giovedì 6 agosto 2015

Formazione, Didattica e Metodologia dell’insegnamento nelle discipline Olistiche e nelle Arti Marziali


3.1 Il concetto di formazione

La formazione è un oggetto culturale, ossia, un insieme complesso e variegato di regole, norme, modelli comportamentali e schemi logici, che derivano dal modo di essere e di vivere la realtà, dal tessuto sociale di appartenenza, dalle esperienze passate e dai vissuti soggettivi.
La formazione si riferisce a tutto l’arco della vita umana ed è concepita come un inesauribile processo in cui confluiscono esperienze, comportamenti e modi di rappresentarsi la realtà, utili per operare su di essi una profonda riflessione, al fine di  strutturarli all’interno di una organizzazione concettuale migliore e più funzionale.
 Il processo formativo stimola l’individuo e lo provoca in maniera sensibile, aiutandolo ad orientarsi all’interno di un difficile e talvolta doloroso percorso, il cui fine è il cambiamento, l’evoluzione progressiva, la maturazione e la crescita generale.
L’intervento formativo mira, in sintesi, ad influenzare in maniera costruttiva la personalità degli individui, andando a stimolare la loro complessa realtà psichica e cercando, allo stesso tempo, di limitare il più possibile l’insorgere di disposizioni negative o distruttive .  
La formazione, seguendo il pensiero di Franco Cambi , rappresenta un complesso processo di manifestazione di sé nel tessuto culturale e sociale; un momento di oggettivazione di sé verso l’esterno e, allo stesso tempo, un ritorno in sé del soggetto, munito di nuove conoscenze e abilità, acquisite con l’esperienza. Per l’individuo è possibile rivivere la produzione culturale, operando su di essa una sintesi ed una rielaborazione, facendola divenire “propria”, ossia, la forma mentale del soggetto.
La formazione gode di una lunga tradizione ma, allo stesso tempo, rappresenta una categoria fondamentale del mondo moderno, infatti, nasce da un bisogno di evoluzione e di crescita, che non è casuale ma è tale da investire aspetti precisi della realtà interiore e sociale dell’individuo. Oggi si parla di formazione soprattutto con riferimento alla costruzione della realtà interiore del soggetto; essa deve mantenere i caratteri di flessibilità e di plasticità, al fine di soddisfare le continue esigenze di cambiamento, richieste dalla struttura sociale d’appartenenza. Viviamo in una realtà che possiamo definire <<complessa>>, in un contesto culturale formato da una molteplicità di livelli separati ed interconnessi, sempre aperto a nuove influenze, a nuovi innesti e a continue riorganizzazioni delle sue forme; una realtà che tende a valorizzare sempre più, il pluralismo e la differenza.
Il mondo attuale è costituito da una serie di relazioni interdipendenti, da un complesso incrocio di correnti mentali, intenzionali e strutturali, che interagiscono tra loro, dando vita ad una <<realtà>> che non è possibile leggere in maniera riduttiva, da un’unica angolazione, altrimenti esiste il rischio di perderne l’eterogeneità e la complessità che la costituiscono .
La formazione, in sintesi, rappresenta un percorso evolutivo individuale, formato da relazioni interpersonali, trasmissioni di conoscenze e comportamenti, tali da permettere una crescita radicale e continua dei soggetti, un migliore inserimento sociale, culturale ed una trasformazione costante della realtà interiore ed esteriore .
Per quanto concerne la formazione dei soggetti svantaggiati o in situazione di difficoltà, bisogna tenere presente che occorre restituire loro dignità, infatti, solamente attraverso il rispetto di questo diritto è possibile cogliere l’intera gamma delle attitudini e delle potenzialità di ognuno. Attraverso il processo formativo è possibile aiutare le persone ad avere più fiducia in se stesse, acquisendo una maggiore capacità di iniziativa, di partecipazione e decisione, a patto però, che negli istruttori sia viva la concezione che, atteggiamenti compassionevoli o paternalistici, non aiutano al buon esito del lavoro da svolgere.
Nel processo formativo occorre tenere conto che, per ottenere risultati positivi, non si può lavorare solamente sulle situazioni di difficoltà; bisogna, infatti, focalizzare l’attenzione sulle abilità oltre che sulle disabilità, sulle potenzialità, oltre che sugli svantaggi, a livello tanto della persona quanto del suo ambito di vita .
Il primo obiettivo, per un istruttore, è quello di lavorare sulle potenzialità residue, stimolando il soggetto a sviluppare la creatività, la capacità di espressione ed una maggiore autonomia, il tutto, al fine di permettere il passaggio dell’individuo da una situazione di passività ad una maggiormente attiva, dove siano presenti richieste di formazione, partecipazione, difesa dei propri diritti e, soprattutto, la possibilità di sapere gestire le proprie capacità a vantaggio dell’intero gruppo di studio. Nel processo formativo, infatti, si parla sempre più spesso di individualizzazione degli obiettivi di insegnamento, ossia, della realizzazione di un equilibrio tra <<i bisogni unici dell’individuo>> e << le richieste comuni che l’ambiente nel quale il soggetto vive ed è inserito, gli rivolge>>. E’ importante, in altre parole, riuscire a mediare l’individualizzazione tra le abilità che la persona <<dovrà raggiungere perché non la possiede ancora>> (obiettivi di tipo evolutivo) e quelle che <<dovrà apprendere perché gli serviranno praticamente>> (obiettivi di tipo funzionale – ambientale) .
La prima cosa che un istruttore deve tenere presente è che, all’interno della struttura formativa, il soggetto in situazione di difficoltà deve essere abituato a migliorare i suoi rapporti interpersonali, sforzandosi di uscire dalla condizione di isolamento, alla quale purtroppo, spesso si abitua. La persona in situazione di handicap, per riuscire ad impegnarsi in una qualsiasi attività, ha bisogno di continue sollecitazioni, di incoraggiamenti e, soprattutto, di un ambiente formativo ricco di affettività.
Le difficoltà non sono legate tanto al fare, quanto “all’essere” nelle relazioni, al percepirsi come una persona, investita di diritti/doveri collegati con il ruolo. Nel processo di formazione occorre riuscire a vedere il soggetto che realmente si ha di fronte con le sue frustrazioni, desideri, preoccupazioni ma anche con una particolare filosofia di vita, che nessun istruttore, anche se estremamente preparato, ha il diritto di manipolare o distruggere, infatti, il percorso formativo ha il compito importante di riuscire a fare recuperare al soggetto quella fetta di dignità che gli è stata strappata dall’indifferenza, dall’impossibilità di avere le stesse opportunità degli altri, dalla mancanza di rapporti umani profondi, senza però dover rinnegare niente di sé.
Questo delicato processo, come abbiamo visto, rispetta la personalità dell’individuo che è unica ed irripetibile e mira al suo sviluppo globale al fine di renderlo libero e capace di integrarsi nell’ambiente sociale e culturale. L’interazione dell’istruttore con il soggetto, prevede che siano chiare le mete da raggiungere e gli obiettivi da realizzare, infatti, è bene che sia presente un programma didattico da seguire e che venga sempre rispettato durante tutto l’arco formativo.
L’istruttore ha la grande responsabilità di riuscire ad inquadrare bene quali siano le reali potenzialità dei soggetti con cui interagisce, pertanto, spetta a questi sapere quali attività prendere in considerazione o tralasciare, quali sono gli interventi che possono servire maggiormente e quelli che invece sono deleteri, il tutto, al fine di raggiungere, nella maniera migliore, gli obiettivi prefissi.
Gradualmente, allora, il soggetto in situazione di difficoltà imparerà ad assumersi le proprie responsabilità e ad inserirsi in maniera efficace all’interno del gruppo di studio. Sappiamo ormai da tempo che, la promozione sociale e lo sviluppo personale, sono regolati dall’istruzione e dalla formazione che hanno la funzione importantissima di favorire l’inserimento sociale degli individui, attraverso la condivisione dei valori comuni, la trasmissione di un patrimonio culturale e l’apprendimento dell’autonomia. Istruzione e formazione esercitate anche in maniera informale all’interno di istituti o  centri specializzati, come quelli di studio delle Arti Marziali, sono gli strumenti che la società ha a disposizione per rendere gli individui padroni del proprio futuro, in grado di realizzare le intime aspirazioni di ognuno. Tutto questo, insomma, ci aiuta a capire come la formazione e l’istruzione siano qualcosa di più complesso rispetto ad un semplice passatempo, un processo che riesce a coinvolgere l’individuo in tutte le sue componenti più umane .
Esistono individui che, purtroppo, non godono degli stessi vantaggi degli altri, tuttavia, questi ultimi non possono limitarsi alle attività di recupero ma debbono, grazie ad  azioni mirate e ai centri specializzati, intervenire mettendo a disposizione i mezzi e le opportunità, necessari per realizzare le aspettative e le aspirazioni individuali.        




3.2 Metodologia del processo formativo e abilità da conseguire

Occorre ideare un sistema di insegnamento e formativo che tenga in considerazione sia la centralità dei bisogni del soggetto, sia il fatto che il disabile ha una bassa concezione di sé e che un insuccesso continuo all’interno del gruppo di studio, non farebbe altro che minare la sua autostima, contribuendo negativamente alla costruzione di una identità stabile. Occorre creare una metodologia dell’inserimento efficace e sicura, in grado di prevedere ed eliminare tutti gli interventi possibili e deleteri che inevitabilmente interferirebbero con il buon esito dell’insegnamento. Il metodo, in sintesi, non è altro che l’insieme delle norme e dei criteri, necessari per raggiungere efficacemente degli obiettivi; per la persona in situazione di difficoltà, allora, dovrà essere studiata una metodologia che tenga presente non soltanto l’azione dell’inserimento, ma anche quella dell’autorealizzazione, dell’efficienza e del successo.
Una buona metodologia è quella capace di adottare criteri efficaci e ben definiti, al fine di ottenere successi e vantaggi nel processo integrativo del soggetto in situazione di difficoltà. Per raggiungere buoni risultati occorre prendere in considerazione i fattori di autocorrezione, le prassi, le norme e tutti quei feedback, affinché il sistema concepito possa riuscire a sopravvivere. Il momento progettuale è indispensabile per un buon esito degli interventi proposti, anche a costo di dover rimettere in discussione equilibri faticosamente raggiunti, inoltre, è indispensabile non cadere nelle trappole di una eccessiva semplificazione ed evitare di idealizzare, di credere cioè, che la realtà possa coincidere con l’idea, riducendosi ad essa.
Un altro pericolo è la razionalizzazione, ossia, pensare di poter circoscrivere la realtà che è sempre in evoluzione e in continuo cambiamento, all’interno di principi razionali prestabiliti, escludendo a priori, ogni possibile fuoriuscita dal sistema stesso. La normalizzazione, invece, si basa sulla convinzione che sia necessario eliminare dal metodo formativo, ciò che è misterioso, non ancora conosciuto o semplicemente diverso, dimenticando che l’imprevisto e la casualità, possono rappresentare un momento di arricchimento e di riflessione generale.
In definitiva, la parola “metodo”, composta dalla proposizione “meta”, che significa con e dalla parola “odos” che significa via, richiama alla mente l’idea di cammino, di percorso, infatti, è importante tenere presente che, nella ricerca del metodo più adeguato, occorre camminare senza un sentiero stabilito, accettando che questo venga tracciato durante il tragitto stesso. Ecco allora che il metodo idoneo da ricercare deve possedere le caratteristiche della provvisorietà e della flessibilità, sempre pronto a adattarsi ai diversi problemi che, di volta in volta, il processo di integrazione inevitabilmente riesce a fare emergere .
La metodologia più importante da utilizzare nel campo delle Arti Marziali, è il lavoro di gruppo, infatti, esso è in grado di far emergere le dinamiche tra i vari membri, atteggiamenti diversi come la passività, l’aggressività, il dominio, la partecipazione, ecc. I gruppi imparano a gestirsi da soli, a portare avanti determinati programmi di studio, cercando sempre un accordo tra i diversi membri affinché possano dedicarsi ad un settore determinato, come la pratica di una forma, il maneggio di uno strumento, ecc.
L’insegnante osservando il lavoro dei gruppi, farà attenzione che l’allievo non esegua sempre le stesse forme, cercando continuamente nuove attività da far svolgere ad ogni singolo individuo ed aiutando i soggetti ad accrescere la consapevolezza delle finalità delle Arti Marziali.
L’istruttore, comunque sia, si impegnerà anche a far acquisire ad ognuno, il carattere di un preciso stile della disciplina marziale, senza per questo precludere l’acquisizione di altre capacità di base. La metodologia del lavoro di gruppo comporta un accrescimento del patrimonio culturale, indispensabile affinché un soggetto impari a rapportarsi con gli altri nella vita pratica. Per evitare però che il gruppo si chiuda in se stesso, è importante che l’insegnante si premunisca di promuovere attività capaci di far rifluire le informazioni, i modelli di comportamento e gli atteggiamenti dei membri.
La valutazione può essere considerata un importante strumento per comprendere quali sono i bisogni di apprendimento del soggetto, come possono essere soddisfatti e attraverso quali mezzi. La valutazione serve a verificare se le attività promosse riescono realmente a rispondere alle richieste formative dei soggetti.
La disciplina, invece, fa da spia alla bontà del programma formativo, infatti, se quest’ultimo non risponde alle reali esigenze, alle motivazioni o ai bisogni dei soggetti, è possibile che la disciplina venga a mancare, dando luogo ad atteggiamenti di passività, di intolleranza e di aggressività immotivata. Tutto questo serve all’istruttore per capire che occorre rivedere la strategia formativa perché evidentemente sono stati commessi errori di impostazione, dimenticando che è l’allievo ad assumere una posizione centrale all’interno del sistema organizzato.
Tenendo presente le effettive potenzialità del soggetto in situazione di difficoltà, è possibile determinare quali sono le competenze che quest’ultimo è in grado di sviluppare, influenzando in maniera radicale l’intera impostazione del processo formativo.
Lo scopo finale, come abbiamo già accennato, è quello di aiutare l’individuo ad inserirsi all’interno del gruppo, riuscendo a superare tutte quelle difficoltà che lo costringono ad isolarsi in maniera passiva; purtroppo però, spesso la strada da percorrere non è semplice, anzi, sono sempre presenti ostacoli di varia natura e molte sono le mete da raggiungere durante questo lungo tragitto.
Una adeguata capacità di osservazione ed una corretta coordinazione motoria, sono abilità che il soggetto deve necessariamente riuscire a possedere insieme ad una buona tolleranza alle frustrazioni, senza le quali, è difficile portare a termine un’attività impegnativa di gruppo.
La costanza, poi, è una qualità fondamentale nel mondo delle Arti Marziali, senza di essa non è possibile inserirsi e studiare le forme all’interno di un gruppo, anche se si possiedono già le abilità di base necessarie. Occorre stimolare l’allievo affinché riesca, attraverso l’allenamento, a sviluppare la costanza, cercando di impegnarlo in modo da protrarre al massimo l’attenzione sull’attività da svolgere.
L’allievo deve abituarsi a non andare sempre alla ricerca dell’appoggio degli altri e cominciare ad essere maggiormente autonomo, svolgendo la propria attività senza l’aiuto o il sostegno di chi ha intorno.  
Rigore e serietà, infine, sono qualità di cui non è possibile fare a meno perché il soggetto deve essere capace di soddisfare le attese del gruppo di appartenenza, il che significa eseguire ciò che viene richiesto nei modi e nei tempi pattuiti, dimostrando una certa capacità nello svolgere in maniera ordinata e precisa il proprio programma di studio.
Appagare i bisogni delle persone in situazione di difficoltà non è certo facile, in ogni modo, l’importante è che il soggetto sia sempre sollecitato nelle diverse attività da svolgere e che riesca a risolvere in maniera razionale e concreta i problemi che inevitabilmente sorgono, così facendo, le sue potenzialità si manifestano e diventa più facile trovare il settore maggiormente adatto alle diverse capacità .
Riassumendo quanto detto finora, per favorire l’inserimento del soggetto in situazione di handicap all’interno di un gruppo di studio, occorre una buona formazione di base impostata su solide direttive metodologiche, infatti, non è possibile improvvisare perché occorrono serie competenze da parte degli istruttori e la necessità di fondare su basi scientifiche gli argomenti da proporre agli allievi. Indispensabile è imparare a capire l’allievo; questo passo è fondamentale e costituisce l’impalcatura di tutto il sistema formativo, infatti, quando il soggetto in situazione di handicap arriva ad un Centro di Educazione Gestuale, non parte da zero ma ha già alle sue spalle un intero bagaglio di nozioni, capacità sociali e competenze culturali.
La metodologia da adottare, allora, dovrà tenere conto di tutto questo, affinché non vada perduta l’esperienza acquisita e maturata dal soggetto. Importante, poi, è che vi sia una corretta impostazione programmatica dove il momento fondamentale e centrale sia rappresentato dalle conoscenze e dalle esperienze maturate dall’individuo, infatti, solo così è possibile che il percorso formativo possa rappresentare un qualcosa di veramente importante e necessario per la sua vita.
Conoscenza dell’allievo, iter formativo e curriculum proposto, svolgono un ruolo centrale all’interno del processo formativo, inoltre, da non dimenticare è la progettazione, che rappresenta una delle fasi più delicate dell’intero percorso didattico. Con i soggetti in situazione di difficoltà occorre considerare tutti quegli aspetti di cui abbiamo più volte accennato, come le abilità acquisite, i comportamenti, gli atteggiamenti sociali, la personalità individuale, ecc. In definitiva, le persone in situazione di handicap hanno continuamente bisogno di comprendere le motivazioni che sottendono a tutte quelle attività che sono svolte durante le lezioni e di capire come operare adeguatamente per raggiungere determinati obiettivi. Ecco perché è importante impostare un’azione didattica adeguata che sappia far fronte a tutte queste esigenze, dove le attività proposte siano costituite da unità interdisciplinari, in grado di armonizzarsi in un sistema globale.
L’orientamento personale, terminando questa ricapitolazione, è un altro aspetto da non sottovalutare perché rappresenta la possibilità più importante per l’individuo in situazione di difficoltà, di poter accedere ad una formazione che sia in reale sintonia con le sue capacità e aspettative .


3.3 I problemi della didattica nelle Arti Marziali

L’arte è definita come capacità individuale, unica, di manifestare le emozioni che derivano da esperienze strettamente personali e che possono essere state maturate solo ed esclusivamente in un contesto di completa libertà espressiva e di azione.
La disciplina, tipica delle così dette “Scuole tradizionali” , rappresenta la negazione di tutto questo, infatti, essa si basa su un insieme di norme che regolano il comportamento del gruppo di studio e, violandole, si va necessariamente incontro alla punizione. Se esiste una volontà  che “regola” secondo parametri imposti, non esiste automaticamente la possibilità di vivere una esperienza propria ”voluta” ma solamente esperienze volute da altri o, come in questo caso, dall’insegnante autoritario. In un clima del genere possono fiorire azioni schematiche, ripetitive e impersonali ma non l’espressione artistica, che è strettamente connessa con la libertà, la volontà e l’iniziativa individuale.
E’ da questa premessa che nasce il bisogno di mettere ordine alle idee, di ridefinire la metodologia di insegnamento dell’Arte Marziale, senza sentirsi stringere nella morsa nostalgica del passato (tradizione), ma neppure farsi prendere dall’euforia del nuovo e dalla modernizzazione (gettando alle ortiche tutto ciò che è stato), infatuati dalle correnti di pensiero alternative, tipiche della filosofia New Age.
Perché non cercare di trasmettere agli allievi delle nozioni che siano utili alla costruzione di un mondo migliore, in armonia con le necessità formative dei giovani e le loro aspettative? Che senso ha voler costringere i praticanti di Arti Marziali a guardare la realtà da una prospettiva di stampo tradizionale (cerimonie, schemi filosofici, ecc.) e con una mentalità (valori e convinzioni) che appartiene al passato?
Tutto questo non solo irrigidisce il praticante ma lo rende ottuso ed insensibile di fronte alla vita, infatti, questi impara a guardare la realtà dentro schemi precostituiti, perdendo la capacità critica individuale. Scopo dell’insegnante è di stimolare l’allievo, di interessarlo in quello che fa, di incuriosirlo in un ambito di vivacità, creatività e voglia di fare. Solo in un ambiente di questo tipo il praticante tirerà fuori, da solo, quello che ha dentro, ciò che vuol manifestare e che è suo, unico e caratteristico della propria personalità. In poche parole, si attiverà quel processo di creazione chiamato “Arte”.
Ma se si pongono dei limiti o degli obiettivi prestabiliti, come ad esempio vincere una gara di forme codificate, il processo creativo non avrà modo di manifestarsi e l’allievo imparerà solo e soltanto dei movimenti in maniera automatica. A forza di ripeterle, sicuramente le tecniche diverranno sempre migliori e funzionali ma, in ogni caso, sempre di schemi motori si tratta, i quali, niente hanno a che vedere la libera manifestazione di sé, del proprio modo d’essere e vivere la realtà. Se ad un praticante viene insegnato che lo scopo dell’Arte Marziale è riuscire a sconfiggere l’avversario, avverrà che ogni suo movimento, ogni suo pensiero, andrà a focalizzarsi verso quell’obiettivo; si pone, cioè, un limite e tutta la pratica ruoterà attorno a quel fulcro.
Quando un pittore (uno vero) dipinge un quadro o uno scultore scolpisce una statua, nella sua mente non si pone come fine la vincita di una competizione con altri artisti; quello che a lui interessa è la possibilità di esprimersi, lo fa per necessità (sentita), non per raggiungere un traguardo. Purtroppo molte Arti Marziali hanno subìto un processo di trasformazione in attività sportive perché, per ragioni economiche e divulgative, si è ritenuto necessario codificarle e munirle di un regolamento standard.          
 Nello studio da noi proposto, invece, assume maggiore importanza la possibilità di improvvisazione e un contesto giocoso, dove l’intelligenza, il piacere e il coinvolgimento, risultano essere elementi essenziali affinché ciascuno, possa scoprire e seguire un proprio percorso interiore. Per un bambino, ad esempio, il gioco è sempre qualcosa di estremamente serio, rappresenta la possibilità di affermare nel mondo esterno le proprie inclinazioni interiori, le visioni e le attitudini, che sono uniche per ogni individuo.
Attraverso le Arti Marziali, si apprende che il gioco è un mezzo fondamentale per acquisire la libertà e la creatività; quello che conta è non ostacolare i bisogni vitali del bambino per soddisfare i bisogni di autorità dell’insegnante. Se il bambino viene rimproverato e punito “per il suo bene”, avrà difficoltà a svilupparsi in maniera armonica e tenderà ad introiettare la personalità dell’insegnante, soffocando i propri impulsi vitali. Il soggetto non avrà modo di scoprire se stesso e di sviluppare il proprio sé, poiché si troverà costretto, a causa degli interventi disciplinari, ad alimentare un falso sé, ossia, quello voluto dall’insegnante.
Il concetto di disciplina, spesso e volentieri, va a braccetto con quello di punizione, infatti, nelle scuole tradizionali, le lezioni di Arti Marziali sono basate quasi esclusivamente su un’attività educativa che prevede cieca obbedienza e costrizione degli allievi. Le punizioni., giustificate come necessarie per il bene del praticante, comportano il fiorire di sensi di colpa e, talvolta, di una rabbia impossibile da esprimere poiché la “Scuola” impone il silenzio ed il rispetto per il “Maestro” .
Si parla sempre di rispetto per il Maestro e mai di rispetto per l’allievo; in un contesto di tipo tradizionale, sembra quasi normale sfogare frustrazioni ed insicurezze sui praticanti, senza che, naturalmente, questi ultimi abbiano la possibilità di smascherare  l’abuso.
La metodologia di insegnamento dei Maestri tradizionali, si basa molto spesso sulla semplice impressione personale, sulle simpatie e sul pregiudizio; il compito dell’allievo, d’altronde, è solo quello di obbedire alle direttive imposte ed essere ossequioso. Il novizio non può criticare e non deve giudicare il comportamento dei membri di grado superiore; il principiante è considerato gerarchicamente inferiore e immaturo per capire quali siano le reali intenzioni del Maestro. Il novizio deve soltanto obbedire, altrimenti, non potrà mai apprendere l’arte e formarsi in maniera corretta.
Quello che occorre stimolare in un allievo, in realtà, è l’atteggiamento positivo verso ciò che sta studiando e si sta impegnando a fare, affinché i risultati raggiunti possano servire da incentivo a fare ancora di più e meglio. Se l’intervento dell’insegnante è servito a far ottenere dei risultati positivi nel lavoro svolto dallo studente, significa che quel tipo di stimolo è efficace, tuttavia, è rischioso assumere dei modelli standard di insegnamento, infatti, ogni allievo è una storia a sé e ciò che è stimolante per uno non è detto che lo sia per tutti gli altri. Un certo tipo di insegnamento può produrre effetti positivi con un individuo e dare, invece, scarsi risultati con un altro.
Non dobbiamo dimenticare che molto dipende anche dalle condizioni soggettive momentanee, sia dell’istruttore che dell’allievo, dal tipo di lavoro da svolgere e dalla situazione che sta vivendo il gruppo di studio. La capacità dell’insegnante sta nel riuscire a trovare il bandolo di questa intricata matassa fatta di elementi intrecciati tra loro, di mutamenti continui e di varianti improvvise, cercando di adottare il metodo giusto a seconda della situazione che si presenta. E’ evidente che non è possibile insegnare con metodologie precostituite; occorre sviluppare una certa capacità di osservazione e di ascolto, per intervenire in maniera efficace e venire incontro alle reali esigenze formative dei soggetti. Questa attitudine all’ascolto e all’osservazione si può affinare e perfezionare, cercando di abbattere le barriere del pregiudizio e sviluppando la capacità di accettare le impressioni dell’allievo, di lodare, di infondere coraggio, di accettare e fare proprie le risposte dei praticanti. Gli atteggiamenti da evitare, invece, riguardano l’imposizione di un metodo autoritario, l’imposizione del proprio punto di vista, il rivolgere domande puramente retoriche, dare ordini o delle direttive, criticare ed esigere sempre il massimo rispetto.
Gilbert De Landsheere nella sua opera “Introduzione alla ricerca in educazione” ritiene che il processo conoscitivo dell’allievo da parte dell’insegnante, si debba basare su una serie di considerazioni, che riguardano l’aspetto dell’apprendimento, la salute fisica, l’igiene mentale, la crescita e lo sviluppo. Occorre valutare come il soggetto percepisce se stesso e come viene percepito dal gruppo di studio, al fine di evitare conflitti, chiusure in se stessi o rifiuto di collaborazione.
Landsheere ritiene che l’osservazione dei comportamenti dei singoli allievi avvenga in un contesto vivace e dinamico e che richieda necessariamente la possibilità di annotazioni, elaborando un apposito codice. Non esistono, come abbiamo più volte accennato, delle convenzioni standard cui riferirsi; l’abilità di un insegnante sta anche nel riuscire ad elaborare e creare gli strumenti necessari per svolgere al meglio il proprio lavoro .
Landsheere, inoltre, descrive la figura dell’educatore dove, a mio avviso, vi sono elementi importanti da poter applicare anche alla figura dell’insegnante di Arti Marziali. L’educatore, per Landsheere, compie interventi rilevanti da un punto di vista sia psicologico, sia pedagogico, impedendo che i soggetti più svantaggiati divengano vittime del gruppo stesso; se ciò accade, occorre andare alla ricerca delle motivazioni e dei perché, per intervenire in maniera strategica e precisa.
Occorre ostacolare tutte quelle tendenze negative che possono insorgere all’interno del gruppo, fin dalle prime avvisaglie, al fine di evitare il deleterio processo di fissazione; infine, è necessario favorire al massimo le potenzialità e le iniziative dei gruppi o dei singoli, elaborando la struttura del rapporto fra gli allievi, in relazione alle aperte manifestazioni di  rifiuto  o di preferenza verso determinati soggetti. .                  
Penso che la differenza sostanziale tra Arte Marziale (di stampo tradizionale e inattuale) e tutte le altre forme di espressione umana, come la danza, la pittura, ecc., sia da ricercare, per quanto riguarda la prima, nella disciplina imposta e negli strumenti utilizzati (memorizzazione delle forme, movimenti del corpo imposti e sempre standardizzati, ecc.), i quali, a mio avviso, non fanno altro che ostacolare se non addirittura impedire la scoperta e la libera ricerca personale. Sarebbe, allora, più idoneo parlare di “Pratica marziale” e non di “Arte” perché in un contesto rigido e pre – costituito, come quello di stampo tradizionale, non è possibile trovare un terreno idoneo nel quale aiutare il soggetto a maturare le proprie potenzialità e a farle emergere. Quello che noi proponiamo, invece, è di uscire dagli schemi imposti delle diverse discipline, di rendere flessibili i programmi di studio e cominciare a prendere coscienza del fatto, che è l’allievo con i suoi bisogni ad assumere una posizione centrale nel percorso di apprendimento delle Arti Marziali e non viceversa.
Il mestiere più difficile è proprio quello dell’insegnante perché occorre svolgere un compito che spesso rende superbi e pieni di sé, dove conta solamente il proprio punto di vista e dove le opinioni (del docente) divengono sentenze inappellabili. Per non incorrere in questo rischio, allora, è consigliabile favorire esperienze multiple con più sussidi, creando situazioni sempre nuove e interessanti, cercando di inserire il soggetto in un ambiente in cui vi siano più stimoli da poter arbitrariamente accettare o rifiutare.
In piena libertà e soprattutto con serenità d’animo, l’allievo potrà scegliere di percorrere il proprio sentiero e l’insegnante non avrà altro compito, se non quello di seguire, con attenzione, i passi che vengono fatti, assicurandosi la sua stabilità e sicurezza. Non interventi costrittivi, quindi, ma partecipazione, comprensione e, se la situazione lo richiede, un aiuto al praticante a superare le diverse difficoltà, come se l’istruttore fosse un amico, una persona cui sta a cuore il benessere e la felicità del soggetto.
Poiché, come ho detto più volte, il nostro studio favorisce una metodologia di insegnamento che ha a che fare con la cooperazione, il lavoro di gruppo, l’iniziativa personale e la creatività, le gerarchie per anzianità tipiche delle scuole tradizionali e delle caserme militari, qui non trovano campo; l’allievo vale non per il grado raggiunto ma per quello che è e per l’impegno dimostrato. Ritengo che la meritocrazia rappresenti un ottimo sistema per spronare i bambini e i ragazzi a dare il meglio di sé e, se anche la maggior parte delle lezioni vengono svolte in gruppo, si pone sempre l’attenzione sul contributo del singolo, sull’interesse e le capacità espresse.
Attraverso il lavoro di gruppo, emergono un’infinità di fattori importanti e viene messa a nudo la personalità del singolo, la capacità di collaborare con gli altri in maniera costruttiva, la propensione ad aiutare i compagni in difficoltà, la generosità, la forza di volontà, la litigiosità e tanti piccoli atteggiamenti che possono emergere e far da spia al comportamento dell’allievo.
L’attenzione dell’insegnante deve rivolgersi tutti questi fattori, verificare fino a che punto il leader condiziona la vita del gruppo, poiché ognuno ha il diritto di svilupparsi ed affermarsi democraticamente al suo interno, cercando di capire perché alcuni elementi tendono ad isolarsi e a rifiutare ogni contatto con gli altri. Praticamente, l’insegnante svolge una funzione che è molto vicina a quella dell’osservatore, infatti, questi ha, come scopo, quello di imparare dal comportamento dei bambini, prendendo coscienza di quanti e quali disagi si possono venire a creare, lavorando all’interno di un gruppo. Quello che viene richiesto ad un insegnante, in sintesi, è una buona dose di sensibilità, intesa come capacità di avvertire i cambiamenti all’interno del gruppo di studio, cercando di interpretare i bisogni e le aspettative dei singoli componenti.
Lavorare in gruppo, infatti, è una necessità sempre più sentita all’interno della nostra società ed è quindi importante promuovere la pratica marziale collettiva, utilizzando magari anche la discussione di gruppo, in modo da considerare tutti i singoli punti di vista, le opinioni su determinate forme, valutare se esiste un reale interesse verso particolari tecniche oppure se è preferibile spostare l’attenzione su altri argomenti. Da qui sorgono, inevitabilmente, tutta una serie di situazioni che un insegnante deve sempre tenere in considerazione ed esaminare attentamente, come eventuali discussioni accese, litigi ed interazioni che possono determinare specifiche prese di posizione ed una evidente differenziazione di ruoli. La discussione aiuta anche ad aumentare le capacità individuali degli allievi a lavorare insieme, cercando di risolvere problemi psicologici, come afferma Landsheere, in modo da diminuire l’aggressività, il grado di timidezza, l’irrequietezza, ecc.
Per quanto riguarda l’osservazione del comportamento, gli istruttori dovranno annotare per ogni singolo membro, le relative impressioni, cercando di determinare se un soggetto abbia intenzione o meno di far progredire la discussione, se effettua interventi inutili, se non intervenire affatto, se cerca di non essere mai d’accordo e di contrariare tutti, se vuole collaborare ed accettare i consigli degli altri, se capisce, partecipa e si adegua a quanto viene stabilito dall’insegnante.
Insomma, attraverso la discussione di gruppo, possono evidenziarsi degli aspetti riguardanti la personalità dei membri che, singolarmente, non potrebbero mai manifestarsi. Quando si osserva il comportamento dei bambini, durante una lezione, occorre sempre tenere presente che, spesso, determinati atteggiamenti si manifestano perché il bambino sa di essere osservato e vuole fare bella figura con l’istruttore. L’insegnante dovrebbe (anche se è più corretto dire “deve”) fare in modo da non apparire interessato a scrutare i propri allievi, altrimenti, tutti i dati ottenuti diventano privi di validità poiché i comportamenti studiati non sono né sinceri, né spontanei.
Occorre sapere osservare senza dare l’impressione di prestare attenzione a certi atteggiamenti o modi di fare. Questo lavoro, è bene precisare, non serve ad attribuire punizioni o ricompense, ma semplicemente ad aiutare l’insegnante a capire e rendersi conto dei soggetti con cui ha a che fare e ad organizzare al meglio il proprio lavoro didattico.
Occorre saper educare con l’esempio, non con le parole, diceva il filosofo Locke, invece, molte scuole di Arti Marziali tradizionali, delegano questo compito a regolamenti di natura spirituale, dando più importanza alle massime che non alla realtà dei fatti.
I regolamenti parlano di virtù, di vizi e l’insegnante premia, assumendo il ruolo di giudice, chi è riuscito a raggiungere determinati traguardi. Il comportamento del Maestro è sempre insindacabile; nessuno lo può contestare o giudicare. Il regolamento è il riferimento principale e l’allievo si deve sempre confrontare non con chi impartisce le lezioni (il Maestro) ma con un modello statico, rigido, spesso ambiguo e autoritario (il regolamento). Il regolamento vale solamente per l’allievo; l’interpretazione corretta è quella fornita dal Maestro, il quale logicamente, darà sempre indicazioni secondo il proprio tornaconto.
Molti insegnanti, poi, non si rendono conto di quanti danni possono procurare ai bambini se trascurano in loro, fattori fondamentali come la sensibilità e la fragilità emotiva. I bambini hanno bisogno, per poter crescere in maniera sana ed equilibrata, di attenzione, protezione e rispetto per la propria persona. Gli allievi hanno necessità di poter vivere liberamente la propria rabbia, ogni qual volta questi si sentano, per qualche motivo, vittime di un’ingiustizia da parte di un intervento educativo dell’insegnante. Impedire (come a volte accade nelle scuole di Arti Marziali Tradizionali) agli allievi più giovani di piangere o di urlare, significa costringerli a reprimere l’ira in se stessi, abituandoli, con il tempo, al mutismo e alla sottomissione. Questo meccanismo deleterio comporta che, alla fine, il soggetto si sentirà motivato a sfogare la rabbia accumulata e mai vissuta, ai danni di bambini più piccoli, con conseguenti disagi psichici che si potranno manifestare anche in età adulta.
 La rabbia deve essere vissuta e non sfogata; il bambino deve prendere coscienza di tutti i sentimenti che caratterizzano la sua personalità e non soltanto quelli ritenuti legittimi dai “Maestri sapienti”.
Gli insegnamenti dei “saggi Maestri” riguardano precetti educativi del tipo: “bisogna imparare ad amare, non si deve odiare, è male invidiare, ecc. ...”; in poche parole, è ritenuto immorale e sbagliato avere la possibilità di esprimere i propri sentimenti, come se questi potessero in qualche modo uccidere o procurare danni. I risultati che si ottengono da un’educazione di questo tipo, sono tutt’altro che corretti, infatti, chi soffoca i propri sentimenti, crede di poterli estinguere ed invece rimangono lì, latenti, in attesa di avere forza a sufficienza per potersi sfogare e quando questo avviene, si hanno manifestazioni di aggressività e di violenza.
Non si può insegnare ad amare e non si può impedire di odiare (come, invece, pretenderebbero di fare i sedicenti Maestri) perché il bambino non è un pezzo di cera da modellare a proprio piacimento. I bambini devono poter vivere le esperienze liberamente, senza divieti o costrizioni di sorta e scoprire la propria personalità a poco a poco, vivendo un’esistenza ricca di sentimenti intensi, necessari alla costruzione di una sana formazione personale.
Gli insegnanti che rispettano le reali necessità dei bambini, lasciando loro la possibilità di vivere liberamente i propri sentimenti, si accorgeranno che questo è l’unico modo per riuscire a realizzare qualcosa di costruttivo, creando le premesse per un futuro migliore, in cui vi sia una società formata da individui liberi, difficilmente manipolabili dalle ideologie, incapaci di divenire vittime o strumenti nelle mani di altri individui.
Questi bambini in futuro, avranno modo di smascherare i loro potenziali sfruttatori e si renderanno conto di chi voglia loro fare del male; non saranno capaci di soffocare il proprio sé per divenire seguaci di un ideale, di un Guru o di un Maestro. Semplicemente non potranno e saranno costretti a rimanere fedeli e coerenti con il proprio sé .
L’alternativa da noi proposta, però, non è assolutamente facile da mettere in pratica, infatti, l’istruttore partecipa emotivamente alle attività dei bambini e quindi entrano in gioco anche i suoi sentimenti, le sue emozioni, le simpatie e antipatie per i singoli membri del gruppo. Logicamente, un bambino obbediente e ben educato, susciterà maggiore simpatia rispetto ad un altro meno educato magari più rozzo e indisponente. E’ fondamentale che l’insegnante si impegni sempre ad essere il più imparziale possibile, passando con ogni allievo il medesimo “tot” di tempo, senza avere preferenze o pregiudizi nei confronti di nessuno. I bambini sono estremamente sensibili e non tardano ad accorgersi se un insegnante nutre maggiore simpatia per alcuni, rispetto ad altri; inoltre, chi si sente escluso o non accettato dal gruppo, tende a manifestare un comportamento dannoso nei confronti degli altri e cercherà di farsi notare attraverso comportamenti negativi, come gesti violenti e atteggiamenti aggressivi. Occorre lasciare che le situazioni si sviluppino da sole, senza forzarle, soprattutto evitando di fare commenti o premonizioni circa il comportamento negativo di qualcuno, perché questo, in qualche modo, finirà realmente per manifestarsi. Se l’istruttore quando parla agli allievi ha già presente nella sua mente uno schema circa i successi e gli insuccessi a cui ognuno inevitabilmente andrà incontro, creerà inconsciamente le premesse affinché tutto ciò si avveri, proprio come una profezia.
Gli insegnanti, inoltre, dovrebbero sempre lavorare a coppia, addirittura in tre, in maniera tale da poter, a fine lezione, scambiare i singoli punti di vista e paragonare le impressioni avute, circa gli atteggiamenti e i comportamenti osservati. Tutto questo è necessario, per evitare di autoconvincersi, come spesso accade, dell’esistenza di problematiche che, in realtà sono presenti solamente nella fantasia dell’osservatore.
Al termine della lezione, occorre che gli insegnanti discutano, mettendo a fuoco di volta in volta, la situazione generale del gruppo. Ancora più importante sarebbe annotare immediatamente, dopo la lezione, quanto osservato, al fine di evitare l’influenza, da parte dei colleghi, al momento del confronto.
E’ facile rimanere influenzati dagli altri durante lo scambio dei singoli punti di vista, soprattutto se, fra gli insegnanti, vi è qualcuno particolarmente convincente e determinato. Sarebbe necessario, infine, non dare adito a quel particolare fenomeno, comunemente chiamato “mente di gruppo” in cui i soggetti, chiusi all’interno di una cerchia ristretta, tendono ad assumere atteggiamenti sempre più estremi, nella direzione in cui vi è un comune accordo. Occorre far intervenire, allora, persone estranee al gruppo, insegnanti di altre scuole di Arti Marziali che organizzino stage, seminari o lezioni particolari, affinché assumano un ruolo totalmente diverso da quello abituale ed aiutino i soggetti ad inglobare, nelle rispettive prese di posizione, punti di vista ed opinioni che, fino a quel momento non erano mai state prese in considerazione.
Si capisce bene che, tutto questo darsi da fare, ha come obiettivo quello di rendere l’intervento educativo dell’insegnante di Arti Marziali, il più corretto possibile, poiché gli allievi, soprattutto i più giovani, necessitano di punti di riferimento stabili e ben distinti. L’insegnante si deve impegnare in una ricerca costante del metodo corretto da adottare, affinché vi sia coerenza tra i vari interventi educativi e gli allievi sappiano sempre identificare con sicurezza e senza ambiguità, quali sono i punti di riferimento stabili. Occorre in sintesi circoscrivere un campo di azione particolare, all’interno del quale vi sia la massima coerenza, correttezza e chiarezza, sia nelle azioni, che nelle spiegazioni. Il bambino deve poter trovare nell’ambiente la sicurezza e quindi, gli stimoli che questi riceve, devono essere il meno possibile contraddittori. Un esempio banale: se un istruttore afferma che è importante mantenere il bacino fermo e subito dopo interviene un altro insegnante che afferma l'esatto contrario, l'allievo perde le certezze maturate perché le informazioni che riceve, non sono coerenti e si contrastano le une con le altre. Che fare allora?
E’ bene che le stesure dei programmi siano eseguite da tutti gli insegnanti in maniera minuziosa, cercando di arrivare ad un accordo comune, su ogni singolo aspetto delle attività da svolgere.
Generalmente, finché si tratta di aspetti tecnici, i problemi non sussistono, tuttavia, per quanto riguarda la scelta del metodo educativo corretto da adottare in caso di liti o discussioni accese fra gli allievi del gruppo, le cose cambiano perché qui, entrano in gioco fattori relativi alla personalità e alla sensibilità soggettiva. Logicamente, dovremmo intervenire con ognuno in maniera diversa, secondo la persona con cui abbiamo a che fare, tuttavia, è difficile conoscere con precisione la situazione di ciascun praticante, i problemi che hanno e la realtà che vivono. L’insegnante può solo cercare di essere imparziale con tutti i suoi allievi; il bambino si accorge se un istruttore tratta con eccessiva indulgenza un compagno e non capisce perché con altri, invece, pretenda il massimo impegno.    
I principi di base su cui lo studio delle Arti Marziali, intese come Educazione Gestuale, dovrebbero fondarsi, sono:
. il gioco
. l’imitazione
. il lavoro di gruppo
. la creazione di un ambiente idoneo, all’interno del quale il bambino (ma anche l’adulto), possa sviluppare le proprie potenzialità liberamente, senza costrizioni ed eventuali interventi disciplinari “punitivi” da parte da parte degli istruttori. Il bambino deve potersi rispecchiare nei suoi insegnanti, sentirsi rispettato e preso sul serio; deve avere modo di soddisfare i propri bisogni e trovare persone che sappiano comprendere le sue manifestazioni.
. Un programma tecnico e una didattica divertenti, che suscitino nell’allievo un forte interesse e stimolino la curiosità; questi sono gli unici elementi che possono favorire l’apprendimento, senza ricorrere ad inutili rimproveri o ad interventi disciplinari, spesso usati ed abusati da insegnanti di Arti Marziali di stampo tradizionale
. Sperimentazione formativa, espressiva ed artistica, attuate attraverso percorsi didattici caratteristici degli stili di imitazione degli animali o delle diverse figure mitologiche orientali. Le tecniche riguardano la capacità di esprimere la paura, il coraggio, la felicità, la forza, ecc., il tutto all’interno di un contesto particolare, dove risulta importante la capacità dell’allievo di rappresentazione e di espressione corporea.
Il corpo è un’importantissima ed inesauribile fonte di conoscenza; è sede dell’unità organica del soggetto, per questo, occorre imparare ad ascoltarlo, andando alla ricerca dei suoi ritmi, mediante apposite didattiche. L’insegnante dovrebbe aiutare gli allievi a risvegliare il bisogno di agire e l’espressione libera della forza vitale, senza condizionamenti esterni. Il bisogno biologico del movimento spontaneo, è possibile educarlo attraverso le Arti Marziali, dove l’allievo ha l’opportunità di mettersi in gioco attraverso movimenti ora lenti e rilassati, ora veloci ed improvvisi, dosando la forza e controllando il respiro. Occorre educare il movimento, imparare ad ascoltare le diverse emozioni che il corpo prova e manifestarle, anche con la mimica facciale, comunicando paura, felicità, disagio, imbarazzo, rabbia e aggressività. Sintonizzare i linguaggi del corpo con le proprie emozioni significa sperimentare la sintesi vitale corpo – mente e spirito, affinché l’allievo possa cominciare a muovere i primi passi verso il cambiamento e la crescita.    
Il contatto con gli allievi costringe il soggetto a prendere coscienza di sé, degli altri e a controllare il proprio corpo nello spazio. Si apprende l’importanza del saper gestire il corpo improvvisando, provocando reazioni negli altri con gesti, movenze coordinate e atteggiamenti.  
Lo scopo è sempre lo stesso: educare l’interiorità attraverso didattiche specifiche, aiutando gli allievi a divenire padroni delle proprie emozioni e dei gesti; un lavoro su di sé che mira alla ricerca sempre attenta e mai conclusiva dell’equilibrio interiore e dell’autoascolto.
L’Arte Marziale da noi proposta, mirando all’aumento del potenziale bioenergetico, ha per certi aspetti una funzione terapeutica poiché stimola il praticante ad uscire da una condizione di possibile assopimento o stato depressivo. L’attività gestuale aiuta a sciogliere possibili nodi o blocchi muscolari; utilizzando il grido, poi, si permette al corpo di rilassarsi, di vibrare in maniera del tutto particolare, inoltre, è possibile scaricare sofferenze, rabbia e tensioni accumulate. La lenta e progressiva trasformazione del sé individuale, aiuta il praticante a vivere la propria realtà in maniera diversa, ad accettare le difficoltà e ad andare alla ricerca di soluzioni alternative ai nodi problematici che, di volta in volta, inevitabilmente si presentano .



3.4 I passaggi di grado

In quasi tutte le Arti Marziali tradizionali orientali, esiste il passaggio di grado; non faremo un’analisi dettagliata circa il suo significato storico ma ci limiteremo a trarre alcune considerazioni per capire come utilizzarlo per ottenere dei vantaggi nella pratica marziale.
Le Scuole tradizionali, come abbiamo più volte accennato, hanno una struttura piramidale: al vertice troviamo il Maestro, supportato dagli allievi più anziani e, alla base, gli studenti di grado più basso e i novizi. Gli allievi portano una fascia allacciata in vita, di diverso colore; ogni colore ha un significato preciso e indica il grado di anzianità raggiunto. I colori vanno dal più chiaro al più scuro fino ad arrivare alla nera che indica una elevata esperienza raggiunta, tuttavia, non è da considerare una regola fissa, infatti, troviamo Scuole che seguono tradizioni specifiche, molto differenti le une dalle altre.
I colori, allora, variano da Scuola a Scuola ed è il Maestro che stabilisce quali siano i criteri con cui devono essere rilasciati i diversi gradi. Alcuni insegnanti ritengono fondamentali i progressi di natura “interiore”, l’evoluzione spirituale del praticante e la pazienza che dimostra di possedere; altri invece, valutano maggiormente le capacità fisiche acquisite, l’impegno dimostrato durante l’allenamento e la costanza nella pratica.
Il grado esercita un fascino incredibile sugli allievi, infatti, molte persone sono motivate a continuare la pratica marziale per avere la possibilità di collezionare fasce colorate e diplomi, in modo da poter assumere posizioni gerarchiche elevate rispetto agli altri praticanti.  
Attualmente, purtroppo, l’interesse per le Arti Marziali è spesso legato a suggestioni puramente formali; gli allievi amano far finta di praticare, sono affascinati dal contorno, dalle vesti, dalle cinture, dai nomi orientali e, soprattutto, ambiscono ad un grado elevato che gli permetta di esercitare potere sugli altri.
 Esistono federazioni che hanno istituito un vero e proprio mercato al loro interno dove tutto è in vendita: il programma di studio, le applicazioni delle tecniche, i movimenti codificati, i gradi e i diplomi. L’apprendimento non ha tanta importanza, la costanza è un fattore trascurabile e l’impegno, un elemento non essenziale. Quando il praticante ha pagato, ha diritto all’acquisto del prodotto e, se il programma non è stato assimilato bene, esiste la possibilità di acquistare la videocassetta con i movimenti, in modo da poter rinfrescare sempre la memoria.
Il grado è divenuto, nella maggior parte dei casi, il motore che permette ad un Centro di Arti Marziali di poter continuare a svolgere la propria attività, nel tempo.
Sono convinto che se non esistessero le fasce e tutti i praticanti non avessero segni di distinzione, molti di loro cesserebbero la pratica dopo pochi mesi perché completamente demotivati.
Se è vero che la ricerca assidua di uno strumento per esercitare una qualsiasi forma di potere nei confronti degli altri denota la pochezza e la mancanza di spessore di alcune persone, è altrettanto vero che, dal male possiamo trarre qualche vantaggio, attraverso una rielaborazione accurata dei passaggi di grado e portando alcune modifiche a questa tendenza divenuta, oggi, totalmente diseducativa.
 Sappiamo che, ad ogni grado acquisito, corrisponde automaticamente un diverso programma di studio, allenamenti differenti e un modo nuovo di concepire la disciplina marziale. In questa sede elimineremo ogni riferimento a progressi di natura spirituale, morale, energetica o quant’altro, per lasciare intatti aspetti più facilmente valutabili, come l’impegno, la continuità, la voglia di fare e di apprendere, ecc.
Il grado ed il relativo programma di studio possono fungere da motore motivazionale spingendo gli allievi, mossi da una forte curiosità, a proseguire gli allenamenti per constatare, una volta superati gli esami, quali novità li attendono.
La funzione del grado, allora, per quanto riguarda il nostro modo di concepire le Arti Marziali, serve esclusivamente come mezzo per incuriosire e motivare quegli allievi che, altrimenti, si lascerebbero sopraffare nel tempo, da inerzia, passività e demotivazione.
La curiosità svolge un ruolo fondamentale, è un elemento molto importante per un praticante e consente di andare alla ricerca, in maniera attiva, di risposte ai propri quesiti e perché. Gli allievi devono riuscire a porsi domande, è importante che riescano a maturare uno spirito critico e che siano capaci di sciogliere i propri nodi problematici in maniera creativa e personale, senza ricorrere sempre alle formule preconfezionate, fornite dall’istruttore di turno. La differenza fondamentale fra il concetto di allievo da noi proposto e quello che siamo abituati a vedere o leggere nei diversi libri di Arti Marziali Tradizionali è che, il primo non è più considerato una tazza vuota da riempire con il nostro buon tè o, peggio ancora, un pezzo di cera da modellare a nostro piacimento, bensì un sistema attivo che deve progredire, cercando di elaborare creativamente e in maniera critica i diversi insegnamenti appresi.
Un allievo registratore che assecondi ciecamente la volontà dell’insegnante, potrà essere considerato un modello da imitare in una Scuola di stampo tradizionale, in questa prospettiva, invece, non possiede nessun valore.
Per un insegnante, in sintesi, è fondamentale riuscire ad impostare programmi di studio ben definiti, differenziati e con una complessità crescente, in rapporto alle abilità soggettive e alle diverse aspettative.  
Il programma di studio deve essere impostato in maniera tale da non rappresentare né un ostacolo insuperabile e stressante per gli allievi, né un percorso abituale che non fa altro che confermare le abilità già acquisite in precedenza.
Occorre organizzare le attività per ogni livello, in maniera tale da esercitare sempre un certo grado di “tensione” nel praticante, affinché sia costretto a rimanere lucido, attivo ed interessato, senza mai sfociare in attività che vadano troppo “oltre” le abilità individuali.
L’esperienza gioca un ruolo fondamentale, infatti, l’istruttore ha sempre il dovere di rimettere in discussione i propri metodi di insegnamento e i programmi del corso, in base alle diverse risposte degli allievi.
 Il passaggio di grado è uno strumento efficacissimo anche con i bambini, i quali, incuriositi dai programmi di studio dei praticanti più anziani, s’impegneranno sempre al massimo al fine di ridurre i tempi di apprendimento e progredire sempre di più. L’insegnante, allora, deve fare in modo che gli allievi di grado più basso possano partecipare, di tanto in tanto, alle lezioni dei praticanti di livello superiore, con forme e allenamenti differenti che prevedono l’utilizzo di strumenti particolari, come sciabole, spade uncinate, alabarde, ecc.
L’insegnante, in ogni modo, è bene che si premunisca di allenare separatamente i praticanti di diverso grado al fine di evitare che, agli allievi più inesperti, venga meno l’elemento “curiosità” . E’ importante stimolare i ragazzi facendo leva sulla curiosità, in modo da motivarli a perseverare con gli allenamenti, a studiare assiduamente e ad  interessarsi, cercando di evidenziare sempre gli aspetti più affascinanti e suggestivi della disciplina prescelta.


3.5 Il gioco

Il gioco è strettamente collegato alla fase di crescita dell’individuo, un modo di fare cultura attraverso un progressivo aumento della consapevolezza del proprio modo di essere, del mondo sociale e fisico, passando attraverso la comunicazione orale e quella non verbale o gestuale.
Il gioco è un’attività piacevole e divertente con motivazioni intrinseche, quindi, non vi sono obiettivi precisi da raggiungere; il fine sta nel godimento del fare e nell’esercizio libero di ciò che si vuole manifestare e rappresentare.
Per quanto concerne gli adulti, invece, il gioco si fa più serio poiché occorre sempre riferirsi a modelli e criteri rigorosi, con più vincoli e meno possibilità di poter improvvisare o intervenire in maniera spontanea.
Il gioco di gruppo è particolarmente importante perché l’esperienza dell’eccitamento, della gioia e del coinvolgimento, permettono di migliorare l’apprendimento degli allievi, incrementando la volontà e la voglia di cooperare.
Il correre, il saltare e il gridare sono tutte espressioni di benessere legate al movimento del  singolo e del gruppo; il gioco gestuale ha radici sociali e prevede la manifestazione di sensazioni intense, oltre a numerose prove di forza, attraverso stretti contatti con i compagni e con l’ambiente circostante.
La finzione rappresenta un elemento fondamentale nel gioco e la possiamo definire come la capacità di trasformazione volontaria della realtà interiore e circostante. La trasformazione è riconoscibile attraverso l’annunciazione da parte del soggetto, della propria identità, manifestando con gesti e voce contraffatta il personaggio o il ruolo che ha deciso di interpretare. Nella pratica delle Arti Marziali, questa capacità di assumere ruoli diversi è molto importante, infatti, i programmi di studio spesso prevedono l’imitazione del comportamento degli animali, delle figure mitologiche e dei guerrieri del passato. La capacità di simulazione è tanto maggiore quanto più lo studente riesce a staccarsi dal proprio comportamento abituale, passando agilmente da una situazione reale ad un’altra completamente trasformata.
  Il gioco, insomma, ha una logica interna particolare, una struttura che è soggetta a modificazioni continue da parte dei suoi partecipanti, affinché ognuno possa dare il proprio contributo all’attività e ricevere, da questa, le giuste gratificazioni. Poiché il gioco che noi proponiamo deve mantenere una certa aderenza ai principi generali delle Arti Marziali, non possiamo limitarci ad ammettere all’interno dei programmi di studio solamente il gioco libero o spontaneo, ma introdurre anche le regole esplicite, che devono essere comunicate in maniera chiara e precisa, affinché tutti i partecipanti possano apprenderle.
I bambini soprattutto, necessitano delle regole e dell’aiuto degli altri per imparare a stare nel gruppo, per partecipare attivamente e in maniera costruttiva, in modo da sperimentare il piacere delle attività strutturate. Il gioco con le regole diviene sempre più complesso man mano che si progredisce con l’età, poiché iniziano ad intervenire anche altri elementi, frutto della creatività e delle esperienze soggettive, che mettono a dura prova le norme del gruppo, costringendo i partecipanti a rielaborarle e a ridimensionarle, in base alle diverse necessità .  
Il gioco è un vero e proprio mezzo educativo che permette all’individuo di esprimere se stesso, oscillando tra libertà e costrizione, ordine e anarchia, azione individuale e azione collettiva, mediante una creatività progettuale che stimola la crescita collettiva con il contributo di tutti.
Il gioco educativo é partecipazione e agonismo, è confronto e incontro e mai scontro e antagonismo; il fine è la conoscenza di se stessi, dei propri limiti e la ricerca dei mezzi necessari per superarli e migliorare. Occorre chiamare in causa abilità, inventiva, improvvisazione, intuizione, decisionalità e creatività, al fine di suscitare le giuste motivazioni in tutti i partecipanti, per continuare a confrontarsi secondo le proprie capacità e competenze.
Schiller ritiene che l’uomo riesce ad essere se stesso solamente quando gioca e, possiamo aggiungere, la presenza di regole stimola l’individuo ad andare liberamente alla ricerca di situazioni inventate per mettersi alla prova in condizioni di rischio.
Il gioco è un’attività collettiva in grado di aiutare i singoli a risolvere in maniera creativa e diretta i conflitti interni, attraverso la costruzione di un progetto di crescita e sviluppo comune. Il progetto formativo prevede un campo comune di esperienza animato dalla gioia collettiva di individui che lottano per realizzarsi, il cui fine è la realizzazione dell’autonomia personale, in relazione al riequilibrio uomo/ambiente, alla razionalizzazione delle proprie azioni, fino ad arrivare ad una forte consapevolezza di sé, attraverso domande e possibili risposte circa il senso della vita, della morte e del destino dell’uomo.
Il gioco viene utilizzato, nella pratica dell’Arte Marziale e dell’Educazione Gestuale da noi proposto, come strumento per aiutare il praticante a conoscere se stesso attraverso il contatto e il rapporto (confronto) con gli altri, progettando azioni, intenzioni e decidendo le regole insieme ai valori delle diverse azioni, affinché tutti possano subordinarsi ad essi e verificare le capacità acquisite.
Lo scopo è stimolare l’individuo a maturare la necessità di darsi le regole e di accettarle, affinché possa continuamente procedere a modificazioni e adattamenti del proprio comportamento per meglio inserirsi, affermarsi e condividere con gli altri, valori e interessi. La regola che il praticante ricerca, ha a che vedere con il rispetto reciproco, il confronto onesto ma con impegno e spirito agonistico, senza mai soffocare l’espressione della libertà personale, all’interno di quel particolare contesto dinamico e interattivo.
Il ruolo dell’insegnante di Arti Marziali è quello di far raggiungere un buon livello di partecipazione attiva da parte di tutti i componenti del gruppo, attraverso il gioco libero e con regole, affinché ognuno possa partecipare attivamente alle attività formative e sviluppare una capacità creativa e progettuale, in sintonia con i bisogni, gli interessi e le aspirazioni di ciascuno. Occorre creare ed inventare situazioni sempre nuove affinché gli allievi possano confrontarsi, all'interno di un sistema di regole flessibile, pronto a riorganizzarsi intorno ad obiettivi formativi nuovi e di maggiore spessore educativo. Individualità e collettività, bisogni singoli e necessità di gruppo si muovono sempre su un terreno molto fragile, che va alla ricerca di continui equilibri mai definitivi e conclusivi perché questo è un campo di continui incontri e scontri, spesso dolorosi ma pur sempre necessari per crescere, imparare e distinguersi per il valore delle proprie azioni nei diversi contesti.
Il compito dell’Educazione Gestuale, attraverso l’esercizio delle Arti Marziali, è quello di trasmettere valori e contenuti educativi, mediante movimenti o sequenze di gesti, inquadrandoli come attività impegnative e arricchendoli di accessori, strumenti e azioni sempre più difficili e complessi, il cui fine è la comunicazione fra individui, cose, ecc., sperimentando continuamente le proprie capacità emotive, cognitive e socio relazionali.
Il gioco, allora, non rappresenta mai un’attività futile o inutile perché è la base per la formazione ed il perfezionamento delle abilità sociali, fisiche, intellettive, cognitive, affettive, emotive e linguistiche, fondamentali per un sano e corretto sviluppo globale del praticante.


3.6 Il Luogo ideale

Praticare Arti Marziali non è come frequentare una palestra o praticare un gioco di squadra; l’attività svolta non ha come fine il raggiungimento di una forma fisica ideale o la vittoria nelle diverse competizioni. Praticare le Arti Marziali, significa imparare a darsi delle regole attraverso la gestualità e il contatto con gli altri; vuol dire prendere coscienza dei propri limiti e cercare di superarli sforzandosi attraverso un allenamento costante. Abbiamo però anche detto che il fine non è solamente quello di divenire più abili in un determinato esercizio, infatti, lo scopo di questo libro è mostrare come sia importante discostarsi da una visione di stampo tradizionale per far emergere aspetti essenziali, come la libera espressione delle proprie emozioni attraverso i gesti, la voce, l’imitazione e l’interpretazione soggettiva delle tecniche marziali.
Anche il luogo in cui si praticano le diverse discipline svolge un ruolo fondamentale, di tipo educativo; l’ambiente ideale è quello capace di trasmettere calore, deve essere raccolto e comunicare un certo senso di raccoglimento, invogliando all’ascolto interiore.
Pier Paolo Pasolini, nel libro Lettere Luterane, afferma che i suoi primi ricordi sono di natura visiva e che la vita stessa, appare nel regno della memoria come un film muto. Una tenda bianca è la prima immagine visiva della vita di Pasolini ed il senso di angoscia e di terrore che l’accompagna, riassume l’essenza della sua casa natia. Le cose, gli oggetti, gli ambienti, sono presenti nella memoria individuale sotto forma di immagini, sotto forma di contenitori nei quali è racchiuso l’universo interiore e da cui è possibile estrarsi per poterlo osservare. Questi contenuti sono i ricordi d’infanzia, le memorie del passato che hanno la funzione precisa di comunicare e di insegnare all’individuo la sua stessa realtà, come il luogo di nascita, il mondo di appartenenza, la realtà sociale e il modo di concepire la vita. L’educazione ricevuta da un individuo, afferma Pasolini, avviene attraverso la realtà materiale come oggetti, mobili, ecc., rendendo il soggetto quello che è e che diverrà per tutta la vita. E’ il corpo ad essere educato e plasmato come forma dell’interiorità della persona, attraverso la materia di cui è composto il suo stesso mondo e solo in seguito avviene che, le parole degli insegnanti e dei genitori, vadano a depositarsi e ad integrarsi nella struttura degli insegnamenti che il soggetto ha già appreso dalle cose e dagli oggetti del suo ambiente .
Se ripenso alla mia infanzia, quando negli anni ’80 praticavo Karate, le prime immagini che mi affiorano alla memoria sono di natura visiva e non hanno niente a che vedere i compagni o gli insegnanti; mi ricordo il pavimento in legno della piccola palestra, i poster, i quadri sopra gli specchi e il rivestimento in perlinato scuro delle pareti, avvolto tutto intorno.
Non c’erano attrezzi ginnici e tutti gli strumenti che avevamo a disposizione erano di tipo tradizionale, come bastoni, falcetti e spade. L’ambiente, soprattutto a noi bambini, trasmetteva un senso di “esotico” e di calore allo stesso tempo, una serie di emozioni che ci allontanava dalla realtà quotidiana, dalla scuola e dagli amici, un momento di rottura e di distacco che ci permetteva di entrare in contatto con una dimensione nuova ed affascinante.
Secondo me il posto meno indicato per praticare Arti Marziali è la palestra, poiché gli ambienti a disposizione sono troppo dispersivi, freddi, non mettono il praticante nella condizione di indirizzare l’attenzione su di sé ma lo invogliano a volgere lo sguardo altrove, senza soffermarsi seriamente su niente. La presenza di persone che praticano altre attività, la musica assordante, il rumore metallico degli attrezzi, ecc., non motiva certamente il soggetto ad affrontare uno studio di tipo interiore, dove il silenzio, il raccoglimento e la quiete, sono elementi essenziali per il buon esito della pratica.    
Con questo non voglio asserire che occorra necessariamente addobbare la stanza in cui si pratica, con lampadari e statue orientali come nei ristoranti cinesi; dico solamente che organizzare un corso di Arti Marziali non è come organizzarne uno di step o di aerobica.
Siccome le Arti Marziali, di qualunque genere esse siano, custodiscono al proprio interno una pluralità di aspetti correlati di natura psicologica, storica, filosofica, bio-meccanica, medica, spirituale, ecc., l’ambiente meno adatto alla pratica è la palestra poiché si richiedono al praticante prestazioni più complesse rispetto a quelle di natura esclusivamente fisica.
Nei periodi primaverili ed estivi, è consigliabile la pratica all’aria aperta, nel verde, soprattutto in campagna o in bosco, dove è possibile esercitarsi al Qi Gong e alla meditazione, cercando di imparare ad ascoltare la natura, sensibilizzando il corpo alla sua voce e ai suoi profumi.
La pratica delle tecniche di rilassamento e di meditazione sono necessarie per sintonizzare la mente con il corpo e prepararsi all’esercizio delle diverse forme di Arti Marziali; le piante, il tronco degli alberi, i ruscelli e i suoni della natura, stimolano il praticante a trovare nuovi strumenti e metodi di allenamento per migliorare le proprie tecniche.
La natura è un inesauribile fonte di inspirazione e permette di ricaricarsi e rigenerarsi completamente; gli stage in montagna, ad esempio, organizzati nel periodo estivo, riscuotono sempre un notevole successo fra i praticanti delle diverse discipline, proprio perché rappresentano un’occasione unica per cominciare un tipo di allenamento inusuale, improponibile fra le solite quattro mura del “Dojo“.
Per quanto concerne il luogo d’addestramento, occorre ricordare che, in armonia con la concezione della centralità del praticante nel processo di apprendimento delle Arti Marziali, il Dojo deve essere allestito e disposto seguendo i consigli degli allievi, creando le condizioni che favoriscano, al meglio, lo sviluppo delle abilità e delle potenzialità soggettive.
Personalmente, i luoghi in cui mi sono allenato meglio, erano raccolti, semplici, con moltissime armi e strumenti tradizionali alle pareti, tappeti sul pavimento (utilissimi per attutire le cadute) e ben illuminati. La musica fa da sfondo alle diverse attività ma deve essere adeguata, nel senso che il ritmo deve essere conforme al tipo di attività che si sta svolgendo in quel preciso istante.

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