizzare e omologare significa appiattire e demotivare, impedendo la costruzione di nuove conoscenze da parte dei praticanti. Le federazioni dovrebbero essere al servizio degli allievi e, in base agli interessi soggettivi, creare percorsi formativi trasversali, dove fosse possibile passare da una tipologia di insegnamento ad un altro. Ogni organizzazione tende a portare avanti una propria filosofia dell’Arte Marziale, sviluppando tecniche e metodologie di allenamento diverse, infatti, grazie a queste diversità sono nate federazioni e associazioni a sé stanti, in modo da impedire di venire messe a tacere dai poteri forti delle organizzazioni maggiori. La pecca del sistema attuale, tuttavia, sta nel fatto di non prendere coscienza del fatto che, avere a disposizioni società di atleti che praticano le medesime discipline con sfaccettature e modelli di riferimento diversi, rappresenta un arricchimento e non un impoverimento. Il male maggiore riguarda fondamentalmente l’impossibilità di fare esperienze diverse all’interno di altre organizzazioni e, soprattutto, la difficoltà burocratica che esiste nel riuscire a creare accordi e connessioni tra enti diversi.
L’attenzione politica delle diverse organizzazioni, è tesa quasi esclusivamente alla guerra e ai ricorsi legali, cercando con tutti i mezzi di mettere i bastoni fra le ruote alle iniziative o ai programmi delle federazioni concorrenti. Sfogliando le riviste di Arti Marziali non sono rare le accuse mosse da un’organizzazione ad un’altra, nascondendosi spesso e volentieri dietro i riconoscimenti del CONI, per impedire ad altre associazioni di promuovere le medesime discipline. Strumentalizzando le organizzazioni federali per mettere a tacere la voce degli altri si rischia di perdere occasioni importanti di crescita e di confronto.
Le federazioni dovrebbero essere organizzazioni aperte, che, in base alle esigenze soggettive e ai bisogni formativi, sappiano rispondere in maniera adeguata e intervenire in modo opportuno alle diverse richieste degli atleti. Le federazioni, in poche parole, dovrebbero essere unite nella loro diversità e collaborare affinché la specificità dell’una non venga ad omologarsi con la specificità dell’altra. Le federazioni devono rispondere agli atleti e tutelare gli interessi dei suoi affiliati , non viceversa..
In poche parole, mai come adesso si avverte la necessità, da parte dei praticanti di Arti Marziali, di sentirsi parte di un’organizzazione dove siano gli atleti stessi ad essere protagonisti del proprio curriculum formativo, decidendo quali percorsi effettuare, a quali stage partecipare e via dicendo, senza sentirsi imbrigliati all’interno di un’organizzazione che, il più delle volte, mira esclusivamente al guadagno facile attraverso banali meccanismi burocratici (esami farsa, passaggi di grado solo su compenso, corsi istruttori  solo attraverso lezioni private, ecc.).
Occorre una federazione che riunisca al proprio interno tutte le diverse organizzazioni, con il compito di garantire la specificità e l’unicità di ognuna, rendendo nota l’offerta formativa di ciascuna di esse, il quadro organizzativo, il piano dell’offerta formativa e le caratteristiche tecniche. A questa federazione spetterebbe il compito di rendere note le valutazioni espresse da ogni  componente che appartiene a quella specifica organizzazione, rendendo pubblici i giudizi degli atleti circa la qualità dei servizi, l’organizzazione interna e la tipologia dei programmi di studio. La rilevanza o meno di una determinata federazione, allora, dipenderebbe esclusivamente dai giudizi degli allievi stessi, così, per riuscire ad essere competitivi, i responsabili delle diverse organizzazioni sarebbero costretti a migliorare continuamente la qualità dei propri servizi, anziché perdere tempo in inutili discussioni politiche.
Beppe Perlati in un interessante articolo di politica apparsa su Samurai afferma che “la democrazia non deve essere solo una bella dichiarazione ma va attuata anche attraverso la verità”. La politica, e l’organizzazione, afferma Perlati “… sono frutto di un lavoro collegiale, dalla più piccola società al consiglio federale, con le modeste capacità che abbiamo ma con la forza che ci dà la consapevolezza di essere decine di migliaia, di operare correttamente e, pertanto, di avere diritto di praticare nel nostro Paese il Karate che amiamo e di essere riconosciuti ufficialmente…”
Non possiamo non concordare con Perlati circa la richiesta di unificazione del Karate all’interno di una grande organizzazione, purché siano rispettate le diverse finalità e viga all’interno di essa uno spirito democratico reale, nella consapevolezza, però, che niente può realmente mutare se, chi detiene il potere, non è deciso ad intervenire nella direzione del cambiamento.
L’articolo di Alfredo Cuccinello mette in luce un altro aspetto interessante che crea, da diverso tempo, tensioni e accese discussioni tra i capostipiti delle federazioni di Karate: quello dell’ufficialità delle organizzazioni e la possibilità di collaborazione fra enti diversi. Cuccinello, nelle vesti di presidente dell’Us Acli, con puntualità e precisione sottolinea alcuni concetti di vitale importanza: “Noi miriamo esclusivamente alla diffusione dello sport, e del Karate in particolare, in un’ottica di crescita e miglioramento della società. Il  timore di Cuccinello è che si venga creare un vero e proprio terrorismo ideologico da parte delle federazioni ufficiali, che punta a  delegittimare e scoraggiare altre organizzazioni similari, rivendicando un diritto che di fatto è inesistente, ossia, quello di poter  promuovere le diverse attività sportive solamente con il riconoscimento ufficiale del Coni, scavalcando così facendo, il diritto di libero associazionismo dei cittadini previsto dalla costituzione italiana. Se fosse vero che solamente le organizzazioni ufficiali del Coni possono promuovere le diverse attività sportive, ci sarebbe da preoccuparsi, ironizza Cuccinello, “… per la prossima estate, quando qualsiasi sfida di nuoto al mare potrebbe essere considerata fuorilegge, perché non controllata dalla federazione corrispondente” .
In sintesi, per un prossimo futuro sarebbe auspicabile che le diverse federazioni di Arti Marziali si aprissero maggiormente ad una cultura del dialogo, alla promozione del pluralismo e della differenza, in cui sia centrale il valore della varietà e del viaggio, inteso come un cammino senza una meta obbligata e univoca. Si tratta, in parole povere, di dar vita a federazioni che, anziché arroccarsi su rigide norme e vincoli burocratici sperimentassero quella ”incertezza” di muoversi tra modelli di vita, di pensiero e di cultura diversi,  necessari per aprirsi all’amore per il nuovo e assorbire quella ricchezza e quella complessità che caratterizzano le realtà “altre”. La differenza è un valore da collocare nel proprio sistema di valori e non una piaga da combattere. Accettare la differenza significa aprirsi ad una realtà più incerta e difficilmente controllabile da una parte, dall’altra vuol dire aprirsi alla possibilità del dialogo, inteso come partecipazione ed ascolto, contatto e confronto, costringendosi ad ampliare il proprio panorama interiore attraverso continui interrogativi e rimesse in discussioni delle proprie certezze.
Questo continuo processo di ripensamento e di auto – regolazione può anche portare a blocchi, possibili chiusure ed effetti di disturbo, tuttavia, è opportuno coltivare la capacità di autocontrollo ed una attenta tensione  interiore,  orientate  verso l’ascolto e la comprensione, necessari per riuscire ad elaborare in maniera efficace un’accoglienza reciproca e responsabile, così da permettere il reale riconoscimento dell’altro ed una valorizzazione delle capacità espresse.
La costituzione di una “federazione delle differenze” fondata essenzialmente sulla delegittimazione di ogni appartenenza (ideologica, culturale, politica, ecc.), libera da ogni vincolo di natura tradizionale, etnica e religiosa (ma anche di tipo stilistico, tecnico e metodologico), non può che rappresentare un’ ancora di salvezza per il mondo delle arti marziali, ponendo al centro del sistema non più le appartenenze (discipline, gruppi, organizzazioni) ma l’uomo stesso, inteso come espressione di unicità e differenza. Fondare una federazione sul principio della differenza significa porsi in un’ottica del libero scambio, mettersi in discussione e poter cambiare, vuol dire imparare costantemente dagli altri, comunicare e assimilare continuamente.
Per poter raggiungere questo traguardo occorre adottare i principi espressi da Cambi, nel suo illuminante testo “Intercultura: Fondamenti pedagogici”, riguardanti la decostruzione, la tolleranza, l’ascolto e il costruire insieme. Nonostante il testo abbia per oggetto l’incontro/dialogo tra culture diverse, ritengo che i principi espressi al suo interno siano applicabili anche per quanto riguarda il discorso delle federazioni, infatti, i problemi che nascono dal contatto tra culture diverse non sono molto dissimili da quelli che sorgono tra individui che appartengono ad organizzazioni diverse, con valori, interessi, schemi mentali ed atteggiamenti ben distinti e particolari. I problemi che nascono dall’incontro/scontro tra organizzazioni diverse sono simili a quelli che sorgono tra culture distinte, infatti, entrambe soffrono le difficoltà di una comunicazione efficace, con rischi di chiusure e arroccamenti, entrambe corrono il pericolo di subire interventi minacciosi da parte di chi gode di una posizione socio-economica più forte, entrambe, infine, possono non accettare i punti di vista dell’altro, con conseguenze deleterie e possibili azioni violente.
   Per “decostruzione” si intende un processo che prevede la possibilità di riconoscere il proprio modo di intendere la realtà semplicemente come punto di vista, ciò significa assumere un atteggiamento che prevede il rimettersi in discussione e il non escludere i punti di vista altrui. Occorre imparare a sviluppare la capacità di intendere il proprio modo di essere  (di pensare e agire) come relativo e non assoluto, come parziale e mai totale. I praticanti di Arti Marziali predicano spesso che, l’ideale a cui occorre fare riferimento per crescere come veri guerrieri, sia quello della lotta contro le proprie debolezze e mancanze. Bene, se il vero avversario dell’artista marziale è il proprio ego, occorre iniziare a rivolgere l’ arsenale di cui si dispone contro se stessi, contro quella pienezza di sé che spesso impedisce di intendere la realtà come relativa e di assumere un atteggiamento critico verso quelle certezze “date per scontate”.
Decostruire significa fondamentalmente accettare prospettive diverse e coglierle come un momento necessario per riorganizzare le proprie conoscenze e sottoporle ad una ulteriore analisi critica.
La “tolleranza” invece, riguarda essenzialmente la possibilità di riuscire a far coesistere in un medesimo spazio realtà diverse, invitando all’ascolto reciproco e al dialogo, al fine di evitare chiusure ed inutili fronteggiamenti aggressivi. Scambiare opinioni e punti di vista diversi vuole anche dire aprire nuovi orizzonti con possibili integrazioni, modellamenti e ripensamenti sul proprio modo di intendere la realtà e gli eventi, in modo da rinnovarsi e riattualizzarsi costantemente. A fondamento di tutto questo si colloca l’ascolto e la disposizione all’ascolto, necessari per rendere fruttuosa ogni forma di dialogo e di comunicazione, centrati essenzialmente sull’accettazione e il riconoscimento della diversità. Ascoltare vuol dire interiorizzare, fare nostre le visioni del mondo dell’interlocutore, in modo da aprire nuove porte sul “possibile” con inediti orizzonti di senso, fino ad ora mai esplorati.
“Costruire insieme” vuol dire, invece, cercare con l’altro di realizzare qualcosa purché vincolato da un supporto comune, come un’idea o una convinzione nuova, diversa, che mira al superamento della condizione di ostilità per  arrivare ad un accordo comune, con la stesura di un codice formato da norme e regole a cui entrambi i contraenti si devono attenere. Attenendosi a questi principi fondamentali è possibile abbattere gli steccati e cominciare a costruire ponti, necessari per dare vita a nuove forme di collaborazione, di partecipazione e convivenza, senza minare le singole diversità e le identità dei gruppi di appartenenza.
In conclusione, nel rapporto/confronto tra gruppi (associazioni) e federazioni diverse, occorre iniziare a ragionare in termini di “viaggio”, di migrazioni verso l’altro da sé, in modo da costruire un terreno di incontro e di scambio, necessario per mettere in luce le rispettive diversità e dare inizio al dialogo e all’ascolto reciproco . La sfida che le federazioni di Arti Marziali  devono accettare, riguarda il viaggio verso l’altro da sé, ossia, accettare i rischi dell’incontro con il nuovo e l’inesplorato, nonostante le difficoltà e le incertezze e dare il via ad un sodalizio tra gruppi diversi, fondato essenzialmente sul rispetto reciproco delle singole specificità, sul rispetto di norme comuni e sul raggiungimento di obiettivi specifici, attraverso collaborazioni, intese federali e iniziative collettive.      
         

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