La Pedagogia moderna
Parlare di pedagogia non è semplice perché una disciplina
complessa necessita di un linguaggio complesso e di argomentazioni articolate
per non scadere in una eccessiva semplificazione o in un mero tecnicismo.
La pedagogia è proprio infatti la scienza della complessità
ed è per questo che è spesso considerata la più umanistica fra le scienze
umanistiche, ossia la disciplina che, proprio grazie al suo statuto complesso
riesce ad inquadrare l'uomo sotto una lente che lo comprende all'interno di una
cornice ampia, ricca di sfaccettature, senza potature o riduzionismi di sorta,
che consente insomma di leggerlo in tutta la sua ricchezza e singolarità.
L'oggetto di studio della Pedagogia è l'uomo, inteso non in
senso <<fotografico>> ma in senso dinamico, mutevole, in
formazione, appunto.
Potremmo dire che la specificità di questa disciplina sia lo studio dei meccanismi di crescita e di
maturazione del soggetto, in modo da arrivare a concepire quali siano i metodi
educativi più idonei per favorire questo articolato percorso, così da aiutare
ad attivare risorse, potenzialità e capacità creative.
La pedagogia
è la scienza che ha fatto proprio il concetto di educabilità dell'uomo,
ritenendo che egli sia educabile in ogni momento della sua esistenza e che sia
possibile perseguire questo obiettivo in maniera intenzionale e scientifica. In
passato si è creduto che la pedagogia (ma non è questa la sede per
ripercorrerne le tappe dello sviluppo storico), in quanto scienza teorica,
potesse guidare in modo unidirezionale
l'azione educativa e la didattica. Oggi, invece, si afferma l'esistenza di una
circolarità delle informazioni che vanno a integrare e a modificare sia la
pedagogia (teoria) sia la prassi educativa. Educare significa promuovere le
potenzialità e le attitudini (o abilità) dell'altro, favorendone l'autonomia e
l'autodeterminazione. La pedagogia elabora quindi teorie e fornisce impianti
teorici e metodologici all'educazione. Queste nozioni, pur delimitando il
terreno di indagine della pedagogia, non ci dicono ancora molto sulla sua
specificità e su quali siano le reali caratteristiche che la differenziano da
altre discipline empiriche, come ad esempio la sociologia o la psicologia.
Sappiamo che la pedagogia si è confrontata con le diverse scienze umana ed ha
inglobato le leggi che potevano in qualche maniera orientarla nel complesso
terreno della formazione e fornire così risposte attendibili e significative
alle domande che provenivano dai diversi contesti educativi (scuole, agenzie di
formazione, centri per l'infanzia, ecc.).
Il bisogno di
formazione da parte della società (umana, lavorativa, scolastica), di una
società sempre più complessa, mutevole, aperta all'immigrazione e alla
diversabilità, con le sue nuove tecnologie, le sue ricchezze, miserie e
devianze, si è fatto sempre più urgente e necessario. Ad una domanda complessa
però non possiamo rispondere in maniera semplicistica perché non solo
forniremmo soluzioni inadeguate ed inefficaci ma anche controproducenti. Quando
la richiesta è articolata, mutevole, come quella sollevata dai problemi della
formazione, occorre appellarsi ad una disciplina che per sua natura fa della
complessità il proprio statuto fondamentale.
La pedagogia
è la scienza che può, grazie alla sua
capacità di trasfondere e declinare i diversi
saperi provenienti dalle più svariate discipline (si pensi alle
neuroscienze, all'antropologia, alla psicologia, ecc.), curvare e plasmare le
conoscenze maturate su terreni diversi e formalmente lontani anni luce da loro,
affinché ben si adattino al terreno mutevole ed incerto della formazione. La
pedagogia è così quell’interfaccia che non solo consente di tradurre in un
linguaggio pedagogico le informazioni (o ricerche se preferiamo) che provengono
da ambiti disciplinari diversi (ma che comunque ne condividono le finalità) ma
di forgiare al fuoco della propria fucina queste conoscenze con personali
strumenti di lavoro, affinché sia possibile ottenere alla fine di questa
laboriosa procedura, una più chiara visione del problema e allo stesso tempo
una maggiore precisione/attendibilità dell'intervento educativo.
Questo lavoro
di “assimilamento, forgiatura ed accomodamento” della pedagogia consente di
fornire risposte adeguate al bisogno di adattarsi di fronte al mutamento,
attraverso l' orientamento e facendo leva sulle motivazioni personali dei
soggetti in-formazione. Oggi, l'educazione, pedagogicamente intesa, mette al
centro della sua analisi l'individuo nella sua totalità e nella sua globalità,
ne conserva il punto di vista e fornisce gli strumenti utili per giungere alla
consapevolezza del proprio essere e del proprio agire, costruendo teorie atte a
comprendere e delineare il processo educativo. La Pedagogia è quindi una
scienza dell'educazione (abbiamo già precedentemente accennato che sono molte le discipline che hanno come
oggetto di studio l'uomo ed il suo agire) che si occupa della riflessione
critica e della progettazione della pratica educativa e si inserisce
all'interno del complesso delle Scienze dell'Educazione[1].
Occorre comunque ricordare che la
pedagogia è stata spesso considerata sotto un’ottica d’identificazione con un
altro settore di sapere (la filosofia prima e la psicologia e la sociologia
dopo) che le ha di volta in volta offerto la propria interpretazione, il
proprio linguaggio, la propria metodologia, negandole perciò autonomia e
indipendenza. In tutti questi casi le concezioni pedagogiche, infatti, derivano
la propria impostazione direttamente da come si pensa avvenga il fatto
educativo: nel biologismo come consequenziale sviluppo funzionale di fenomeni
organici naturali, nel sociologismo come forma d’adattamento alle condizioni
dell’ambiente sociale di vita, nello psicologismo come naturale dispiegarsi dei
processi di sviluppo della personalità individuale, nell’attualismo come
realizzazione del puro processo spirituale di personificazione. Ecco come il
discorso pedagogico, dunque, può avere senso soltanto all’interno del sistema
conoscitivo predisposto da quella disciplina che è di riferimento, e dunque
certamente sovraordinata rispetto alla pedagogia.
Oggi però è chiaro che ciascun punto di vista
delle diverse discipline preso individualmente, ma poi anche tutti presi
insieme, non sono sufficienti a consegnare tutto il sapere che devo possedere
nel considerare i problemi educativi, pur costituendo ciascun punto di vista un
elemento irrinunciabile d’indagine e riflessione. Si è affermata, in altre
parole, poco alla volta la convinzione che la pedagogia da un lato si sia
staccata dalla matrice filosofica per innestarsi sui saperi positivi, onde
calare il proprio progetto educativo entro coordinate che, senza rinunciare
alla dimensione dell’ideale, siano però tendenti al concreto e all’operativo,
più che puramente astratte come quelle metafisiche, e dall’altro lato consista
in un complesso insieme di discipline. Da ciò viene il termine di scienze
dell’educazione e il disegno di un sapere composito che si esprime appieno solo
nell’enciclopedia pedagogica.
Sarebbe sbagliato dunque
pensare che la pedagogia sia la principale scienza dell'educazione, oppure la
scienza dell'educazione in assoluto; come abbiamo già accennato la pedagogia si
inserisce in un ambito scientifico-disciplinare costituito da un insieme di
disclipline che hanno come oggetto di studio il processo educativo, e quindi
l'educazione. All'interno di questo insieme di scienze, le cosiddette
"Scienze dell'Educazione e della Formazione", si inserisce anche la
pedagogia che si distingue per una propria identità epistemologica e
metodologia conoscitiva[2].
La pedagogia è perciò scienza
dell’educazione; la scienza che studia in modo sistematico come l’educazione si
realizza in un determinato ambiente sociale. Il termine “educazione” significa,
infatti, sia un processo che il suo risultato e si riferisce a tre elementi che
intervengono nel suo sviluppo: 1) quelli interni al soggetto, intesi come
caratteristiche di chi si educa (personalità, salute, intelligenza ecc.); 2)
quelli esterni, come influenze dell’ambiente sociale cui l’individuo è
sottoposto; 3) quelli interattivi, come le modalità con cui l’individuo
risponde agli stimoli esterni e si modifica; in tal senso, infatti, la
personalità è la risultante delle originarie dotazioni individuali e degli
influssi esercitati dall’ambiente. La pedagogia studia i procedimenti
scientifici adatti a modificare la dotazione dei soggetti nel modo migliore per
il compimento integrale della personalità di ciascuno e, da un lato poiché
consta di una ricerca condotta con metodo scientifico, è scienza, come già
indicato da J. Dewey[3], e,
dall’altro lato poiché ha un suo campo specifico d’applicazione, è scienza
autonoma.
La pedagogia è una scienza in quanto costituita da un
organico sistema di saperi, il destinatario dei suoi prodotti teorici e pratici
è l'Uomo, cioè il soggetto agente e nel contempo anche oggetto primario delle
pratiche educative. Egli è il destinatario di questa scienza e, pertanto, il
fine di tutta la ricerca pedagogica[4].
Con quest'ultima affermazione, comunque, non dobbiamo pensare
ad una pedagogia in balìa di saperi-altri; è vero che essa deve sempre relazionarsi
con una concezione filosofica dell'uomo, tipica
dell'antropologia filosofica e dialogare spesso con essa, ma ormai ne è completamente autonoma, così come pur
avvalendosi dei contributi di numerose altre scienze
umane, da queste rimane comunque sempre disgiunta.
La pedagogia, nell'analisi ed articolazione dei processi educativi, fa riferimento ai dati culturali delle differenti etnie forniti dall'antropologia; fa riferimento alle teorie dell'apprendimento e del comportamento elaborate dalla psicologia; fa riferimento infine alle analisi delle dinamiche sociali elaborate dalla sociologia e alle ricerche emergenti della biologia. Questi saperi vengono quindi vagliati e curvati secondo le direzioni dei vettori pedagogici, rimandando la verifica dell'efficacia delle conseguenti azioni formative all' operatività della pedagogia sperimentale, sui grandi numeri, e su differenti tecniche di verifica e di valutazionedi tipo qualitativo e quantitativo. La pedagogia è quindi scienza al servizio della persona e della comunità, i cui modelli di riferimento si rifanno tradizionalmente, sia all'individuo (con riferimento a Immanuel Kant e Rousseau) sia alla società (con riferimento a Emile Durkheim ). I due modelli di pedagogia non possono essere giudicati in modo univoco, poiché in ognuno si possono trovare elementi solo apparentemente contrapposti e comunque entrambi necessari. La teoria kantiana è basata su una forte spinta positiva nei confronti dell'uomo: la fiducia nell'essere umano porta il pensatore a vederlo come artefice di un miglioramento della sfera sociale. L'educare il fanciullo evitandogli completamente ogni rapporto con la realtà lo porterà ad una formazione tale da riuscire a cambiare in meglio la società che lo ospita. Durkheim, al contrario, è restio ad educare in completa astrazione dalla realtà sociale, poiché ciò porterebbe ad una ritorsione dei costumi contro il soggetto, se questi non li rispettasse. Ogni società ha delle regole che, se non conosciute, vengono innocentemente ignorate, causando situazioni "illecite" che possono ritorcersi contro il soggetto.
La pedagogia, nell'analisi ed articolazione dei processi educativi, fa riferimento ai dati culturali delle differenti etnie forniti dall'antropologia; fa riferimento alle teorie dell'apprendimento e del comportamento elaborate dalla psicologia; fa riferimento infine alle analisi delle dinamiche sociali elaborate dalla sociologia e alle ricerche emergenti della biologia. Questi saperi vengono quindi vagliati e curvati secondo le direzioni dei vettori pedagogici, rimandando la verifica dell'efficacia delle conseguenti azioni formative all' operatività della pedagogia sperimentale, sui grandi numeri, e su differenti tecniche di verifica e di valutazionedi tipo qualitativo e quantitativo. La pedagogia è quindi scienza al servizio della persona e della comunità, i cui modelli di riferimento si rifanno tradizionalmente, sia all'individuo (con riferimento a Immanuel Kant e Rousseau) sia alla società (con riferimento a Emile Durkheim ). I due modelli di pedagogia non possono essere giudicati in modo univoco, poiché in ognuno si possono trovare elementi solo apparentemente contrapposti e comunque entrambi necessari. La teoria kantiana è basata su una forte spinta positiva nei confronti dell'uomo: la fiducia nell'essere umano porta il pensatore a vederlo come artefice di un miglioramento della sfera sociale. L'educare il fanciullo evitandogli completamente ogni rapporto con la realtà lo porterà ad una formazione tale da riuscire a cambiare in meglio la società che lo ospita. Durkheim, al contrario, è restio ad educare in completa astrazione dalla realtà sociale, poiché ciò porterebbe ad una ritorsione dei costumi contro il soggetto, se questi non li rispettasse. Ogni società ha delle regole che, se non conosciute, vengono innocentemente ignorate, causando situazioni "illecite" che possono ritorcersi contro il soggetto.
In pedagogia rimane
sempre presente questa antinomia irrisolvibile e irriducibile che costituisce
uno dei pilastri fondamentali della pedagogia stessa: da una parte la necessità
di formare un soggetto autonomo, artefice delle proprie scelte, che sappia
andare oltre ogni forma di omologazione e di passività; dall'altra la necessità
di adeguarsi e di interiorizzare le norme e le regole di quella determinata
società, in quel prciso contesto storico. Tutto questo ci porta a riflettere su
Rosseau e al suo Emilio che tratta anch'esso di un'educazione del
fanciullo fuori dalla società, con molta analogia con la teoria kantiana. E'
proprio qui che troviamo la completa astensione dalla società da parte del
fanciullo che porta, secondo l'autore, ad una non conoscenza diretta della
società stessa. L'educatore può insegnare ad Emilio tutto ciò che riguarda i
costumi, leggi e gli usi, ma questo rimane solamente nella sfera teorica. La
pratica è tutta un'altra cosa, che, senza una diretta esperienza di cosa voglia
dire vivere immersi nella società, non può portare ad una conoscenza e ad una
crescita reale. Durkheim, a questo punto, giustamente parla di un'educazione
interna alla società stessa. Dobbiamo aspettare la rivoluzione industriale
affinchè le caratteristiche della società subiscano un enorme cambiamento,
infatti, senza un rapporto diretto con esse non si potrebbe vivere in modo
conforme a questi moderni usi e costumi. Ciò in cui Durkheim è criticabile è
nell'attribuire maggior peso all'educazione impartita dalla società in
confronto a quella che possono dare gli insegnanti.
Se un bambino vivesse completamente a contatto
con la società e solamente da essa fosse educato, (privato quindi della presenza
dei genitori) molto probabilmente non avrebbe le capacità per comprendere la
società stessa e quindi non riuscirebbe a cogliere l'insegnamento che questa
gli offre. Il rapporto che un soggetto ha con i propri genitori non è
paragonabile a quello che ha con la sfera sociale in cui è inserito. Un
rapporto stabile, protetto da possibili traumi, lontano quindi dalle influenze
sociali, è la classica relazione a due, asimmetrica, condotta in ambiente
asettico, in cui uno assume il ruolo di guida. Con la sfera sociale si ha un
rapporto completamento diverso, meno lineare e stabile, più ricco di stimoli e
di insidie, ma anche di opportunità e di occasioni che sicuramente giocano un
ruolo fondamentale ed insostituibile nel percorso di maturazione e di crescita
del soggetto. L'educazione imposta dalla società può avere molte strade ed è il
soggetto a dover scegliere quale intraprendere e, pur avendo maggiori possibilità di percorrerne una sbagliata, la
libertà di scelta rimane, così come rimane la scelta di farsi guidare ed
orientare. La pedagogia gioca quindi su questi due fronti, fra libertà del
soggetto e la necessità di esperienze formative, fra regole a cui adeguarsi e
necessità di individualizzarsi, riconoscendosi come soggetto con bisogni
specifici e quindi non conformabile alle tendenze omologatrici della società.
Attualmente la Pedagogia si sta imponendo come la scienza che, più di altre, è
chiamata ad interpretare i diversi bisogni formativi dell’individuo, centrando
l’attenzione sui processi di sviluppo e di maturazione sociale, linguistica,
intellettiva, affettiva ed emotiva. L’obiettivo della Pedagogia è quello di
favorire uno sviluppo integrato e totale della personalità nell’intero arco
della vita[5] .
Attraverso percorsi formativi ben strutturati ed orientati, è possibile portare un concreto aiuto ai processi
evolutivi di ciascun individuo, in modo da promuovere uno sviluppo integrato ed
equilibrato della personalità[6] . Per
poter attivare questi percorsi di aiuto allo sviluppo umano, è necessario inquadrare
le risorse soggettive, gli interessi individuali e le potenzialità, così da
agevolare il naturale processo formativo, ossia, la possibilità di maturare in
maniera libera, consapevole e creativa, attraverso la manifestazione della
propria natura più autentica. Educare, infatti, vuol dire nutrire, stimolare,
aiutare a far emergere e a manifestarsi, vuol dire prendersi cura degli altri e
di se stessi in maniera responsabile e competente. Aiutare il percorso di
sviluppo dell’individuo, significa mettersi a disposizione dell’altro
soprattutto nei confronti di chi, purtroppo, non gode delle stesse possibilità
degli altri: penso soprattutto ai diversabili e a tutti coloro che vivono in
una condizione di svantaggio sociale. La pedagogia, modernamente intesa, ha il
dovere etico e professionale di intervenire affinché tutti abbiano la
possibilità di migliorarsi, attraverso percorsi educativi integrati e centrati
sui reali bisogni delle persone, così da far emergere quelle che sono le
abilità residue, spesso soffocate dal peso dei condizionamenti, dalle
situazioni o dalla disabilità.
Intervenire in maniera efficace è difficile perché la nostra
tradizione educativa tende a considerare l’individuo solamente sotto l’aspetto
intellettuale, scisso dalla dimensione corporea (Cartesio), mettendo in ombra
gli aspetti emotivi ed affettivi del soggetto. Il corpo, invece, negli ultimi
anni, soprattutto grazie alle ricerche nel campo delle neuroscienze, è stato
rivalutato, dimostrando come esso rappresenti il mezzo principale attraverso il
quale fin dalla più tenera età, sia possibile comunicare ed apprendere, grazie
alle diverse reazioni fisiologiche, da tutti conosciute come emozioni. Partire
dall’educazione del corpo e con il corpo significa cominciare a concepire
l’individuo nella sua globalità, come una realtà unitaria e non più scissa
nelle dimensioni “intellettuali vs fisiche”. Un’altra concezione da tenere
presente è che il motore dell’apprendimento e della maturazione psicologica è
l’interesse; il bambino non è un ente passivo in attesa di essere con-formato e
manipolato, ma è un dispositivo attivo, capace di orientare forze ed energie
verso obiettivi ben definiti[7].
In conclusione perciò si può dire
che tutte le discipline riferite all' educazione, sia quindi l' istruzione e la
formazione, debbono essere strutturate su una pedagogia di tipo teorico che
costituisce la dottrina di una visione del mondo costruita su quel tipo di
società in quel preciso frangente storico, con il preciso scopo di raggiungere
concretamente obiettivi ben definiti, in armonia con i valori etici stabiliti.
Spetta quindi alla pedagogia pratica ed operativa realizzare, attraverso la
metodologia (studio del metodo d’insegnamento migliore e più proficuo per quel
contenuto, in quella situazione, per quel soggetto) e alla didattica (studio
delle diverse tecniche didattiche) fornire (o aiutare a costruire) gli
strumenti più idonei per raggiungere determinati traguardi. In questa
dimensione pratica rientrano, dunque, a pieno titolo, le ricerche sulle diverse
morfologie disciplinari, sull’individuazione di obiettivi educativi, didattici
e formativi, sul rapporto educativo, sull’organizzazione del gruppo
d’apprendimento, sulle strumentazioni e le procedure didattiche ecc.. La
pedagogia teorica, quindi, ha una fondamentale importanza nel processo
formativo in quanto fornisce una determinata visione della realtà, permettendo
così una più precisa individuazione di fini e valori, per rivolgersi con
cognizione di causa alle diverse caratteristiche del soggetto dell’educazione[8]. La pedagogia deve discutere, appropriarsi o
in ogni caso tener conto delle acquisizioni realizzate nell’ambito delle
scienze dell’educazione, sia quelle naturali che quelle sociali, tutte
pienamente autonome nell'attività di ricerca per la descrizione critica e
sistematica del proprio oggetto di studio e per il conseguimento di obiettivi
prefissi. Queste discipline utilizzano strumenti propri, i criteri e le metodologie che le caratterizzano, con
il linguaggio specifico che le distingue, cercando di mantenere un
atteggiamento di oggettività e di imparzialità
applicabile ai problemi educativi. Rispettando le regole del metodo
scientifico (verificazione/falsificazione), tali discipline si occupano così di studiare le
caratteristiche individuali e sociali del soggetto in formazione (crescita,
sviluppo, capacità e abilità nelle diverse funzioni ecc.), o dell’ambiente
(studio della società, delle organizzazioni, del lavoro ecc.), ma anche in
particolare di realizzare ricerche sulla relazione tra fini previsti dalla
teoria pedagogica e i mezzi impiegati dalla pedagogia pratica o sulle
condizioni per il miglior conseguimento degli obiettivi già individuati[9].Il
rapporto con discipline sorelle quali psicologia e sociologia sta nell’utilizzo
da parte del pedagogista dei risultati di ricerca psico-sociologici per leggere
il rapporto Io-Tu-Ambiente (oggetto plurale della pedagogia). La pedagogia si
distingue dunque, dalla psicologia in quanto interessata all’individuo psichico
ma anche ai processi motivazionali, emozionali e contestuali che lo
caratterizzano in una reciproca influenza e si distingue dalla sociologia in
quanto considera l’individuo nella propria individualità e non solamente come
soggetto sociale. Queste scienze si interessano tutte della condotta umana ma
la prima in un ottica prettamente psichica. La sociologia in un interazione
Io-Tu e Ambiente a scopo conoscitivo e la pedagogia in un interazione Io-Tu e
Ambiente con un fine pratico[10].
La pedagogia si
occupa di trovare strategie educative, applicabili a ciascun individuo alfine
di migliorarne lo stato emotivo, relazionale e di apprendimento,
contestualizzandole e rendendole direttamente spendibili e concretamente
applicabili. La pedagogia affronta la questione dell’educare = educere, tirar fuori
in un ottica ecologica e dinamica ossia in un approccio totale alla persona,
bambino o adulto, utilizzando concetti propri della psicologia, della
sociologia, della medicina, della filosofia, dell’antropologia in un contesto
di continua evoluzione e dinamicità del singolo e del contesto in cui è
inserito.
Dal quadro di riferimento indicato impone innanzittutto
l’esigenza di chiarire lo statuto epistemologico proprio della pedagogia, su
questo sapere intorno all’educabilità umana. In passato, come abbiamo visto,
esso veniva identificato come sapere sull’essere stesso dell’uomo, nella sua
totalità, ponendosi in un’ottica sostanzialmente di tipo filosofico. Anche il
termine educazione, nel senso di “educere”, ha sempre avuto un valore morale
(formazione delcarattere) e un senso intellettuale (formazione del sapere e
dell’intelligenza).
Oggi, forse, si assiste ad una specie di identificazione della pedagogia come sintesi delle varie scienze dell’educazione e ad un suo eccesso di descrittività, trascurando il suo specifico carattere prescrittivo. Ma per esser tale, occorre riportare il discorso intorno ai concetti di “educabilità” e di “educere”, che sostanzialmente può esser ricondotto a quattro variabili: - il riconoscimento dell’educabilità dell’essere umano, della sua potenzialitàattuativa che si esprime attraverso un determinato contesto psicologico e storico; cherichiede, appunto, una formazione, l’azione di e-ducere, nell’interdipendenza visione ontologica e antropologica dell’uomo, tra il processo di etero e autoeducazione; - il riconoscimento della caratteristica trascendente dell’essere e non solo della sua
storicità e concretezza, ma di una sua tipica essenza che tende, come natura umana, alla perfezione, a portare sempre più vicino l’uomo storico all’idea di uomo come valore in sé; - l’azione intenzionale, funzionale, personalizzante del maestro che deve sempre esser finalizzata alla formazione di “quel maestro interiore”, di quella voce, che progressivamente deve guidare l’educando alla propria libertà e al senso di autoresponsabilità;
- il fine verso cui orientare l’azione educativa, consci di questo problematico,
affascinante e, a volte angoscioso, intreccio tra esistenza ed essenza, tra inautencità e
autenticità.
In fondo, da queste quattro condizioni dell’educazione emerge chiaramente quello che
dovrebbe esser il discorso fondante delle stessa pedagogia, cioè il fatto che essa non può
prescindere da una teoria, da un’idea di perfezione, da una ricerca delle finalità verso cui
orientare l’educazione, ma ciò è strettamente legato all’idea di uomo e del suo destino.
Oggi, forse, si assiste ad una specie di identificazione della pedagogia come sintesi delle varie scienze dell’educazione e ad un suo eccesso di descrittività, trascurando il suo specifico carattere prescrittivo. Ma per esser tale, occorre riportare il discorso intorno ai concetti di “educabilità” e di “educere”, che sostanzialmente può esser ricondotto a quattro variabili: - il riconoscimento dell’educabilità dell’essere umano, della sua potenzialitàattuativa che si esprime attraverso un determinato contesto psicologico e storico; cherichiede, appunto, una formazione, l’azione di e-ducere, nell’interdipendenza visione ontologica e antropologica dell’uomo, tra il processo di etero e autoeducazione; - il riconoscimento della caratteristica trascendente dell’essere e non solo della sua
storicità e concretezza, ma di una sua tipica essenza che tende, come natura umana, alla perfezione, a portare sempre più vicino l’uomo storico all’idea di uomo come valore in sé; - l’azione intenzionale, funzionale, personalizzante del maestro che deve sempre esser finalizzata alla formazione di “quel maestro interiore”, di quella voce, che progressivamente deve guidare l’educando alla propria libertà e al senso di autoresponsabilità;
- il fine verso cui orientare l’azione educativa, consci di questo problematico,
affascinante e, a volte angoscioso, intreccio tra esistenza ed essenza, tra inautencità e
autenticità.
In fondo, da queste quattro condizioni dell’educazione emerge chiaramente quello che
dovrebbe esser il discorso fondante delle stessa pedagogia, cioè il fatto che essa non può
prescindere da una teoria, da un’idea di perfezione, da una ricerca delle finalità verso cui
orientare l’educazione, ma ciò è strettamente legato all’idea di uomo e del suo destino.
La Pedagogia come
Scienza della Formazione
Abbiamo visto come la pedagogia debba mantenere saldi i
propri rapporti con le altre discipline e questo lo dobbiamo in gran parte a
Dewey, uno dei più grandipedagogisti del Novecento, il quale, nel testo Le fonti di una scienzadell’educazione[11]
scritto nel 1929, ha definitola pedagogia come una disciplina scientifica
in grado di utilizzare i metodi delle scienze sperimentali pur riconoscendo la
complessità dell’evento educativo e la sua irriducibilità aduna mera catena di
cause-effetti. La pedagogia, comunque, intrattiene rapporti significativi con
le altre scienze dell’educazione, come la filosofia, la psicologia e la
sociologia dell’educazione che si presentano come fonti speciali per
comprendere l’accadere educativo. Con il trascorrere del tempo e più
precisamente verso gli anni Settanta e gli anni Ottanta la pedagogia sembra
essersi polverizzata in tante scienze dell’educazione, quindi, il problema
adesso è quello di dimostrare la necessità dell’esistenza e della specificità
della pedagogia, nonché del suo rapporto con le scienze dell’educazione ed è a
questo proposito che occorre fare riferimento ad Aldo Visalberghi, il quale, in
un suo fondamentale lavoro,[12] propone
quattro settori intorno ai quali si sono sviluppate le scienze dell’educazione,
ovvero: il settore psicologico, che riguarda la conoscenza dell’allievo e dei
processi di apprendimento, riconducibili pertanto alla psicologia dell’educazione,
evolutiva, sociale, ecc; il settore sociologico, che riguarda lo studio del
rapporto scuola-società , come la sociologia generale, dell’educazione, della
conoscenza, ecc.). Il settore metodologico -didattico, invece, riguarda lo
studio dei mezzi, metodi e strumenti dell’educazione ( tecnologie educative,
teorie sulla programmazione e sulla valutazione scolastica, ecc.). Il settore dei contenuti ha a che fare con
l’analisi delle discipline di insegnamento e della conoscenza in generale, come
ad esempio la storia della materia specifica, l' epistemologia generale e
genetica, ecc. In questo schema la pedagogia, intesa come pedagogia generale,
occupa una posizione esterna, poiché rappresenta un momento di riflessione
critica dell’educazione. Si determina quindi la necessità di concepire la
pedagogia come scienza critica della Formazione. La proposta di Visalberghi
stimola gli studi di epistemologia pedagogica di tutti gli anni Ottanta e
Novanta. I termini chiave di tale dibattito sono quelli di Criticità e di
Formazione. Il primo propone la pedagogia come riflessione critica sulla
formazione, ovvero come disciplina che ci aiuta a capire gli aspetti impliciti
e latenti di ogni atto educativo; il secondo riconosce che la pedagogia non si
limita allo studio dell’istruzione scolastica per soggetti in età evolutiva ma
si occupa di un processo, la formazione appunto, che riguarda l’intero arco
della vita. L’oggetto della pedagogia poggia quindi su precise categorie
formali, relative all’oggetto, al linguaggio, alla logica ermeneutica, al
dispositivo indagativo e al principio euristico, arrivando a legittimarsi come
<<scienza della formazione[13]>>.
Si definisce così l’ambito della ricerca pedagogica, con i
suoi linguaggi, la sua metodologia e la
sua logica interpretativa, volti all’individuazione dei percorsi e delle
strategie della trasformazione e dell’evoluzione dell’identità esistenziale,
culturale, valoriale dell’uomo e della donna, in quel determinato contesto
socio-culturale.
I principi cardine su cui ruota il discorso pedagogico sono
identificabili con prassi ben definite:
sviluppo, interesse, gioco, diversità, autonomia, educazione intellettuale,
estetica, fisica, affettiva ed etico-sociale[14]. Questi
fondamenti, carichi di vissuto storico ed antropologico, attenti alle
problematiche di natura esistenziale, culturale etica e sociale, rappresentano
la specificità stessa della ricerca pedagogica che influenza notevolmente anche
da un punto di vista operativo e professionale, il pensare/agire dell’educatore
e del pedagogista impegnato sul campo.
Altri importanti
studiosi si sono occupati della complessa problematica epistemologica, ad
esempio Cambi[15] propone
uno schema in cui i saperi pedagogici sono strutturati in settori diversi e
distinguendo quindi le scienze dell’educazione che si occupano in modo empirico
dell’apprendimento e della formazione rispetto sia alla pedagogia generale che riflette sulle
scienze dell’educazione (coordinandole sugli aspetti generali e trasversali
della formazione, come la pedagogia interculturale, la pedagogia di genere, la
pedagogia della marginalità, ecc.), sia dalla filosofia dell’educazione che si
occupa degli aspetti epistemologici e assiologici (cioè legati ai valori,
all’etica) della formazione.
Attualmente l’educazione, oggetto di studio e di riflessione
della pedagogia, viene definita tanto come apprendimento, ossia come
modificazione stabile del comportamento, quanto come socializzazione e come
inculturalizzazione, ossia come integrazione sociale e come acquisizione di
modelli culturali. Definire la pedagogia come scienza della formazione vuol
dire allora sottolineare l’aspetto mirato ed intenzionale di essa, rispetto ad
obiettivi ritenuti strategici, sia sul piano della cultura che su quello della
personalità e delle sviluppo delle attitudini. L’educazione mantiene
allora un aspetto individuale che chiama
in causa soprattutto ricerche di tipo biologico e psicologico ed un aspetto
sociale e culturale che è stato studiato parallelamente con indagini di natura
sociologica ed antropologica, spingendosi anche in settori come quello
giuridico, politico ed economico. Parlare di educazione oggi, inoltre, vuol
dire avere a che fare con scopi e significati di grande impegno teorico ed
intervenire operativamente in campo educativo, o comunque analizzare gli
interventi che si conducono in questo ambito, manipolando progetti e procedure,
attraverso lo studio delle condizioni, l’individuazione di obiettivi,
l’attribuzione di significati, contenuti e metodi, l’attribuzione mezzi, materiali
e strumenti di controllo[16].
Se la Pedagogia è realmente scienza in quanto costituita da
un organico sistema di saperi e Il destinatario dei prodotti teorici e pratici
della pedagogia è l'individuo che è il soggetto agente e, nel contempo, anche l'oggetto
primario delle pratiche educative, dobbiamo condividere l'idea di Pellerey[17] secondo
il quale il fine ultimo della Pedagogia non è quello di creare teorie generali
dell'educazione (a quello servirebbero, in questa interpretazione, le altre
scienze dell'educazione e della formazione), ma di costituire modelli di
intervento educativo spendibili nella pratica educativa immediata. Per fare
questo la pedagogia rivisita e rielabora modelli di intervento già proposti ed
esamina e valuta risorse, strumenti e contesti già disponibili per progettare e
attuare così un intervento educativo; fatto ciò, la pedagogia, sempre secondo
l'autore, organizza strategicamente le sue conoscenze per individuare un
possibile percorso educativo da realizzare ed elabora un progetto che sta alla
base dell'intervento educativo da attuare. Di questo avviso è anche Cosimo
Scaglioso[18],
il quale precisa che lo scopo della pedagogia non starebbe nella formulazione
teorica, ma nella risoluzione di problemi pratici dell'esperienza educativa;
grazie alla progettazione la pedagogia può formulare le basi di un intervento
educativo riferito però ad uno specifico contesto, infatti, non si può creare
un progetto educativo unico per tutto e tutti, ma la pedagogia si fa carico
dell'analisi di ogni problematica presentata, progettandone una possibile
risoluzione.
Si viene delineando quindi, con il tempo, la necessità di una
Pedagogia che sappia fornire soluzioni utili e pratiche ai problemi di
carattere educativo presenti nella società, concentrando gli sforzi sul
processo formativo del soggetto in questione, sull'analisi dei bisogni
espressi, sui processi di crescita e maturazione, focalizzando l'attenzione su
possibili blocchi o arresti, teorizzando ipotesi e interventi di carattere
educativo.
Anche Orefice
ritiene che la Pedagogia, pur accedendo ai saperi delle diverse scienze
empiriche moderne, assuma tuttavia il processo formativo umano come il suo
specifico oggetto di indagine distinguendolo quindi dalle discipline altre e
chiarendo il proprio punto di vista, la propria metodologia di indagine e il
linguaggio[19].
Essendo
disciplina di sintesi, la pedagogia assume il ruolo fondamentale di ricondurre
all'unità indivisibile lo sviluppo del processo formativo, utilizzando le
diverse componenti che provengono dagli studi
delle varie scienze dell'educazione e rivendicando così il proprio ruolo
<<ecologico>>, ossia la tendenza a considerare il soggetto in
formazione non come la sommatoria di elementi a se stanti, ma come un'unità
complessa, soggetta a cambiamenti, innesti, arresti e metamorfosi.
I processi
formativi, quindi, oggetto di studio della Pedagogia, riguardano essenzialmente
le dinamiche di cambiamento che avvengono all'interno del soggetto in
questione, articolandosi in un processo o in più processi che si possono
attivare e modificare attraverso
l'azione formativa.
Questa
complessa scienza dei processi formativi si esprime allora attraverso
competenze di carattere trasformativo, il cui ruolo non è solo quello di
alimentare la teoria da cui scaturisce ma è principalmente quello di orientare
e sviluppare tale processo di maturazione (o di crescita se preferiamo) in un
determinato contesto
storico-contemporaneo e sociale.
Pedagogia
quindi con una struttura di sintesi, dal carattere trasformativo, che rivendica
la centralità dell'apprendimento per la costruzione di conoscenze e competenze
negli individui e nella diverse realtà sociali.
La pedagogia
intesa come scienza dei processi formativi riconduce i contributi mutuati dalle
varie scienze dell'educazione, al fine di riportarli verso quell'unità
indivisibile del processo formativo che caratterizza la pedagogia moderna,
adottando gli approcci metodologici e tecnici che derivano dai saperi
disciplinari a cui attinge e selezionandoli in funzione delle specifiche
esigenze.
Tali metodi,
saperi o tecniche, vengono modellati e articolati, in modo da armonizzarli in
quel preciso impianto formativo, generando così facendo soluzioni originali,
caratteristiche ed esclusive della pedagogia stessa e di nessun'altra
disciplina[20].
Queste
soluzioni metodologiche e tecniche, che marcano l'originalità disciplinare
della pedagogia, devono essere considerate all'interno di una logica che vede
il processo formativo come potenziale di costruzione di conoscenze e competenze,
quindi flessibile e dinamico, in grado di adattarsi ad ogni contesto e
situazione educativa; lo sguardo pedagogico incrocia un meticciato metodologico
caratterizzato da visioni disciplinari diverse ma con paradigmi critici
condivisi, dando vita ad una disciplina inedita dalle caratteristiche
versatili, progettata per adattarsi alle espressioni più variegate dei processi
formativi umani.
La pedagogia
allora, interpretando il processo formativo in atto negli esseri umani e nei
diversi contesti di vita, indaga sul
cambiamento da portare a tale processo nelle persone, in relazione all'età, ai
desideri e ai bisogni formativi, senza perdere di vista naturalmente i luoghi,
il contesto storico ma anche le strutture, le politiche locali, servizi
disponibili, ecc.
Una volta
chiarito la specificità della pedagogia, occorre chiedersi adesso: cosa può
fare l'educazione/formazione per migliorare la qualità della vita delle
persone, in età, contesti, situazioni
diverse, all'interno di un mondo sempre più complesso ed estremamente mutevole?
Per
rispondere a questa difficile domanda dobbiamo ricordare che la pedagogia, da
sempre, è la disciplina che studia la teoria e la pratica dell'educazione,
articolandosi quindi, da un lato alla vita psichica del soggetto e dall'altra
al contesto culturale in cui vive[21].
Originariamente il termine educazione
indicava l'atto di far emergere da una persona una potenzialità che custodiva
al proprio interno e che altrimenti sarebbe rimasta inespressa (educere in latino significa infatti
<<tirar fuori>>, <<fare uscire>>): questo concetto
mantiene il presupposto che che esista un potenziale interno al processo
formaivo, per cui, la persona educata è quella più completa e di conseguenza
maggiormente realizzata.
Seguendo
questa ottica la persona educata sarebbe allora quella a cui è stato insegnato
a comportarsi, a parlare, a rispettare determinate norme, ecc.
Questo
significato è stato modernamente ribaltato, passando dal far <<venir fuori>> si è
progressivamente passati a <<far entrare dentro>> determinate idee,
comportamenti e atteggiamenti; un capovolgimento che è poi fondamentalmente la
storia del formarsi e del trasformarsi della società e delle prospettive
assunte e fissate in quel preciso contesto storico culturale.
Dalla nozione
di educazione intesa come processo trasmissivo, vincolante ma soprattutto di
<<riempimento>> da un contenitore capiente (l'educatore) ad uno
concepito come vuoto (l'educando), si è approdati al termine
<<formazione>> che ha il vantaggio di mettere in risalto con
maggiore precisione la specificità attorno alla quale ci stiamo interrogando,
che ha a che fare, appunto, col problema del prendere forma nella crescita,
nelle diverse fasi della vita, nelle scelte più intime, nell'età adulta, ecc.
Questa articolata prospettiva dei mutamenti umani ci consente di collocare la
pedagogia in un ragionamento scientifico dalle radici piuttosto solide,
delineando con accuratezza il significato di <<processo formativo>>
che sta ad indicare, appunto, i modi in cui avvengono in ogni individuo i
cambiamenti che gli fanno assumere nel corso della vita determinate forme
umane: caratteristiche, visioni della vita, obiettivi, progetti, ecc[22].
L'attenzione
viene posta sia alle strutture formative, come apparati, strumenti, mezzi,
tecniche, ecc., sia al soggetto portatore di una necessità di formazione e di
potenzialità che gli consentono di trasformarsi (di attuare in sé il processo
formativo). Occorre interrogarsi quindi sulla natura dei bisogni formativi
impliciti, espliciti e latenti, connessi alla personale realizzazione raggiunta
attraverso le diverse esperienze individuali e collettive di una specifica
società, chiedendosi come tali bisogni si articolino in presenza di una
risposta tesa a soddisfarli, attraverso quali corsie preferenziali, con quali
metodi e che tipo di risultati ci si aspetti da questo percorso.
Le moderne
scienze dell'educazione hanno consentito di approfondire con accortezza lo
studio del soggetto inteso come indivisibilità mente/corpo e nella sua appartenenza
a micro e macrosocietà ben determinate, delineando chirurgicamente la mappatura
del processo formativo a cui destinare l'azione educativa.
L'offerta
formativa infatti non è concepita a priori ma è sagomata sulle reali esigenze
del soggetto o dei soggetti, con il fine di farne emergere le potenzialità.
E' stata
proprio questa la grande conquista della pedagogia moderna, la quale, uscendo
da un approccio unidimensionale al processo formativo in quanto vincolata alla
filosofia, è riuscita ad acquisire un approccio multidimensionale ai modelli
utilizzati, grazie al contributo delle scienze dell'educazione. I modelli
interpretativi che di volta in volta sono chiamati in causa devono rispettare i
parametri evolutivi del soggetto destinatario dell'attività formativa e le loro
chiavi di lettura sono sempre soggette ad essere rimesse in discussione perchè
mai definitive e sempre reinterpretate alla luce di nuove acquisizioni,
ricerche ed integrazioni[23].
Ecco che
allora si chiarisce quale sia stata la reale necessità di coniugare filosofia
(dell'educazione) e scienza, di fatti, senza questo stretto connubio, non
sarebbe stato possibile distillare e allo stesso tempo ampliare lo spettro di
lettura del processo formativo, inteso sia da un punto di vista strutturale e
architettonico, sia dei contenuti e dei saperi elaborati.
Il
destinatario del processo formativo, come abbiamo detto, è la persona intesa
nella propria unicità e irripetibilità ma per arrivare a compiere questo passo
in maniera concreta, senza correre il rischio di concepire questo concetto
solamente come una mera struttura discorsiva, è stato necessario accedere ai
contributi delle scienze psicologiche e sociali così da poterli calare
all'interno del processo formativo e plasmarli in modelli empiricamente
controllabili.
Questa
apertura della pedagogia alle altre scienze empiriche, al fine di decantare i
saperi del processo formativo e metterne in luce le piste e le corsie
preferenziali per una sua migliore definizione ed interpretazione, rappresenta
un punto di forza ma allo stesso tempo una debolezza che non ci consente di
inquadrare bene il discorso da un punto di vista rigorosamente scientifico.
Se da una
parte i modelli di carattere disciplinare presi in prestito dalle altre
scienze hanno aiutato a far luce sul
percorso formativo, esplorandone aspetti limitrofi e specifici, dall'altra è
necessario tener presente che nessuna disciplina a se stante riesce a cogliere
questo intricato processo evolutivo in maniera unitaria e definitiva.
Il processo
formativo, in altre parole, non è mai riducibile alle sue singole dimensioni
costitutive, siano esse sociali, culturali o biologiche; per quanto puntuali e
specifici, tali contributi sono necessari e funzionali solo per quella singola
“stringa” del processo che hanno analizzato, senza poter pretendere di
costruire un modello interpretativo dell'intero processo formativo.
In ogni
ricerca in ambito formativo occorre selezionare dall'”archivio” delle scienze
dell'educazione quei contributi che meglio si adattano alla risoluzione dei
singoli problemi con l'accortezza però, di tener sempre presente che non basta
semplicemente trasbordare una conoscenza da un campo di ricerca ad un altro ma
occorre vagliarla e modellarla al fine di renderla significativa nel confronto con
l'intero processo formativo (obiettivi, strumenti, metodi, valutazioni, ecc.)[24].
Per rendere
funzionale questo processo di <<presa in prestito>> dei modelli
dalle altre discipline occorre un sottile e allo stesso tempo robusto lavoro di
intermediazioni e di confronti, affinché l'impianto formale utilizzato non
cozzi con i modelli teorici di riferimento delle discipline alle quali facciamo
riferimento. Oltre a questo problema, non possiamo ignorare la tendenza delle
singole discipline ad ergersi come depositarie di verità assolute, soprattutto
a causa della tendenza che hanno a stringersi in una sorta di corporativismo le
cui teorie ergendosi a totalità interpretative della realtà umana, non riescono
a superare la logica del separatismo e dell'autoreferenzialità[25].
Occorre
ammettere allora di continuare a
disporre, in molti casi, unicamente di letture parziali della realtà
umana perché i modelli funzionali non possono essere dedotti semplicemente
trasponendo i contributi delle singole discipline né tantomeno muoversi
all'interno di un universo costellato di saperi tra loro separati e non
dialoganti. Senza una reale comunicazione fra specialismi né di un reale
confronto fra studi che utilizzano
linguaggi diversi per analizzare il medesimo problema, non arriveremo mai una
sintesi formale ed efficace di contributi disciplinari diversi in grado di
cogliere l'eterogeneo processo formativo nella sua interezza e unicità.
Un altro problema ancora oggetto di
discussione riguarda la genesi e la dinamica del processo formativo, ossia il
modo in cui avviene la sua costruzione e secondo quale dinamica. L'uomo entra
in contatto con l'ambiente, prende forma adattandosi ad esso ma allo stesso
tempo lo trasforma secondo le proprie esigenze attribuendogli significati
specifici; senza questo meccanismo di interpretazione non avremmo la
costruzione e l'evoluzione del sistema dei saperi di ciascun individuo e quindi
non avremmo il processo formativo. L'uomo in quanto artefice della propria
incompiutezza, è sempre chiamato a darsi una forma attraverso l'analisi della
propria storia, interpretandosi ed elaborando continuamente saperi e conoscenze
maturate con l'esperienza. Tutto questo fascio di informazioni rappresenta la
<<cassetta degli attrezzi>> con cui affrontare in maniera costruttiva
il rapporto con la vita e tessere il filo della propria identità attraverso la
continua accettazione e modifica della
realtà stessa.
Trasformazione,
interpretazione e creazione dei saperi rappresentano le tre parole chiave del
processo formativo inteso come sistema che si alimenta attraverso
l'elaborazione dei significati conoscitivi.
L'intera
impalcatura formativa si alimenta di significati conoscitivi la cui
elaborazione concorre alla costruzione di saperi sensomotori, emozionali e
razionali, intesi come componenti che fanno parte, sì, di un medesimo disegno
ma con radici appartenenti a <<terreni>> (sociali, culturali,
bilogici e psicologici) diversi.
Se è vero che
il processo formativo è specifico per ogni individuo in quanto riflette
l'unicità soggettiva, è altrettanto vero che l'uomo è e si fa all'interno di
una realtà condivisa con altri individui; ecco perché occorre pensare l'azione
formativa sempre come un agire relazionale ossia come esperienza di rapporto
tra persone costruttori di saperi diversi sul piano individuale, culturale e
sociale.
Il processo
formativo non è concepibile in maniera isolata, non è una reazione chimica che
si svolge in un ambiente asettico ma è altresì un sistema aperto del quale
occorre conoscere i sistemi dei saperi dei soggetti con i quali si ha a che
fare, così da arrivare ad individuare i bisogni formativi individuali e gruppo.
Questi saperi
personali espressi, rappresentano l'interpretazione della realtà che avviene
attraverso l'elaborazione dell'esperienza maturata, ossia attraverso il vissuto
di ciascuno; un mondo di saperi che si muove all'interno, che modifica gli
individui nel rapporto che stabiliscono con il mondo esterno e che differisce
nel modo in cui ognuno impiega tali
saperi per capire e comprendere ciò che è altro da sé.
I mattoni,
intesi come saperi acquisiti attraverso il processo di apprendimento nell'età
evolutiva, concorrono a definire l'edificio delle personalità durante tutto
l'arco della vita, arrivando all'età adulta sempre più consolidato ma comunque
sempre soggetto a revisioni e <<aggiustamenti>>.
Questi
mattoni non sono comunque tutti uguali in termini di peso e consistenza, anzi,
uscendo dai termini metaforici possiamo affermare che ogni sapere ha proprio
una rilevanza ben precisa a seconda della natura e dei soggetti che li elabora,
non solo, essi possiedono caratteritiche peculiari proprie, tali da permettere
una minore o maggiore integrazione tra i saperi (sociali, culturali o cognitivi
che siano), con diverse combinazioni possibili.
In età
giovanile queste conoscenze partecipano alla costruzione del
<<puzzle>> esistenziale soggettivo, mentre in età adulta quando
questo puzzle è ormai formalmente compiuto, rimane ancora aperta la possibilità
di rielaborare l'esperienza personale maturata durante tutta l'attività di assemblaggio, recuperando i
saperi personali da integrare con le riflessioni attuali.
Metabolizzando
i diversi saperi che definiscono il profilo del soggetto, si arriva ad una
integrazione delle conoscenze tale, da divenire un unico indivisibile, un
sistema che si identifica insomma con la persona stessa. I saperi elaborati,
naturalmente non sono eterni, hanno una durata necessaria a quella particolare
fase di vita, poi, una volta divenuti inefficaci non finiscono nell'oblio ma
vengono abilmente assorbiti nei caratteri permanenti della personalità,
contribuendo a definire quello che è l'argomento della nostra trattazione: la
dimensione della complessità nella costruzione della conoscenza nel processo
formativo.
Il soggetto,
immerso in un mondo i relazioni, imposta il lavoro della mente attraverso i
parametri della mediazione continua, ossia mediante un lento e costante
processo di costruzione che non è mai a priori ma sempre scandito
dall'esperienza con l'altro da sé, piegato ai bisogni di vita individuali o
collettivi.
Si viene a
delineare, in conclusione, l'oggetto di studio della pedagogia, ossia la
formazione, intesa come il prendere forma di ciascun soggetto, considerato
nella sua individualità irripetibile e nella sua appartenenza a gruppi umani
specifici, fornendo quindi una scansione di quelli che sono gli aspetti
peculiari di tale intricato processo: il sentire, il pensare, l'adattarsi e il
modificare.
Certamente, seguendo queste
direttive, occorre ripensare anche i termini di “educazione” e
“formazione”[26] che assumono una chiara corrispondenza semantica e pratica. Da una parte il
termine “educare” pone l’accento sull’azione del pedagogista, quale fonte indispensabile per la
formazione dell’educando; dall’altra, lo stesso termine indica il fatto che l’azione
del pedagogista non può in alcun modo agire senza tener conto delle potenzialità dell’educando,
né sostituirsi a lui, che risulta così essere il vero protagonista delle sua esperienza formativa.
Interdipendenza tra eteroeducazione ed autoeducazione
Iniziamo con il metter in rilievo i due significati essenziali del termine educazione come -
“nutrire”, che riconduce al concetto di “eteroeducazione”, e -“far uscire”, finalizzato all’
“autoeducazione”. In questo senso, l’educazione può esser pensata come un processo di sintesi
tra un dinamismo di autoeducazione e di eteroeducazione.
Se si volesse stabilire una sorta di priorità tra i due processi, si dovrebbe pensare ad un
rapporto complementare, di tipo “a spirale”. Indubbiamente, dal “punto di vista temporale”,
l’azione di eteroeducazione, quale processo che parte dall’esterno, è prioritaria
sull’auteducazione, mentre dal “punto di vista valoriale”, in realtà, viene prima di tutto
l’educando con tutte le sue potenzialità di crescita e, poi, l’azione dell’educatore, nel rispetto
delle esigenze dell’educando.
Si tratta, quindi, di un rapporto a spirale, in quanto l’eteroeducazione favorisce
l’autoeducazione e la maturazione del soggetto, che sempre nuova e specifica attenzione da
parte dell’ educatore, che a sua volta potenzia la sua crescita, e così via.
Necessità dell’educazione quale risposta ad un bisogno vitale
E’ evidente che la persona non può far a meno dell’educazione, né come individuo né come
essere sociale. Ma anche la società ha bisogno di educare le giovani generazioni, per garantire
la propria conservazione e il proprio sviluppo. In questo senso, l’educazione può esser pensata
come “processo di personalizzazione”, di “socializzazione”, di “inculturazione”.
Come processo di personalizzazione, l’educazione può esser pensata come realizzazione
progressiva di sé in quanto persona. Se così non fosse, l’educazione potrebbe configurarsi
come meccanismo di manipolazione dell’individuo da parte di altri soggetti. Inoltre, il
processo di personalizzazione non avviene in modo astratto, fuori dal contesto ambientale, ma
accompagnato da un corrispondente processo di socializzazione, di inserimento progressivo
della persona nella comunità. A sua volta, la socializzazione passa attraverso il processo di
inculturazione, ossia di assunzione graduale del linguaggio, dei valori, delle conoscenze propri
dell’esperienza e della visione della vita elaborata dalla società di appartenenza.
I tre processi sono tra loro interdipendenti, pur mantenendo ciascuno una propria
autonomia rispetto agli altri. Infatti, la persona non può esser confusa né tantomeno assorbita
con la dimensione sociale-culturale; la socialità non può esser limitata alla sua dimensione
culturale o di rapporti tra persone, ma si riferisce anche alle strutture, norme e istituzioni, che
interconnettono tra loro, come in una trama, ogni elemento della vita sociale; la cultura, a sua
volta, non può esser limitata alla vita dei singoli o alle vicende sociali, in quanto possiede un
valore sovraindividuale, metastorico, che fa riferimento alla spiritualità profonda che anima la
specie umana, di ogni tempo e di ogni luogo.
L’esperienza educativa è per natura, quindi, “sistemica”, nel senso che é un tutto organico, formato
da diversi fattori tra loro interdipendenti[27].
Essa, inoltre, è tale perché fondata sulla “relazione”. Inevitabilmente, proprio perché
esperienza umana, l’educazione ha il suo fondamento costitutivo nella “socialità”. Perdere il
senso dell’altro, in definitiva, equivarrebbe anche a perder se stessi. La relazione, inoltre, è
condizione necessaria anche perché l’insieme di fattori o elementi implicati nel processo
educativo possano costituirsi come “sistema”.
Il processo educativo, poi, si distingue per il suo carattere di “possibilità”, quale capacità di
“formazione”[26] che assumono una chiara corrispondenza semantica e pratica. Da una parte il
termine “educare” pone l’accento sull’azione del pedagogista, quale fonte indispensabile per la
formazione dell’educando; dall’altra, lo stesso termine indica il fatto che l’azione
del pedagogista non può in alcun modo agire senza tener conto delle potenzialità dell’educando,
né sostituirsi a lui, che risulta così essere il vero protagonista delle sua esperienza formativa.
Interdipendenza tra eteroeducazione ed autoeducazione
Iniziamo con il metter in rilievo i due significati essenziali del termine educazione come -
“nutrire”, che riconduce al concetto di “eteroeducazione”, e -“far uscire”, finalizzato all’
“autoeducazione”. In questo senso, l’educazione può esser pensata come un processo di sintesi
tra un dinamismo di autoeducazione e di eteroeducazione.
Se si volesse stabilire una sorta di priorità tra i due processi, si dovrebbe pensare ad un
rapporto complementare, di tipo “a spirale”. Indubbiamente, dal “punto di vista temporale”,
l’azione di eteroeducazione, quale processo che parte dall’esterno, è prioritaria
sull’auteducazione, mentre dal “punto di vista valoriale”, in realtà, viene prima di tutto
l’educando con tutte le sue potenzialità di crescita e, poi, l’azione dell’educatore, nel rispetto
delle esigenze dell’educando.
Si tratta, quindi, di un rapporto a spirale, in quanto l’eteroeducazione favorisce
l’autoeducazione e la maturazione del soggetto, che sempre nuova e specifica attenzione da
parte dell’ educatore, che a sua volta potenzia la sua crescita, e così via.
Necessità dell’educazione quale risposta ad un bisogno vitale
E’ evidente che la persona non può far a meno dell’educazione, né come individuo né come
essere sociale. Ma anche la società ha bisogno di educare le giovani generazioni, per garantire
la propria conservazione e il proprio sviluppo. In questo senso, l’educazione può esser pensata
come “processo di personalizzazione”, di “socializzazione”, di “inculturazione”.
Come processo di personalizzazione, l’educazione può esser pensata come realizzazione
progressiva di sé in quanto persona. Se così non fosse, l’educazione potrebbe configurarsi
come meccanismo di manipolazione dell’individuo da parte di altri soggetti. Inoltre, il
processo di personalizzazione non avviene in modo astratto, fuori dal contesto ambientale, ma
accompagnato da un corrispondente processo di socializzazione, di inserimento progressivo
della persona nella comunità. A sua volta, la socializzazione passa attraverso il processo di
inculturazione, ossia di assunzione graduale del linguaggio, dei valori, delle conoscenze propri
dell’esperienza e della visione della vita elaborata dalla società di appartenenza.
I tre processi sono tra loro interdipendenti, pur mantenendo ciascuno una propria
autonomia rispetto agli altri. Infatti, la persona non può esser confusa né tantomeno assorbita
con la dimensione sociale-culturale; la socialità non può esser limitata alla sua dimensione
culturale o di rapporti tra persone, ma si riferisce anche alle strutture, norme e istituzioni, che
interconnettono tra loro, come in una trama, ogni elemento della vita sociale; la cultura, a sua
volta, non può esser limitata alla vita dei singoli o alle vicende sociali, in quanto possiede un
valore sovraindividuale, metastorico, che fa riferimento alla spiritualità profonda che anima la
specie umana, di ogni tempo e di ogni luogo.
L’esperienza educativa è per natura, quindi, “sistemica”, nel senso che é un tutto organico, formato
da diversi fattori tra loro interdipendenti[27].
Essa, inoltre, è tale perché fondata sulla “relazione”. Inevitabilmente, proprio perché
esperienza umana, l’educazione ha il suo fondamento costitutivo nella “socialità”. Perdere il
senso dell’altro, in definitiva, equivarrebbe anche a perder se stessi. La relazione, inoltre, è
condizione necessaria anche perché l’insieme di fattori o elementi implicati nel processo
educativo possano costituirsi come “sistema”.
Il processo educativo, poi, si distingue per il suo carattere di “possibilità”, quale capacità di
dare un senso all’esperienza, cercando di colmare
l’inevitabile scarto tra pensiero e azione, ma
nello stesso tempo anche di affrontare l’esperienza attraverso una “libera scelta”. In questo
senso, l’educazione è un processo di tensione intenzionale verso un traguardo non ancora
raggiunto, un “dover essere” tra realtà e speranza, tra natura, cultura e filosofia.
nello stesso tempo anche di affrontare l’esperienza attraverso una “libera scelta”. In questo
senso, l’educazione è un processo di tensione intenzionale verso un traguardo non ancora
raggiunto, un “dover essere” tra realtà e speranza, tra natura, cultura e filosofia.
La pedagogia come scienza del cambiamento
Il termine metabletica è stato introdotto da Van
Den Bergh[28]
ed è stato assorbito in ambito pedagogico; il suo significato riguarda il
cambiamento, o meglio la trasformazione intesa non in senso arbitrario ma
sempre sotto il controllo della volontà, ossia intenzionale e soggetta alle
spinte motivazionali. L'approccio metabletico prevede, in ambito squisitamente
pedagogico, lo studio e l'analisi delle condizioni che inducono i processi di
cambiamento, allo stesso tempo, fornisce indicazioni circa le condizioni e gli
strumenti necessari affinchè il cambiamento possa avvenire in modo
razionalmente controllato, modificando le condizioni che ne bloccano lo
sviluppo. Chi si educa cambia e chi cambia vive un processo formativo, quindi,
possiamo affermare che non c'è educazione senza cambiamento e viceversa. Spetta
alla pedagogia ricostruire le dinamiche
metabletiche che incidono nel percorso di vita del soggetto, soprattutto per
quanto riguarda gli aspetti cognitivi, affettivi e corporei, attraverso un
processo che rispetti l'architettura profonda dell'impianto metabletico,
riassumibile in cinque elementi cardine di stampo educativo:
la temporalità: rappresenta il processo
di tipo educativo che ha a che fare con il concetto
di
metabletica, tenendo presente che non si cambia sempre ma soltanto in
determinate situazioni e per un certo periodo e attraverso modalità che nulla
hanno a che fare con l'idea di progressività, continuità e cumulo;
la novità: ossia l'avvento dell'elemento
a sorpresa, dell'inaspettato e dell'accidentale, che si manifesta attraverso
l'evento, un incontro o un desiderio prima di allora sconosciuto,
contrapponendosi alla routine, al quotidiano e ad ogni forma di
consuetudine.Tutto ciò aiuta ad attivare le risorse necessarie per aduguarsi a
situazioni diverse e quindi a cambiare i propri schemi o modelli comportamentali;
la spazialità: non esistono i luoghi
sacri dell'educazione né il monopolio esclusivo di questo articolato processo;
tuttavia, è anche vero che il cambiamento inteso in senso pedagogico non
avviene ovunque, anzi, esso si realizza in determinate aree fisiche anziché in
altre, al di là di ogni pretesa di categorizzare a priori spazi potenzialmente
formativi
la direzionalità: ha a che vedere con lo
scopo dell'agire pedagogico poiché l'azione educativa si giustifica mediante
esso e il soggetto in formazione cambia in virtù degli atti intenzionati verso
un obiettivo, contrapponendosi ad ogni forma di a-finalizzazione sia del
cambiamento che del processo educativo
la reversibilità: riguarda il
cambiamento in educazione che, oltre ad aggiungere, allo stesso tempo toglie
qualcosa; ogni variazione prevede l' abbandono di una precedente forma,
cognitiva, affettiva o comportamentale che sia, trasformando ciò che era in
qualcosa di nuovo, ben oltre quindi la classica rappresentazione che vede
nell'educazione lo sterile accumulo di nozioni, senza nessuna forma di
continuità e di rielaborazione personale.
L'emozionalità: è un fattore decisivo nel cambiamento, attivabile
attraverso i meccanismi del ricordo e della nostalgia; cambiare prevede infatti
sempre uno scarto tra il prima e il dopo, tra una fine e un nuovo inizio, ossia
tra un lasciarsi alle spalle un'esperienza ormai esaurita e l' affacciarsi ad
una nuova e diversa realtà. L'elemento emotivo è quindi una componente
imprescindibile del percorso formativo che completa l'elemento razionale e lo
traspone su un piano idoneo all'attivazione della chimica del cambiamento,
fungendo da reagente e da catalizzatore insieme. Ecco che allora tutti questi
elementi si decantano in quel processo vitale che caratterizza la pedagogia
moderna, ponendo al centro del proprio sistema la relazione come flusso di
esperienze , necessarie per ogni tipo di cambiamento rilevante da un punto di
vista strettamente educativo. Il lavoro pedagogico, detto in altri termini, “ha
per scopo la modificazione di qualche parte di un tutto (in questo contesto, il
ragazzo) per ristrutturare questo intero o una qualche sua componente”. La
caratteristica di questo lavoro è perciò quella di porsi, sempre il problema di
un cambiamento di strutture nel lungo o breve periodo”[29].
Operare con bambini, con ragazzi o adulti impone sempre la chiara
consapevolezza, l’intenzionalità e le finalità, delle metodiche operative che
verranno messe in atto negli interventi relazionali.“Il cambiamento educativo”
sempre secondo Demetrio, “è un progetto ambizioso, un incidere, un graffiare
intenzionalmente la vita individuale per lasciarvi un' impronta visibile” . Poiché “il soggetto non è una tavola
a-reattiva, o una carta assorbente desiderosa di intridersi”, può non
accogliere immediatamente e spontaneamente il contenuto dell’atto educativo, in
quanto è portatore di significati non congruenti con quelli degli atti di
cambiamento. Occorre allora coltivare l’arte di invitare che si determina come
pratica dalla caratteristica molto particolare, infatti, per compiersi
pienamente ha sempre bisogno della decisa collaborazione di un’altra persona.
Saper invitare si profila come quel modo di intervenire nella vita degli altri
che è bene attuare (contrariamente ad un pregiudizio comune) perché non solo
non soffoca la loro libertà ma, anzi, cerca di promuoverla al meglio”[30].La
pedagogia intesa come scienza del cambiamento deve suscitare nel soggetto in formazione degli
“spostamenti di posizione” [31]
proposti intenzionalmente dal pedagogista ma voluti, necessariamente, da
entrambi. L’agire può avere questa connotazione dialettica: rendere consapevole
l’altro del suo bisogno d’aiuto ed invitarlo a chiederlo, rispettandone
radicalmente la sua libertà d’azione e di pensiero, lasciando l’altro libero di
rispondere. Da queste considerazioni deriva che “il cambiamento educativo
è necessariamente di natura relazionale” e che perciò esso si
realizza sia grazie all’intervento di cause esterne sia per la scelta e la
decisione consapevole del soggetto di cambiare[32].Occorre
però chiarire la differenza tra relazione in generale e relazione pedagogica
e perché il termine relazione è quello
che meglio qualifica la comunicazione educativa. La relazione, in generale, può
essere definita molto semplicemente come il legame che unisce due o più
persone. I motivi per i quali le persone si relazionano tra loro sono
molteplici e, probabilmente, il principale è insito nella natura stessa
dell’individuo, in quella tensione biologica alla consociazione che accompagna
ciascuno di noi nella lunga storia evolutiva dell’uomo. Una relazione è
strutturata su più piani e comprende variabili comportamentali dipendenti dalla
natura di ogni individuo, e variabili affettive, dipendenti dal tipo di
rapporto, più o meno intenso, che lega le persone coinvolte in esso. Queste
variabili si esprimono nella percezione che si ha di se stessi, nella percezione che si ha degli altri, nel modo in cui ognuno si sente percepito
dagli altri, nelle conseguenze di
precedenti esperienze di relazione, nelle aspettative che ognuno ha
dell’altro, nelle emozioni e nei
sentimenti che vengono agiti e nelle regole che guidano il comportamento di
ognuno.
La significatività della relazione pedagogica orientata in
senso metabletico, è costruita interamente dalle persone coinvolte in essa, che
possono renderla più o meno superficiale, più o meno matura, dal modo dunque in
cui ciascuna ‘gioca’ se stessa in questa avventura, con quanta trasparenza od
opacità è pronta ad agire nel circolo comunicativo e relazionale.
E’ perciò essenziale, nello stabilire la significatività
di questo tipo di relazione, il grado di condivisione esistente tra le persone
coinvolte, consistente non solo nel fare insieme ma anche nel rendere partecipi
gli altri di ciò che si è fatto, detto, pensato e vissuto facendoli in tal modo
essere e, presumibilmente, sentire dentro la propria esperienza facendo
emergere a consapevolezza il proprio personale e specifico livello di
radicamento. Quando la relazione tra due persone ha lo scopo unico di
promuovere lo sviluppo e la crescita, oltre che la prevenzione e la cura di
particolari stati di disagio, si definisce pedagogica ed assume anche, sul
versante adulto che orienta, accompagna e supporta, la dimensione centrale ed
essenziale della responsività[33].
Una delle caratteristiche principali della metabletica
intesa in senso formativo o orientativo è, infatti, l’intenzionalità che fa
dell’atto educativo, di questa relazione nel qui ed ora, un evento mirato ad
obiettivi precisi e non improvvisato. L’intenzionalità fa agire il pedagogista
con la consapevolezza e la certezza di sapere sempre i motivi per i quali si fa
o non si fa una cosa. L’intenzionalità, infatti, si esprime formalmente nel
progetto educativo, la grande trama che giustifica le nostre e le altrui
azioni. La scelta del termine relazione, per definire la forma di comunicazione
educativa più efficace, deriva dal riconoscimento delle sue peculiarità insite
nella etimologia stessa del termine.
Il termine metabletica o trasformazione è quello che
meglio esprime quelle condizioni necessarie perché un rapporto tra due persone
sia definito educativo. Se si fa riferimento al latino, il termine relazione
può derivare dal composto del prefisso “re” che esprime una ripetizione, oppure
del suffisso “res” che indica l’agire nei confronti di un oggetto o un
soggetto. La prima interpretazione rimanda all’aspetto della continuità che
deve esserci nel rapporto tra due persone, la seconda invece si riferisce agli
aspetti della referenzialità e della pragmaticità che riguardano un rapporto
tra due persone che comunicano, che parlano di qualche cosa dall’atro e parlano
l’uno all’altro, ma soprattutto che agiscono, che mirano a cambiare e
trasformare ciò di cui si parla.
La continuità, la referenzialità e la pragmaticità sono i
tre attributi, quelle peculiarità, come sopra detto, insite nella etimologia
stessa del termine. La continuità implicita nella relazione si riferisce al
legame duraturo e intenso tra due individui, che sussiste anche quando la comunicazione
interpersonale non è visibile ma continua ad agire nelle azioni e nelle scelte
del singolo. La relazione tra due soggetti, infatti, prevede uno scambio
continuo di emozioni nuove da sperimentare e emozioni da rivivere attraverso
l’altro . La referenzialità e la pragmaticità riguardano l’esistenza di un
contenuto di cui parlare che diventa l’oggetto e l’obiettivo dell’intento
educativo.
L’aspetto referenziale si riferisce al fatto che, nella
relazione educativa, l’educatore i due soggetti della relazione hanno sempre
qualcosa cui riferirsi. Può essere un problema pratico, un problema personale,
oppure può riguardare opinioni, idee, emozioni o sentimenti che si vogliono
condividere. Oltre che parlare insieme e riferirsi allo stesso contenuto, il pedagogista
e il soggetto agiscono in vista di un cambiamento, di una trasformazione nelle
biografie personali, di correzioni di tiro oppure di cambiamenti strategici[34].
La relazione educativa, dunque, costituisce la base di
appoggio di qualsiasi intervento, la strategia più efficace per costruire un
rapporto significativo e di fiducia senza il quale il lavoro educativo
risulterebbe molto più faticoso e problematico, dal momento che ogni
maturazione o cambiamento è impossibile in assenza di un coinvolgimento attivo
dei soggetti nel processo che li rende attuali e possibili.
L’educazione è da intendersi allora, soprattutto come
relazione interpersonale[35], in cui
i due
“attori”, educatore ed educando, agiscono in modo autonomo e, contemporaneamente,
interdipendente, tendente all’unica direzione. In questa prospettiva, la comunicazione
interpersonale assume la forma di “comunicazione reciproca”, di apertura, scambio,
comunione.
Essendo fondato sull’interazione, il rapporto pedagogista - educando diventa un fatto di
reciproco modellamento-condizionamento. Inoltre, occorre riconoscere a ciascuno dei
protagonisti di vivere un proprio “ruolo”, che è asimmetrico sia per quanto riguarda il livello di
maturità personale sia il livello di decisionalità e d’iniziativa.
Questi riferimenti sono necessari per meglio delineare le caratteristiche fondamentali competenze
del pedagogista. Fondamentale risulta essere quella di assunzione di responsabilità
sia nei confronti dell’educando sia delle scelte o finalità educative, configurandosi come
responsabilità morale. Inoltre deve esser credibile, attraverso la coerenza tra pensiero e vita,
teoria e pratica. Infine egli deve saper incoraggiare i giovani verso una continua mediazione
tra finalità e azione tendente a quel fine.
Si possono indicare tre fattori principali di rilevanza pedagogica: il pedagogista in sé; l’azione che egli esprime per favorire il cambiamento e le parole che esprime affinché tutto ciò avvenga.
Il concetto di“ pedagogista in sè” riporta a tutte quelle problematiche della sua formazione che fanno da sfondo ad ogni discorso circa la potenzialità stessa dell’ azione educativa;
con il termine “azione”, quindi, ci si riferisce a tutta quella serie di comportamenti
del pedagogista nei confronti dell’educando che determinano la qualità stessa degli esiti
formativi e di cambiamento: si possono qui includere tutti i caratteristici comportamenti di tipo verbale e non verbale, qualificanti l’azione stessa del pedagogista, in stretta interdipendenza con il tipo di risposta emessa dall’educando, in una sorta di rapporto circolare, interdipendente; in questo
senso, l’uso del linguaggio è determinante, in quanto modulatore della comunicazione
interpersonale tra insegnante e allievo, madre-figlio, figlio-padre, fratello-fratello…
Il grande presupposto del cambiamento inteso in termini pedagogici è il concetto di “educabilità”, quale personale capacità di vivere e di partecipare in modo attivo alla suo processo educativo.
L’uomo, infatti, è educabile perché possiede facoltà psichiche aperte e modificabili, cioè
dinamiche. In questo senso, l’educabilità coinciderebbe con la sua intelligenza, con le sue
potenzialità. Teniamo presente, però, che è inevitabile che l’uomo si formi, quindi, attraverso
una continua interazione con il vissuto sociale. Nello stesso tempo la sua educabilità non può
esser interamente condizionata da fattori sociali o biologici, anche se il discorso pedagogico non può trascurare il fatto che l’educazione avviene entro determinati contesti di personalità, culturali
e sociali.
L’intenzionalità educativa, quindi, si esplica se la pedagogia riesce a porsi anche come
scienza dell’uomo educabile attraverso l’utilizzo di conoscenze scientifiche e su un
metodo educativo, attraverso un’interazione con le scienze, la ricerca di unitarietà tra gli
apporti offerti dalle varie discipline. In questa prospettiva trova collocazione anche il
discorso sulla necessità di un’educazione integrale dell’essere umano, in una sincronia tra
il tutto e le parti, volte al cambiamento e alla crescita armonica della personalità
Solo così è possibile parlare della funzione del pedagogista come arte d’incontro, che nel rispetto
della libertà dell’educando ne promuove l’autonomia e la volontà di autorealizzazione,
mantenendosi autentico e coerente con la propria identità, pur nella continua tensione all’unità
compartecipativa del suo essere con quello dell’educando. Il rapporto educativo, quindi,
come continua tensione all’Essere, permea la sua azione di quell’essere, fatto di incontro sul
piano esistenziale e umano, di mediazione e ricerca che richiama alla continua dialettica tra
potenza e atto, tra essere e dover essere[36].
“attori”, educatore ed educando, agiscono in modo autonomo e, contemporaneamente,
interdipendente, tendente all’unica direzione. In questa prospettiva, la comunicazione
interpersonale assume la forma di “comunicazione reciproca”, di apertura, scambio,
comunione.
Essendo fondato sull’interazione, il rapporto pedagogista - educando diventa un fatto di
reciproco modellamento-condizionamento. Inoltre, occorre riconoscere a ciascuno dei
protagonisti di vivere un proprio “ruolo”, che è asimmetrico sia per quanto riguarda il livello di
maturità personale sia il livello di decisionalità e d’iniziativa.
Questi riferimenti sono necessari per meglio delineare le caratteristiche fondamentali competenze
del pedagogista. Fondamentale risulta essere quella di assunzione di responsabilità
sia nei confronti dell’educando sia delle scelte o finalità educative, configurandosi come
responsabilità morale. Inoltre deve esser credibile, attraverso la coerenza tra pensiero e vita,
teoria e pratica. Infine egli deve saper incoraggiare i giovani verso una continua mediazione
tra finalità e azione tendente a quel fine.
Si possono indicare tre fattori principali di rilevanza pedagogica: il pedagogista in sé; l’azione che egli esprime per favorire il cambiamento e le parole che esprime affinché tutto ciò avvenga.
Il concetto di“ pedagogista in sè” riporta a tutte quelle problematiche della sua formazione che fanno da sfondo ad ogni discorso circa la potenzialità stessa dell’ azione educativa;
con il termine “azione”, quindi, ci si riferisce a tutta quella serie di comportamenti
del pedagogista nei confronti dell’educando che determinano la qualità stessa degli esiti
formativi e di cambiamento: si possono qui includere tutti i caratteristici comportamenti di tipo verbale e non verbale, qualificanti l’azione stessa del pedagogista, in stretta interdipendenza con il tipo di risposta emessa dall’educando, in una sorta di rapporto circolare, interdipendente; in questo
senso, l’uso del linguaggio è determinante, in quanto modulatore della comunicazione
interpersonale tra insegnante e allievo, madre-figlio, figlio-padre, fratello-fratello…
Il grande presupposto del cambiamento inteso in termini pedagogici è il concetto di “educabilità”, quale personale capacità di vivere e di partecipare in modo attivo alla suo processo educativo.
L’uomo, infatti, è educabile perché possiede facoltà psichiche aperte e modificabili, cioè
dinamiche. In questo senso, l’educabilità coinciderebbe con la sua intelligenza, con le sue
potenzialità. Teniamo presente, però, che è inevitabile che l’uomo si formi, quindi, attraverso
una continua interazione con il vissuto sociale. Nello stesso tempo la sua educabilità non può
esser interamente condizionata da fattori sociali o biologici, anche se il discorso pedagogico non può trascurare il fatto che l’educazione avviene entro determinati contesti di personalità, culturali
e sociali.
L’intenzionalità educativa, quindi, si esplica se la pedagogia riesce a porsi anche come
scienza dell’uomo educabile attraverso l’utilizzo di conoscenze scientifiche e su un
metodo educativo, attraverso un’interazione con le scienze, la ricerca di unitarietà tra gli
apporti offerti dalle varie discipline. In questa prospettiva trova collocazione anche il
discorso sulla necessità di un’educazione integrale dell’essere umano, in una sincronia tra
il tutto e le parti, volte al cambiamento e alla crescita armonica della personalità
Solo così è possibile parlare della funzione del pedagogista come arte d’incontro, che nel rispetto
della libertà dell’educando ne promuove l’autonomia e la volontà di autorealizzazione,
mantenendosi autentico e coerente con la propria identità, pur nella continua tensione all’unità
compartecipativa del suo essere con quello dell’educando. Il rapporto educativo, quindi,
come continua tensione all’Essere, permea la sua azione di quell’essere, fatto di incontro sul
piano esistenziale e umano, di mediazione e ricerca che richiama alla continua dialettica tra
potenza e atto, tra essere e dover essere[36].
La Pedagogia
professionale
Abbiamo avuto modo di approfondire gli aspetti più importanti della pedagogia e messo in risalto il suo volto più attuale; abbiamo definito la pedagogia come scienza dei processi formativi e visto come il suo come campo di lavoro e di interessi sia l’educazione e quindi il cambiamento dell'individuo. Più precisamente la pedagogia è stata inquadrata come teoria dei processi educativi ed è stata scandagliata nei suoi diversi piani epistemologici e professionali: eticofilosofico,
psicologico, sociologico, didattico e relazionale[37].
Abbiamo altresì accennato (e qui adesso riprenderemo il discorso) come questa contaminazione contenutistica abbia reso la pedagogica dipendente dalle altre discipline e l’abbia relegata in uno stato di “ancillarità” rispetto alle altre, fino ad arrivare (erano gli anni ‘ 80/ ’90) a parlare di una crisi della pedagogia, proprio a causa della mancanza di un proprio statuto epistemico. Questo ha generato una disordinata ricerca di scientificità di derivazione extradisciplinare, nonostante negli ultimi anni la pedagogia stia recuperando un assetto epistemologico basato essenzialmente sul modo di operare, detto clinico, che fu sperimentato nel passato da pedagogisti come Itard, Seguin, Montessori, Decroly, Claparede.
Se la
pedagogia è la scienza che si occupa di studiare i processi formativi, essa ha
a che vedere da una parte con lo sviluppo, la maturazione, la crescita e il
cambiamento del soggetto nel tempo, in un determinato contesto sociale,
dall'altro all'unicità del soggetto e all'irripetibilità delle sue scelte,
interpretazioni e percorsi di vita. La pedagogia clinica intesa come scienza
centrata sul soggetto in formazione, sembra essere un ottimo connubio tra
queste visioni solo apparentemente antitetiche. La pedagogia è e si fa per la
persona intesa come un unicità che è sì destinataria di un suo privato percorso
formativo ma allo stesso tempo aperta alle realtà altre, incrociando persone,
percorsi e tracciati diversi che la vedono inserita sempre e comunque in un
detrminato contesto di vita.
Il Pedagogista clinico si definisce tale in quanto il suo è un approccio di tipo individuale, basato sul caso singolo e la valenza del termine giustifica anche i paradigmi fondanti della pedagogia clinica:
l’empiricità, l’individualità e l’ecologia.
La pedagogia clinica ha come oggetto di studio il soggetto individuandone i bisogni formativi al fine di inquadrare un percorso educativo atto a favorire cambiamenti, intesi in termini di crescita, maturazione ed aiuto allo sviluppo.
Il Pedagogista clinico si definisce tale in quanto il suo è un approccio di tipo individuale, basato sul caso singolo e la valenza del termine giustifica anche i paradigmi fondanti della pedagogia clinica:
l’empiricità, l’individualità e l’ecologia.
La pedagogia clinica ha come oggetto di studio il soggetto individuandone i bisogni formativi al fine di inquadrare un percorso educativo atto a favorire cambiamenti, intesi in termini di crescita, maturazione ed aiuto allo sviluppo.
Ormai la ricerca da
più parti è impegnata su questo fronte, già Massa parlava di “clinica della
formazione” intendendo con questo termine la necessità di inquadrare il
discorso formativo centrandolo sul singolo, considerato nella propria unicità e inteso come portatore di bisogni particolari, dai quali occorre
partire per elaborare un progetto che abbia come obiettivo il cambiamento[38].
La pedagogia, intesa in
questi termini è allora un percorso educativo il cui obiettivo è
l'apprendimento. Per attuare l’apprendimento abbiamo bisogno però di metterci a
studiare i processi, i progetti e gli interventi che ci consentono di arrivare
a dei risultati, intesi in termini di cambiamento, che scaturiscono proprio
dall’obiettivo di produrre un apprendimento consapevole, cioè voluto e cercato,
ossia razionale, come può essere un corso intrapreso di propria spontanea
volontà. L'esigenza della formazione si manifesta come evento scatenante, ossia
come un qualcosa di molto evidente e che non si può fingere di ignorare, che fa
scattare la molla dell’esigenza di innovazione, di riforma, o di qualcosa che
porti ad un netto miglioramento. Da questa premessa si procede
all'identificazione del bisogno, ossia all’individuazione del problema che si è
manifestato e si razionalizza, nel migliore dei casi, per vedere dove è
necessario il miglioramento o il cambiamento da promuovere. Si arriva così alla
definizione del problema che è’ la vera e propria diagnosi necessaria per
risolvere la situazione e dalla quale scaturirà una ipotesi di soluzione,
ossia delle idee che possono aiutarci e
guidare verso la soluzione più ottimale del problema che, in questa
sede, si concretizza come domanda di formazione. Da qui scatta la vera e
propria domanda di formazione ed è il momento dalla presa di coscienza che fa
sentire l’esigenza di un intervento superiore e specifico per ogni caso. Se
perciò la Formazione, in generale, indica qualunque pratica consapevole e
intenzionale per l’apprendimento, la Clinica della Formazione
intende cogliere il sempre presente nel
mondo stesso della Formazione organizzata.La Clinica della Formazione attinge
direttamente dal mondo della vita (Fenomenologia di Husserl), con la sua materialità Educativa, attraverso le dinamiche
esterne e interne, similmente ad una reazione chimica, le quali, rendono
possibile il processo formativo. La Clinica della Formazione promossa da Massa[39] vuole
proporsi come mediazione educativa tra il mondo della vita e quello della
Formazione attraverso azioni intenzionali, dai quali scaturisce Il Metodo
Clinico che si fonda su due campi connessi alla Pedagogia: la Medicina e la
Psicologia, o meglio, la Psicoanalisi. Si approda quindi su un terreno diverso
da quello abituale della pedagogia classica. Non si parte più da una teoria
generale in grado di comprendere tutte le situazioni problematiche pratiche ma
al contrario lo Sguardo clinico qui proposto è uno sguardo empirico, fondato
cioè sull’esperienza. Infatti, il termine Clinica deriva dal greco klino, cioè
chinarsi, curvarsi sul malato che giace sul letto, ed è proprio ciò che fa il
medico quando si china, con intento conoscitivo, sul malato per visitarlo. E,
in una situazione del genere, non ci si può semplicemente mettere in una
posizione frontale, perché bisogna entrare nelle situazioni
che ci hanno sottoposto delle precise richieste per capire i processi e le
dinamiche senza classificarle o etichettarle. Significa, cioè, mettersi nei
panni dell’altro e considerare normali e naturali anche il malessere, il
disagio e la malattia. Così l’atteggiamento clinico, sempre in evoluzione,
quindi di conoscenza, divenuto atteggiamento di ricerca, oltrepasserà un sapere
che viene calato dall’alto, come il medico che si china per creare una
situazione di Ricerca Congiunta, che si fa insieme tra Formatore e Formando,
scoprendo e imparando insieme.
E’ un percorso a due o più persone. E’ possibile così esplorare aspetti di margine di possibili transizioni legate alla vita vissuta da ciascuno.
Il contributo della Psicoanalisi rende molto efficace la teoria pedagogica clinica qui proposta, facendo attenzione però a non confondere i ruoli e chiarendo che non esiste la pretesa di fare gli psicologi o gli psicoanalisti, perché, prima di tutto non c’è la preparazione adatta e poi perché il sapere psicoanalitico non viene utilizzato per interpretare il mondo interno dei soggetti, ma viene utilizzato come schema di analisi e decodificazione di elementi fantasmatici e rappresentazionali. Il concetto di Clinica, comunque, oltre a basarsi sullo schema di analisi e decodificazione della pratica psicoanalitica, prevede, esattamente come la precedente, un setting specifico e variabile ad ogni situazione in cui si deve entrare per conoscere i particolari e i processi dinamici che vogliono una risposta.
Il setting o situazione è uno specifico spazio simbolico, se non fisico (come l’aula o una stanza) in cui poter svolgere un’azione; questo contesto si costruisce da sé col gioco delle relazioni e dei rapporti tra gli attori della situazione e possiede regole e ruoli che si possono modificare facilmente.
L’atteggiamento clinico è, perciò, attento allo spazio istituzionale, a quello simbolico del gioco relazionale e del suo contesto ed è per questo che nel metodo clinico sono presenti sia la dimensione esperienziale che quella sperimetale (di ricerca)[40].
E’ un processo circolare di teoria-prassi, cioè un continuo confronto della ricerca con l’esperienza, nel suo processo evolutivo (Ermeneutica), inoltre, ma non per ultimo come importanza, c'è l' aspetto fondamentale legato alla dimensione linguistica, infatti, non si possono conoscere i propri bisogni se non attraverso la comunicazione linguistica.
La pedagogia clinica lavora proprio su ciò che si dice, sul modo in cui vengono esposti i problemi, sul modo di esprimersi e sul linguaggio usato dai soggetti che devono produrre dei testi scritti, basandosi molto sulle proprie esperienze personali. Partendo da qui, si fa un’ interpretazione per vedere come si parla della Formazione, cosa si pensa, come la si definisce.
In questi scritti c’è una dimensione nascosta che rinvia all’idea di latenza di formazione, sono cioè gli elementi che, nel racconto, vengono lasciati in ombra durante il percorso educativo.
Questa latenza si riferisce ad aspetti della formazione meno percepiti e più impliciti. Infatti, la radice etimologica della parola lat rinvia all’idea di rifugio o luogo protetto e appartato, come una nicchia, un proprio spazio interno, nel quale si possono decodificare e decostruire le rappresentazioni mentali e i vissuti affettivi di esperienze della circostanza per capire i meccanismi processuali a cui danno luogo, per poi interpretarli.
In sintesi gli elementi fondanti della clinica della formazione e quindi della pedagogia clinica stessa, sono da una parte la dimensione esperienziale cheriguarda l’esperienza di tutti i giorni, dall'altra la dimensione sperimentale che è la vera e propria ricerca, che si può fare anche con elementi che esulano lo specifico psicoanalitico, fino ad arrivare alla dimensione linguistica, legata appunto al linguaggio parlato, il tutto, si realizza all'interno di una complessa dinamica, di un processo, appunto, circolare (ermeneutico) di teoria-prassi[41].
Anche Crispiani ha dedicato molte ricerche in favore della pedagogia clinica per meglio definire tra l'altro, la figura del pedagogista clinico, ipotizzando metodi, strumenti, lessico e ambiti di lavoro. Per Crispiani si deve ad Itard, medico e pedagogista dei primi dell’Ottocento, la nascita della pedagogia clinica , intesa come connubio tra scienze dello sviluppo e scienze dell’educazione che oggi è alla base della scientificità della pedagogia.
Lo studio condotto da Itard sul fanciullo selvaggio portò alla individuazione di diverse fasi utili
nell’ambito specialistico: la distinzione tra condizioni organiche e funzionali, la dipendenza
formativa dalla situazione di vita, il condizionamento dell’azione educativa da parte di disabilità,
ritardi e deprivazioni.
Nell’osservare il fanciullo selvaggio, Itard attuò una serie di atti importantissimi per la futura
disciplina: l’osservazione diretta ed empirica del fanciullo, l’osservazione sia in condizioni spontanee che provocate, la redazione di una diagnosi funzionale completa sulla funzione motoria, percettiva,emotiva, affettiva, intellettiva, linguistica e sociale, infine, l’elaborazione di un progetto educativo per mete, obiettivi ed ipotesi di lavoro.
Itard partì dalla considerazione che il fanciullo selvaggio, non potendo essere confrontato con
nessun altro individuo, doveva essere studiato nella sua singolare unicità e doveva essere
confrontato solo con se stesso . Per questo motivo, lo studio del medico pedagogista sul fanciullo
procedette attraverso l’osservazione empirica e fenomenica dei comportamenti e attraverso il
coinvolgimento delle funzione biologiche complete della persona.
Rilevando la stretta relazione tra l’educazione e lo sviluppo delle funzioni umane, Itard pone le basi
professionali per la pedagogia clinica. Itard costruì l’impianto della pedagogia clinica basandosi essenzialmente su diversi paradigmi, come la distinzione organico-funzionale riguardante la duplice natura delle patologie e dei comportamenti umani, arrivando ad intuire se i deficit mentali sono congeniti o acquisiti ed applicando progetti educativi specifici e calibrati sul deficit riscontrato. Per arrivare a questo, occorre però partire dal presupposto dell'educabilità dell'uomo in qualsiasi momento delle a vita, infatti, partendo dal concetto che il fanciullo selvaggio, sollecitato dagli interventi educativi dello stesso medico, poteva pervenire ad uno sviluppo delle capacità biopsichiche, si può affermare che tutti gli individui sono perfettibili e quindi possono essere
sottoposti ad interventi educativi che ottimizzino le funzioni evolutive.
Itard mette al centro del proprio lavoro l’osservazione con l'intento iniziale di lasciarsi coinvolgere emotivamente, cognitivamente ed affettivamente nella situazione di studio, ma distaccandosene alla fine per elevarsi al livello di interprete degli stati emotivi dell’individuo in osservazione.
Un altro importante punto cardinale di questo impianto risiede nel primato corporeo e sensoriale, mettendo l’accento sul condizionamento che le condotte e gli stati psicologici delle persone subiscono dalla biologia. L’azione diagnostica deve pertanto cominciare dalla dimensione corporea e sensoriale, tenendo conto dell'importanza di considerare l'individuo non come una sommatoria di parti a se stanti ma come una totalità integrata. Con il termine “ecologia”si intende una presa in carico totale, infatti, Itard voleva tentare un approccio globale all’intera personalità dell’individuo, cercando di valutare tutti gli aspetti dell’intera unità bio-psichica operante (motori, percettivi, logici, linguistici, emozionali, affettivi, sociali, morali).
Tale paradigma è importante perché lo sviluppo intellettivo e lo sviluppo fisico di una
persona avvengono simultaneamente e si influenzano a vicenda. Occorre comunque ricordare che il termine “clinico” non è mai stato utilizzato da Itard, ma è stato da lui messo in pratica,
nel senso che, studiando il fanciullo selvaggio, ha adottato un atteggiamento empirico
(diretto e ravvicinato, ai piedi del letto), ecologico (ha osservato tutti gli aspetti della
persona), adattivo (ha sperimentato modalità plurali individualizzate).
Per arrivare a questo, Itard ha utilizzato materiali che ha inventato, modificato,
perfezionato e che oggi costituiscono un importante corredo del lavoro del pedagogista. Tali
materiali itardiani sono stati utilizzati successivamente da Montessori, Decroly, Vigotskij. Insomma, questi contributi sono stati l'alimento principale che hanno consentito alla pedagogia di ergersi a pedagogia scientifica e Itard, con la sua formazione medica, ha veicolato l’idea della duplice
funzione della pedagogia che deve muoversi entro i versanti dello sviluppo umano e dei
processi educativi. Ciò anticipa il carattere transdisciplinare della pedagogia che mutua le
conoscenze da altre scienze affini come la neurologia, la psicologia, la sociologia, la
filosofia, per utilizzarle sinergicamente, senza pregiudiziale distinzione di campo,
nell’approccio ecologico alla persona. E' da questo che scaturisce l'idea del progetto, inteso come un “guardare avanti” al fine di costruire un precorso evolutivo, certi della base dalla quale partiamo; dopo il primo lavoro di diagnosi, infatti, occorre elaborare il progetto basato sugli
obiettivi da raggiungere e sulla verifica degli apprendimenti attesi e dei comportamenti
manifestati[42].
E’ un percorso a due o più persone. E’ possibile così esplorare aspetti di margine di possibili transizioni legate alla vita vissuta da ciascuno.
Il contributo della Psicoanalisi rende molto efficace la teoria pedagogica clinica qui proposta, facendo attenzione però a non confondere i ruoli e chiarendo che non esiste la pretesa di fare gli psicologi o gli psicoanalisti, perché, prima di tutto non c’è la preparazione adatta e poi perché il sapere psicoanalitico non viene utilizzato per interpretare il mondo interno dei soggetti, ma viene utilizzato come schema di analisi e decodificazione di elementi fantasmatici e rappresentazionali. Il concetto di Clinica, comunque, oltre a basarsi sullo schema di analisi e decodificazione della pratica psicoanalitica, prevede, esattamente come la precedente, un setting specifico e variabile ad ogni situazione in cui si deve entrare per conoscere i particolari e i processi dinamici che vogliono una risposta.
Il setting o situazione è uno specifico spazio simbolico, se non fisico (come l’aula o una stanza) in cui poter svolgere un’azione; questo contesto si costruisce da sé col gioco delle relazioni e dei rapporti tra gli attori della situazione e possiede regole e ruoli che si possono modificare facilmente.
L’atteggiamento clinico è, perciò, attento allo spazio istituzionale, a quello simbolico del gioco relazionale e del suo contesto ed è per questo che nel metodo clinico sono presenti sia la dimensione esperienziale che quella sperimetale (di ricerca)[40].
E’ un processo circolare di teoria-prassi, cioè un continuo confronto della ricerca con l’esperienza, nel suo processo evolutivo (Ermeneutica), inoltre, ma non per ultimo come importanza, c'è l' aspetto fondamentale legato alla dimensione linguistica, infatti, non si possono conoscere i propri bisogni se non attraverso la comunicazione linguistica.
La pedagogia clinica lavora proprio su ciò che si dice, sul modo in cui vengono esposti i problemi, sul modo di esprimersi e sul linguaggio usato dai soggetti che devono produrre dei testi scritti, basandosi molto sulle proprie esperienze personali. Partendo da qui, si fa un’ interpretazione per vedere come si parla della Formazione, cosa si pensa, come la si definisce.
In questi scritti c’è una dimensione nascosta che rinvia all’idea di latenza di formazione, sono cioè gli elementi che, nel racconto, vengono lasciati in ombra durante il percorso educativo.
Questa latenza si riferisce ad aspetti della formazione meno percepiti e più impliciti. Infatti, la radice etimologica della parola lat rinvia all’idea di rifugio o luogo protetto e appartato, come una nicchia, un proprio spazio interno, nel quale si possono decodificare e decostruire le rappresentazioni mentali e i vissuti affettivi di esperienze della circostanza per capire i meccanismi processuali a cui danno luogo, per poi interpretarli.
In sintesi gli elementi fondanti della clinica della formazione e quindi della pedagogia clinica stessa, sono da una parte la dimensione esperienziale cheriguarda l’esperienza di tutti i giorni, dall'altra la dimensione sperimentale che è la vera e propria ricerca, che si può fare anche con elementi che esulano lo specifico psicoanalitico, fino ad arrivare alla dimensione linguistica, legata appunto al linguaggio parlato, il tutto, si realizza all'interno di una complessa dinamica, di un processo, appunto, circolare (ermeneutico) di teoria-prassi[41].
Anche Crispiani ha dedicato molte ricerche in favore della pedagogia clinica per meglio definire tra l'altro, la figura del pedagogista clinico, ipotizzando metodi, strumenti, lessico e ambiti di lavoro. Per Crispiani si deve ad Itard, medico e pedagogista dei primi dell’Ottocento, la nascita della pedagogia clinica , intesa come connubio tra scienze dello sviluppo e scienze dell’educazione che oggi è alla base della scientificità della pedagogia.
Lo studio condotto da Itard sul fanciullo selvaggio portò alla individuazione di diverse fasi utili
nell’ambito specialistico: la distinzione tra condizioni organiche e funzionali, la dipendenza
formativa dalla situazione di vita, il condizionamento dell’azione educativa da parte di disabilità,
ritardi e deprivazioni.
Nell’osservare il fanciullo selvaggio, Itard attuò una serie di atti importantissimi per la futura
disciplina: l’osservazione diretta ed empirica del fanciullo, l’osservazione sia in condizioni spontanee che provocate, la redazione di una diagnosi funzionale completa sulla funzione motoria, percettiva,emotiva, affettiva, intellettiva, linguistica e sociale, infine, l’elaborazione di un progetto educativo per mete, obiettivi ed ipotesi di lavoro.
Itard partì dalla considerazione che il fanciullo selvaggio, non potendo essere confrontato con
nessun altro individuo, doveva essere studiato nella sua singolare unicità e doveva essere
confrontato solo con se stesso . Per questo motivo, lo studio del medico pedagogista sul fanciullo
procedette attraverso l’osservazione empirica e fenomenica dei comportamenti e attraverso il
coinvolgimento delle funzione biologiche complete della persona.
Rilevando la stretta relazione tra l’educazione e lo sviluppo delle funzioni umane, Itard pone le basi
professionali per la pedagogia clinica. Itard costruì l’impianto della pedagogia clinica basandosi essenzialmente su diversi paradigmi, come la distinzione organico-funzionale riguardante la duplice natura delle patologie e dei comportamenti umani, arrivando ad intuire se i deficit mentali sono congeniti o acquisiti ed applicando progetti educativi specifici e calibrati sul deficit riscontrato. Per arrivare a questo, occorre però partire dal presupposto dell'educabilità dell'uomo in qualsiasi momento delle a vita, infatti, partendo dal concetto che il fanciullo selvaggio, sollecitato dagli interventi educativi dello stesso medico, poteva pervenire ad uno sviluppo delle capacità biopsichiche, si può affermare che tutti gli individui sono perfettibili e quindi possono essere
sottoposti ad interventi educativi che ottimizzino le funzioni evolutive.
Itard mette al centro del proprio lavoro l’osservazione con l'intento iniziale di lasciarsi coinvolgere emotivamente, cognitivamente ed affettivamente nella situazione di studio, ma distaccandosene alla fine per elevarsi al livello di interprete degli stati emotivi dell’individuo in osservazione.
Un altro importante punto cardinale di questo impianto risiede nel primato corporeo e sensoriale, mettendo l’accento sul condizionamento che le condotte e gli stati psicologici delle persone subiscono dalla biologia. L’azione diagnostica deve pertanto cominciare dalla dimensione corporea e sensoriale, tenendo conto dell'importanza di considerare l'individuo non come una sommatoria di parti a se stanti ma come una totalità integrata. Con il termine “ecologia”si intende una presa in carico totale, infatti, Itard voleva tentare un approccio globale all’intera personalità dell’individuo, cercando di valutare tutti gli aspetti dell’intera unità bio-psichica operante (motori, percettivi, logici, linguistici, emozionali, affettivi, sociali, morali).
Tale paradigma è importante perché lo sviluppo intellettivo e lo sviluppo fisico di una
persona avvengono simultaneamente e si influenzano a vicenda. Occorre comunque ricordare che il termine “clinico” non è mai stato utilizzato da Itard, ma è stato da lui messo in pratica,
nel senso che, studiando il fanciullo selvaggio, ha adottato un atteggiamento empirico
(diretto e ravvicinato, ai piedi del letto), ecologico (ha osservato tutti gli aspetti della
persona), adattivo (ha sperimentato modalità plurali individualizzate).
Per arrivare a questo, Itard ha utilizzato materiali che ha inventato, modificato,
perfezionato e che oggi costituiscono un importante corredo del lavoro del pedagogista. Tali
materiali itardiani sono stati utilizzati successivamente da Montessori, Decroly, Vigotskij. Insomma, questi contributi sono stati l'alimento principale che hanno consentito alla pedagogia di ergersi a pedagogia scientifica e Itard, con la sua formazione medica, ha veicolato l’idea della duplice
funzione della pedagogia che deve muoversi entro i versanti dello sviluppo umano e dei
processi educativi. Ciò anticipa il carattere transdisciplinare della pedagogia che mutua le
conoscenze da altre scienze affini come la neurologia, la psicologia, la sociologia, la
filosofia, per utilizzarle sinergicamente, senza pregiudiziale distinzione di campo,
nell’approccio ecologico alla persona. E' da questo che scaturisce l'idea del progetto, inteso come un “guardare avanti” al fine di costruire un precorso evolutivo, certi della base dalla quale partiamo; dopo il primo lavoro di diagnosi, infatti, occorre elaborare il progetto basato sugli
obiettivi da raggiungere e sulla verifica degli apprendimenti attesi e dei comportamenti
manifestati[42].
Insomma, da
quanto detto emerge chiaramente la centralità della fenomenologia del
cambiamento all'interno dell'agire pedagogico e ne è stata chiaramente esposta
la sua fisica più profonda. Occorre adesso però introdurre all'interno del
quadro concettuale della pedagogia professionale la variabile umana, ossia
l'elemento destrutturante che ha il pregio di rendere visibili nella loro
materilità i concetti esposti, così da poter effettivamente affermare che ciò
che abbiamo messo sotto analisi e sottoposto ad un agire intenzionale
(educativo), possa essere al termine dirsi effettivamente
<<cambiato>>-
Detto questo
occorre allora cominciare a ragionare anche su altri elementi necessari
all'azione pedagogica, quali ad esempio il tempo
lasciato all'educando e considerare gli spazi necessari, affinchè il
processo educativo possa effetivamente avvenire anche a livello emozionale,
cogliendo le novità che qui si propongono. Conoscenze, stili di vita e
comportamenti appresi devono inoltre essere soggetti a reversibilità ossia alla possibilità per il soggetto di rimanere
libero di scegliere di non continuare ad essere sempre uguale a se stesso,
oltre naturalmente alla direzione,
ossia gli atti messi in opera dall'educando e dal pedagogista seguono
necessariamente uno scopo ben definito. C'è da chiedersi però se il successo
dell'attività formativa, ossia il cambiamento auspicato che si verifica, sia
dovuto alla personalità del pedagogista, alla sua <<voglia>> e
quindi alle sue caratteristiche più umane anziché professionali. Se così fosse,
dovremmo ammettere che per il pedagogista sia sufficiente una buona dose di
volontà e di pazienza per raggiungere i risultati attesi, tuttavia, come ben ricorda
Demetrio, atteggiamenti di questo tipo non possono andar oltre il mero
assistenzialismo, in un'ottica squisitamente pedagogica, invece, quello che
interessa è modificare la situazione esistenziale del soggetto, nonostante
l'incertezza (o le incertezze) situazionali, soggettive, occasionali, etc., che
costantemente si manifestano all'interno della relazione educativa. Accettare
la sfida della instabilità significa decidere di abbandonare l'ottica
assistenziale, (che vuol mantenere la condizone dell'individuo così come si
manifesta nel qui ed ora) per proiettarsi invece nel pieno delle dinamiche
formative, rimettendo sempre in discussione mezzi e finalità, in vista del
traguardo da raggiungere[43].
La sfida
pedagogica, professionalmente intesa, non accetta di adagiarsi in se stessi o
su gli altri ma stimola a reagire costantemente, aiutando a convogliare forze,
risorse ed energie affinchè il soggetto riesca ad uscire dalla propria
difficoltà. Aiutare a capire, a riflettere, a stare con gli altri, ad accettarsi,
significa proprio predisporre uno spazio (fisico e relazionale insieme)
affinchè il cambiamento possa manifestarsi, mettendo il soggetto nella
condizione di poter utilizzare gli strumenti messi a disposizione dalla
relazione e cominciare così a rielaborare vecchi schemi per proporre forme
nuove, arricchite da pratiche e stili comunicativi diversi.
La pedagogia
professionale orienta gli sforzi verso la possibilità di costruire una
relazione educativa tale, da consentire
al soggetto di ripensarsi e ricomprendersi all'interno di una cornice formativa
più ampia rispetto a quella vissuta fino ad allora, così da collocarsi e
riorientarsi in maniera piùfunzionale, in armonia con la propria natura più
autentica.
La
pedagogia professionale gioca insomma le sue carte in un preciso ambito, quello
della cura (di cui avremo modo di parlare più avanti), tenendo conto del
<<caso>> ossia della specificità della situazione che andiamo ad
affrontare e dell'unicità ed irripetibilità del soggetto con il quale entriamo
in relazione. La pedagogia professionale si coagula all'interno di un contesto
denso di problematicità e di complessità, di incertezze e di equilibri
instabili che necessitano di continui ripensamenti ed aggiustamenti affinchè le
azioni educative non si rivelino eccessivamente intrusive e quindi prive di una vera e propria caratura formativa, né
troppo lasciate al caso perchè si corre altrimenti il rischio di lasciare il
soggetto sprovvisto di orientatori e di regolatori, necessari per prevenire
ogni forma di deriva esistenziale. Molti possono essere i fattori che
compongono una problematica pedagogica: le difficoltà delle relazioni
genitori-figli, gli svantaggi sociali, i conflitti culturali, l'inserimento
delle persone diversamente abili, il reinserimento dei detenuti, la
riabilitazione dei tossico-dipendenti etc, sono tutti fattori che possono
essere oggetto di specifici interventi educativi oppure possono far parte di un
insieme di elementi problematici rilevanti per l'agire pedagogico.
Educare significa "tirar fuori" ciò che è dentro alla persona: significa cioè valorizzare quanto di meglio ci sia potenzialmente in un individuo. L'educazione consiste in un rapporto tra due persone: un educatore ed un educando. Il pedagogista deve adeguarsi (e di conseguenza adeguare l'intervento educativo) al livello dell'educando, comprendendo i suoi bisogni e incentivando le sue competenze[44].
Educare significa "tirar fuori" ciò che è dentro alla persona: significa cioè valorizzare quanto di meglio ci sia potenzialmente in un individuo. L'educazione consiste in un rapporto tra due persone: un educatore ed un educando. Il pedagogista deve adeguarsi (e di conseguenza adeguare l'intervento educativo) al livello dell'educando, comprendendo i suoi bisogni e incentivando le sue competenze[44].
Il concetto di clinica in Pedagogia
Le ricerche
pedagogiche ultimamente sono sempre più indirizzate in settori che hanno a che
fare con l'ambito clinico[45],
evidenziando come sia importante centrare l'attenzione sulle abilità sommerse
del soggetto al fine di recuperarle e nutrirle, anziché considerare unicamente
gli aspetti deficitari o mancanti. Declinare in senso clinico la pedagogia vuol
dire considerare questa disciplina in un'ottica individuale, centrata sul
singolo e sulla specificità del soggetto
in questione, in un preciso preciso contesto di vita. Il pedagogista allora,
assumendo un ruolo di tipo clinico, si preoccuperà di assumere il ruolo
osservatore non distaccato ma in relazione, con intenti diagnostici,
progettuali e di intervento, portati in modo estremamente ravvicinato e
seguendo un preciso iter che tenga conto degli obiettivi preposti e dei bisogni
educativi più emergenti (mai definiti in modo stabile ed univoco ma sempre da
rimettere in discussione, accordando l'osservazione con i bisogni nuovi del
soggetto che di volta in volta si presentano e chiedono di essere interpretati
alla luce della situazione di vita presente).
L'ottica
clinica prevede l'assunzione di due concetti cardine, intorno ai quali ruota
tutta la disciplina pedagogica professionale: l'individualità e l'empirismo.
La prima ha a che vedere con l'azione intellettuale e professionale orientata
sulla singolarità e la specificità dei casi, come già accennato in precedenza,
rilevando particolarità ed eccezioni dalle condotte di gruppi, individui, ecc.
La seconda ha
a che vedere con un approccio alla situazione di tipo ravvicinato, oculare,
mantenendo comunque sempre una duplice valenza, in cui interagiscono
simultaneamente sia l'azione incentrata sull'uomo, sia quella sull'educazione.
Ecco che
allora la pedagogia clinica si propone da una parte come scienza dello sviluppo umano e dall'altra come scienza dell'educazione, attenta quindi sia all'educazione, sia ai
processi evolutivi umani (motori, sociali, intellettivi, linguistici, adattivi,
ecc.), orientata sempre nell'azione professionale specifica. Per agire in senso
clinico occorre allora conoscere i fenomeni sui quali si lavora e quindi aver
maturato conoscenze relative sia allo sviluppo umano, (ossia alle dinamiche
evolutive del singolo e dei gruppi), sia all'educazione ( relativa invece
all'andamento dei programmi didattici, scolastici, riabilitativi, formativi, ma
anche alla gestione di scuole, servizi pedagogici, ecc.).
Si viene
quindi a delineare una disciplina che si interessa della conoscenza operativa
orientata sulle diverse singolarità facendo emergere i bisogni di ciascuno in
un preciso contesto di vita. Tutto ciò è reso possibile dalle azioni
diagnostiche di competenza pedagogica (lontane quindi da quelle psicodiagnostiche) e dalle azioni
pedagogiche, pur consapevole di utilizzare conoscenze maturate sul terreno psicologico
e condividendo quindi con essa ambiti e
settori (di lavoro e di indagine) ma differenziandosi negli strumenti
utilizzati e nella tipologia di lavoro.
La pedagogia
clinica è la scienza che interessandosi dello sviluppo umano, studia i processi
evolutivi individuali attraverso una specifica diagnosi evolutiva mentre,
nell'ambito dell'educazione, indaga i processi educativi, ovvero le risorse e
le modalità dell'aiuto allo sviluppo, attraverso la formulazione di diagnosi
educative.
Gli ambiti di
indagine della pedagogia clinica sono dunque caratterizzati da una duplice
configurazione, dove ciascuna, pur abitando la medesima piattaforma clinica,
presenta specifici indicatori metodologici ed opearativi riguardanti le
condotte professionali, le procedure e gli strumenti utilizzati.
La piattaforma
pedagogica evolutiva valuta i processi evolutivi nelle singole persone,
inoltre, indaga ed interviene con gli strumenti educativi partendo da
un'osservazione ravvicinata, con attenzione alla specificità del caso, e con
riguardo a tutte le dimensioni della personalità ed ai relativi contesti di
vita.
La
piattaforma pedagogica educativa comprende un approccio valutativo ed operativo
che tiene conto della qualità dei servizi formativi e delle modalità con cui si
attivano i processi educativi, elementi centrali nella relazione di aiuto allo
sviluppo delle funzioni personali.
Ecco allora
che procedendo in questa direzione, la pedagogia clinica si confronta
necessariamente con lo stato evolutivo degli individui, il che fornisce il
senso ed il nesso necessario tra educazione e processi evolutivi, così come tra
diagnosi educativa e diagnosi evolutiva[46].
La pedagogia
clinica si determina insomma come scienza fondata sullo studio del caso e sul
metodo di indagine attraverso atti tipicamente predittivi, procedendo per
ipotesi, riscontri progressivi sul caso in esame, raccolta di dati in partenza,
revisioni delle ipotesi iniziali, ecc., focalizzando gli sforzi conoscitivi ed
operativi su entità reali e complesse, al di là di ogni ogni enunciazione
generale priva priva di visibili riscontri con l'esistente e la sua
fenomenologia.
Una pedagogia
proiettata quindi sul campo, volta a risolvere problemi specifici che si
presentano nelle diverse istituzioni educative, una disciplina
epistemologicamente matura che spinge a collocare il campo di esercizio della
pedagogia oltre l'ambito meramente conoscitivo per orientarsi invece in
direzione dei processi di formazione integrata e totale dell'uomo in tutte le
possibili condizioni di vita[47].
L'educazione
si delinea allora come processo di aiuto allo sviluppo umano, in quanto
tendente all'integrazione delle strutture biologiche, psicologiche ed operative
della persona, con il fine di favorire maggiormente la sinergia di tutte le
funzioni che compongono l'individuo.
Naturalmente
la vocazione clinica della pedagogia non è da confondersi con quella
psicologica, pur condividendo con essa l'interesse per la dimensione dinamica
evolutiva del soggetto, infatti, ogni soggetto è da considerarsi come un evento
dinamico e singolare, difficile da classificare, dove l'intervento pedagogico
non è volto a intrappolare in schemi o categorie ma ad ideare creativamente
soluzioni concrete e nuove ai fatti con i quali il clinico si trova ad operare.
Il lavoro pedagogico/clinico si declina quindi su due livelli fondamentali
irriducibli e necessari: l'elaborazione di idee/teorie fondamentali da un lato
e la sensibilità ai casi particolari e concreti dall'altro. Schemi concettuali
e generali compenetrano e si infrangono nel reale e nel singolare, fertilizzando
il terreno della relazione teoria-prassi di cui si nutre la disciplina
scientifica pedagogica[48].
La pedagogia
clinica lavora quindi cercando il connubio tra idee fondamentali (e generali) e
casi particolari affinché sia possibile procedere con razionalità scientifica e
organizzare/sistematizzare l'esperienza clinica all'interno di modelli che la
dotino di senso senza correre il rischio che rimanga isolata e priva di ogni
possibile utilizzo futuro.
Ancorando
insomma i concetti della pedagogia generale alla realtà formativa singola e
concreta, unica e soggettuale, è possibile fornire una lettura complessa ed
interpretativa dei fatti umani, procedendo oltre le parvenze e riflettendo sui
dati empirici, dai quali si ricavano sintesi originali e significative sulle
vicende formative[49].
Sviluppo ed educazione rappresentano i due
termini chiave che caratterizzano la pedagogia professionale, un dominio di
lavoro ad ampio spettro che costringe all'adozione di un adeguato statuto
epistemologico in cui si riconosca alla pedagogia sia la funzione di studio
dello sviluppo umano, sia la funzione complessa di scienza dell'educazione; un
duplice impegno che vede questa disciplina interessata allo sviluppo e all'educazione dell'uomo,
centrando l'attenzione sulle condizioni nelle quali il soggetto si forma
nell'arco della vita, senza trascurare quindi i processi apprenditivi e le
modalità di insegnamento/educazione, intesi sempre in un regime di simultaneità
continua.
La pedagogia
si identifica così con il processo formativo, andando ad indagare le giunture e
le connessioni che esistono fra educazione e sviluppo che insieme danno vita
alla scienza della formazione umana, che, in un'ottica clinica, permette di
affrontare i problemi della formazione e dello sviluppo della personalità
umana.
Il termine
clinico, abbinato alla pedagogia permette di assumere i caratteri
dell'empiricità e dell'individualità, permettendo di percepire, osservare,
studiare, diagnosticare e progettare, assumendosi la responsabilità
dell'individuo e delle sue condizioni vitali.
Lavorando con
entità discrete, reali e complesse, il pedagogista deve necessariamente
definirsi clinico, ben oltre quindi la generale convinzione che il pedagogista
debba solamente occuparsi di riflettere sul fatto educativo ed accettare una
formazione che si pensa derivi da un semplice accostamento di discipline
attinenti all'ambito formativo. Nonostante la necessaria esigenza di
confrontarsi con le discipline empiriche limitrofe (psicologia,
neuropsichiatri, antropologia, ecc.) la pedagogia clinica ha maturato aspetti
conoscitivi e metodologici tali da penetrare in profondità nella complessa
fenomenologia dell'individuo che evolve divenendo a tutti gli effetti scienza
della formazione umana, attraverso studi sia propri che di sintesi (derivanti
cioè da ambiti disciplinari affini).
Si viene a
delineare allora uno statuto epistemologico complesso aderente alla complessità
dei processi formativi a forte vocazione trans-disciplinare e tendente ad uno
stile di lavoro clinico, dove
l'attenzione è diretta tanto ai processi di sviluppo, quanto ai processi
di aiuto allo sviluppo[50].
La pedagogia
clinica si occupa quindi di condurre studi inerenti i seguenti ambiti:
1) lo
sviluppo umano riguardante i processi di crescita e maturazione concepiti in
un'ottica integrata e totale della personalità, analizzando le condizioni
soggettive ed oggetive, le tendenze e
soprattutto i fattori favorevoli od ostacolanti per valutarne la norma e il
tipo;
2) i
fini dello sviluppo ossia l'orizzonte valoriale connesso all'esistere
umano nelle dimensioni individuali, come ad esempio libertà e tolleranza,
oppure sociali, come cultura e pluralismo;
3) la
riflessione epistemologica
riguardante invece la necessità di ridefinire costantemente i confini
della scienza pedagogica clinica e le relazioni trans-disciplinari, le
procedure, i modelli e la genesi del modello di riferimento attuale;
4) la
teoria dell'educazione intesa come studio delle condizioni procedurali,
tecnologiche ed ambientali per l'aiuto dello sviluppo della personalità.
Questa sommaria sintesi serve insomma a
delineare la pedagogia intesa come scienza autonoma di natura
essenzialmente empirico-ermeneutica(basata su dati esperienziali con
aperura all'interpretazione di ciò che avviene, del vissuto e del contesto);
orientata in senso clinico (e quindi calibrata sul soggetto, la
situazione vissuta, il contesto, sempre in un'ottica ecologica); utile a
tutti gli operatori sociali e culturali che quotidianamente si confrontano con
soggetti di diversa età nei più svariati contesti (scuola, famiglia, agenzie
formativi, centri socio-educativi, studi privati, ecc.)[51].
La pedagogia clinica rappresenta allora
un'importante aspetto del sapere educativo che indaga sul campo i processi
formativi (evolutivi+educativi) con atteggiamento analitico, sulle dimensioni
corporea, psicologica ed operativa della personalità e sulle funzioni che che i
soggetti manifestano nel loro agire quotidiano.
La scienza clinica in un'ottica pedagogica
assume una forma progettuale capace di corrispondere alla piena originalità di
ogni situazione formativa, capace di tener conto delle dverse dimensioni
soggettive (cognitive, affettive, creative, ecc.) e focalizzarle sotto una
lente interpretativa ed intuitiva, rispettando la singolarità di ogni situazione.
Ecco perchè la procedura pedagogica può definirsi a ragione come disciplina ermeneutica-clinica,
come già avviene per altre discipline ad essa affine.
Il lavoro pedagogico inteso in
quest'ottica si centra sulle differenze individuali, sui problemi e sui bisogni
educativi delle persone, progettando trattamenti di aiuto a misura di ciascuno
o delle specifiche situazioni e allo stesso tempo organizzando interventi
educativi individuali, ed orientati verso la singolarità dei casi.
Accennando ai bisogni educativi
necessariamente il pensiero si dirige anche nella direzione dei soggetti che
presentano patologie dello sviluppo ed anche qui, infatti, la pedagogia clinica
risponde attraverso un approccio conoscitivo della patologia ma anche
conoscitivo e prescrittivo dell'educazione speciale, pianificando interventi di
aiuto adeguati alle realtà evolutive più complesse e problematiche, adottando
uno stile clinico di natura empirica, individuale, ecologica, scientifica,
differenziale, ermeneutica, progettata e sensibile alle differenze.
In sintesi la pedagogia clinica è
definibile come scienza empirico-ermeneutica che osserva, descrive e teorizza i
processi della formazione umana, studiando sia lo sviluppo umano, sia le
condizioni dell'aiuto allo sviluppo (educazione), tenendo presente l'andamento
evolutivo di quel soggetto e dei suoi bisogni educativi[52].
Molte, come abbiamo accennato, sono le
discipline e le attività umane che si occupano di indagare la personalità umana
al fine di conoscerla, curarla, descriverla e definirne i tratti, per cui, la
scienza pedagogica dinamizza intense relazioni di scambio e di parziale
sovrapposizione, che abbiamo definito relazioni
trans-disciplinari mediante studi propri e studi di sintesi che fanno
parte, anche se non in maniera esclusiva, della sua consapevole identità
epistemologica, come, ad esempio, la fisiologia, la fisiatria, la neurologia,
la psichiatria, la psicologia, l’etologia, il diritto, l’auxologia, ecc.
La pedagogia intesa come scienza dello
sviluppo, ha comunque la sua specificità che riguarda il nocciolo centrale
dell’educazione, ossia, lo sviluppo umano inteso in tutta la sua complessità,
con i suoi cambiamenti organici e funzionali, la crescita, l’adattamento a
nuove situazioni, il mutamento, ecc.
Una pedagogia questa, che lavora
espressamente sullo sviluppo corporeo/biologico, motorio, emotivo,
psicomotorio, affettivo, percettivo,intellettivo, linguistico e sociale, che,
diversamente dalla psicologia (tesa ad inquadrare in maniera istantanea e
fotografica le diverse funzioni umane), privilegia l’approccio diacronico, relativo ai mutamenti a ciò che cambia,
all’andamento evolutivo del soggetto, attraverso uno sguardo ecologico, diretto
cioè all’interezza dell’individuo.
L’approccio
diacronico si intreccia poi con quello sincronico,
realizzando una conoscenza integrata ed ecologica dello stato di maturazione di
ciascun individuo in relazione all’evoluzione constatata nei diversi ambiti di
funzioni (motricità, linguaggio, socialità, ecc.) ed alle condizioni di vita del
soggetto, ricavando da questa lettura incrociata l’evento formativo dei casi
singoli, che si presenta come un’articolata sintesi di questioni relative alle
dinamiche di personalità, allo sviluppo di aree funzionali e alla loro
reciproca correlazione[53].
La pedagogia clinica opera al fine di
definire le tendenze evolutive umane nei diversi contesti di vita, accettando
convergenze e contributi dalla psicologia sperimentale, l’etnologia,
l’antropologia, al fine di elaborare un profilo
evolutivo contestualizzato, che servirà come fondamento per redarre una diagnosi evolutiva clinica in grado di
prendere in carico totalmente o almeno in parte lo sviluppo dei sistemi
biologici, psicologici e delle capacità operative del soggetto. Con la raccolta
dei dati (osservazione; tavole evolutive corporee, motorie, sociali,
ecc.;narrazioni, colloqui…) e la stesura della diagnosi evolutiva clinica, la
pedagogia come scienza dello sviluppo umano elabora e controlla costantemente gli strumenti
tecnologici più adeguati nel rilevare la complessità umana, attendibili da un
punto di vista conoscitivo pedagogico[54].
La pedagogia clinica, consolidandosi come
scienza dello sviluppo si occupa in definitiva di: acquisire solide conoscenze
nell’ambito delle teorie generali dello sviluppo; valutare le tendenze
evolutive nel contesto attraverso confronti con le tipicità dello sviluppo;
effettuare diagnosi evolutive cliniche; elaborare ed acquisire strumenti di
osservazione e diagnosi; prevedere l’andamento evolutivo di quel soggetto specifico.
Dotata di autonomia disciplinare, la pedagogia clinica acquisisce allora un
preciso statuto epistemologico munendosi
di oggetto di lavoro, scopi, metodi e relazioni disciplinari; i dati
conoscitivi sono estrapolati sia dalle ricerche sul campo, quindi cliniche, sia
dalle sintesi delle conoscenze elaborate da discipline similari.
La pedagogia intesa come scienza empirico
ermeneutica che è chiamata ad impegnarsi sul campo, ha insomma un suo preciso
ruolo: osservare, descrivere e teorizzare i processi di sviluppo integrato e
totale dell’uomo, considerando le condizioni che lo agevolano e lo ostacolano
in un confronto con l’andamento normale o tipico dello sviluppo.
Pedagogia
clinica e scienze dell’educazione: l’aiuto allo sviluppo
Il modo di pensare e condurre l’educazione
nei diversi contesti è certamente mutato nel tempo poiché sono cambiate le
sedi, le fonti, gli stili e gli scopi da raggiungere; oggi le moderne scienze
dell’educazione individuano importanti fattori che contribuiscono in maniera rilevante
ad aiutare lo sviluppo delle potenzialità umane in ogni aspetto e momento
esistenziale. L’educazione presta attenzione quindi ai processi evolutivi,
attraverso l’assunzione di concetti essenziali come: relazione d’aiuto,
attenzione simultanea a tutte le aree di funzioni della personalità
(ecologica), il carattere permanente (interesse per tutto l’arco della vita del
soggetto), intenzionalità, sistematicità e la clinica.
Le scienze dell’educazione (con le sue
diverse modalità di manifestarsi, le sue articolazioni trans-disciplinari, come
psicologia, sociologia, filosofia, psicoterapia,ecc. e sub-disciplinari, come
metodologia, didattica, docimologia, educazione speciale, ecc.) operano
direttamente per l’educazione, innervando la pedagogia stessa di quei saperi
empirici che le permettono di intervenire intenzionalmente nella formazione
umana, attraverso l’aiuto allo sviluppo e collocandosi necessariamente in un
deicato ambito di complessità.
Una pedagogia che è prospettica,
conoscitiva e descrittiva, in sintesi progettuale, capace di promuovere studi,
ricerche e veicolare esperienze, debordando dai confini tradizionali delle
competenze solo scolastiche e relative all’infanzia. Nell’ambito della
pedagogia clinica l’educazione diviene il principale vettore che consente di
direzionare e canalizzare gli sforzi operativi nei confronti di soggetti di
tutte le età: il bambino che cresce, l’adulto che cambia stato civile,
culturale o professionale, l’anziano chiamato ad adattarsi a nuovi regimi di
operatività o socialità. Ogni individuo affrontando un cambiamento, necessita
spesso di un aiuto per riuscire a
sostenere il carico dello sforzo, per tollerare frustrazioni, delusioni,
sconfitte, o per trovare gli stimoli necessari e le vie di uscita da una
situazione ormai stagnante e priva di ogni aspettativa futura[55].
L’educazione modernamente intesa si occupa
quindi di progetti formativi e progetti educativi inerenti il tempo libero,
l’educazione permanente, l’orientamento e l’aggiornamento professionale e
formativo, l’educazione familiare, la formazione sportiva, l’architettura e
l’arredo di spazi sociali, il trattamento per tossico-dipendenze e devianze,
ecc.
La pedagogia, lavora insomma su tutti gli
ambiti dell’educazione e su ogni condizione che influenza l’andamento dello
sviluppo/adattamento dell’individuo di ogni età, attraverso: osservazione e
valutazione del comportamento e dell’apprendimento; strategie
dell’apprendimento; tecnologie educative, come didattiche, progettazioni,
sussidi, procedure, ecc; epistemologia generale, epistemologie disciplinari,
educazione permanente, conduzione di servizi, mediazioni, trattamenti,
formazione nei diversi ambiti.
In un’ottica clinica però, occorre sempre
eleggere ad interlocutore la singolarità dei casi individuali, delle situazioni
e degli ambienti, mantenendo stretta aderenza con le diverse specificità, così
da progettare interventi educativi organici e sistematici, mirati ai bisogni ed
alle necessarie strategie di aiuto attraverso la stesura di una adeguata diagnosi educativa clinica. La pedagogia si munisce quindi, soprattutto
in fase conoscitiva dello sviluppo umano, di adeguate tecnologie dell’educazione al fine di ricercare e teorizzare i modi
dell’intervento pedagogico. Le varie tecnologie (strumenti di controllo, intervento
e previsione) consentono di consolidare le risorse sia procedurali che
strumentali, utili per la miglior resa dell’intervento educativo, fornendo un
assetto tecnico che insiste su: metodo, didattica, curricolo, programmazione,
valutazione/controllo, sussidi, organizzazione, sperimentazione.
Pur frammentandosi nelle diverse scienze
dell’educazione e complessificandosi nelle discipline settoriali, la pedagogia
riporta sempre a sé il risultato delle ricerche condotte nei diversi ambiti,
garantendo fonti di scientificità per
la costruzione della teoria dell’educazione, per la quale esiste dunque una fisionomia autentica[56]
.
Come scienza dell’educazione, la pedagogia
clinica si preoccupa allora di osservare, descrivere e teorizzare i processi di
aiuto allo sviluppo umano, le condizioni che lo agevolano o lo ostacolano ed i
progetti educativi, formulando attendibili diagnosi educative e progetti
educativi ad hoc.
In sintesi, all’educazione, che si
organizza in riferimento all’ampio ambito della formazione, oltre quindi il
classico approccio che vede questo complesso processo proiettato negli spazi
della trasmissione culturale o dell’addestramento, si addicono alcune
importanti connotazioni che, come abbiamo visto, orientano le scelte
pratico-operative del clinico. Occorre qui riassumerle per approfondire il
discorso: individualità dei soggetti,
dei problemi dei gruppi e delle situazioni, nel riscontro cioè con la persona
singola o con quello specifico contesto; empiricità
o immediatezza dell’approccio conoscitivo, diagnostico, valutativo, senza la
quale non si accede alla dimensione propria e singola dell’individuo; ecologia intesa come assunzione della
totalità del fenomeno formativo, di tutte le componenti della personalità, dei
contesti, delle azioni dirette ed indirette, del curricolo formativo[57].
Questi tre elementi rappresentano la
piattaforma fondamentale su cui si eleva l’intero edificio dell’educazione clinica che si interessa con
sensibilità operativa alla soggettualità dei casi e delle situazioni, cercando
indizi e tracce importanti per aiutare il miglior sviluppo possibile dei
soggetti in formazione, con riferimento alla singolarità dei loro percorsi.
Le scienze dell’educazione, declinate in
senso clinico pongono l’attenzione ai momenti più significativi della
formazione umana del soggetto: diagnosi o conoscenza dei casi, individuazione
dei bisogni/problemi e delle diversità, progettazione di interventi, controllo
dei processi formativi. L’educazione come
attività clinica è allora centrata sul qui ed ora, con soggetti
particolari, in quella situazione, in presenza di queste precise figure,
aderente cioè ai casi e ai bisogni di aiuto espressi.[58]
Concepire l’educazione in questi termini
significa in definitiva valorizzare le differenze individuali, dei gruppi e
delle situazioni, lavorando su di esse per esaltarle, sollecitarne la miglior
esplicitazione o le opportunità di recupero a seconda delle situazioni,
scartando quindi procedure e stili univoci uguali per tutti sempre e comunque,
a favore invece di interventi individualizzati, dove il modello di riferimento
è la diversità intesa come risorsa culturale e di competenza da sviluppare.
Si realizza così il progetto di
un’educazione che, intesa in senso clinico, promuove un forte investimento
conoscitivo-diagnostico, inteso come esaltazione della soggettualità adattando
continuamente programmi, progetti ed interventi al fine di tutelare sempre le
diversità, i talenti o le disabilità delle persone con cui siamo in relazione.
E’ in questo terreno, in cui i processi
formativi si focalizzano passando dal generale al particolare, o meglio, alla
singolarità e soggettualità, che l’educazione si attrezza per svolgere il
proprio compito di individualità, empiricità ed ecologia, ossia di clinicità,
calibrandosi come aiuto intenzionale e scientificamente orientato, recato ai
processi evolutivi di ciascun individuo, in relazione a precisi bisogni
soggettuali[59].
L’educazione si connota di nuovi tratti
rispetto al passato, non riconoscendosi più come semplice trasmissione
culturale ma come più complesso aiuto ai processi evolutivi, ossia come
relazione di aiuto, orientandosi in senso ecologico a tutte le aree della
personalità umana, prestando attenzione ai processi evolutivi individuali.
L’educazione intesa in senso clinico
osserva le condizioni di ingresso di ciascuno ( è quindi diagnostica), rileva
le tipicità e i disagi, va oltre l’omologazione ma tende all’individualità, è
consapevole, progettata, dotata di tecnologia e controllata. L’educazione tende
quindi a promuovere lo sviluppo integrato della personalità anziché
selezionarla e si adatta all’individualità dei casi, centrandosi sul soggetto
in maniera permanente, senza identificarsi solo con la scuola o con la
famiglia, ma proiettandosi in sedi plurime, perseguendo fini assoluti (quindi
astorici e assiologici)ed istituzionali, ossia in quel preciso contesto storico
e culturale[60].
Le
finalità dell’educazione clinica rientrano nell’ordine di competenze che si
intende promuovere e che rendono possibile l’attività individuale, tenendo
presente sia le competenze culturali
che le competenze funzionali. Per
competenze culturali si intendono i saperi, i linguaggi, le esperienze, le
norme morali, il senso comune, civile, ecc., che tutte insieme realizzano la dimensione sapienziale dell’educazione.
Per competenze funzionali, invece, si
considerano quelle inerenti le funzioni
della personalità, ossia, le capacità corporee e psicologiche che la
costituiscono, quindi i movimenti, le emozioni, le percezioni, l’intelligenza,
il linguaggio, ecc.
Integrando questi aspetti tra loro
otteniamo lo stato evolutivo
dell’individuo restituendo quindi il concetto di educazione come una totalità
di parti che costituiscono un insieme organizzato ed omogeneo che abbiamo più
volte definita ecologica; tutto
questo comporta uno spostamento di posizione dell’impianto culturale che cede
il posto di centralità ai processi formativi mediante i quali il
soggetto in educazione tende allo sviluppo delle proprie potenzialità, in
relazione alle condizioni ambientali in cui vive[61].
Le scienze dell’educazione, interessandosi
alla prospettiva dello sviluppo integrale
della personalità, corrisponde ad una duplice valenza pedagogica: in senso
etico come aderenza piena alla natura individuale e compita della persona; in
senso integrato come indissolubilità dei vincoli tra le diverse aree che
compongono l’uomo (schemi motori, psicomotori, emozioni, prestazioni
intellettive, ecc.).
Ci poniamo così facendo ben lontani dal
tradizionale modello dell’insegnamento inteso unicamente come trasmissione di
valori e cultura, per assumere invece
quello più moderno connesso ai processi formativi della personalità in ogni suo
aspetto, intervenendo là dove l’uomo manifesti l’esigenza di adattarsi a nuove
condizioni sociali o ambientali, oppure di apprendere comportamenti e capacità,
anche culturali.
Le procedure educative sono così rivolte a
sollecitare dinamiche affettive/motivazionali, ed intellettive, oppure attivare
o sostenere, o ancora, ridurre o bloccare l’azione del soggetto, sempre al fine
di favorire la realizzazione delle potenzialità individuali. L’educazione
clinica fa proprio il concetto che vede nel processo di apprendimento la piena
partecipazione cognitiva del soggetto, facendo assumere a questi il ruolo di
protagonista nella costruzione del proprio sapere, sollecitando ed orientando i
processi di metacognizione, ovvero, di imparare
ad imparare, mediante strategie per migliorare il funzionamento mentale o
il comportamento in genere, con un uso più efficace delle funzioni cognitive
(memoria, logica, percezione) e l’autoregolazione nell’apprendimento[62].
La maturazione bio-psichica dell’individuo,
geneticamente disposta e gli spontanei apprendimenti favoriti dall’ambiente, si
combinano insieme la cui singolare sintesi è lo sviluppo umano, infatti, l’educazione genera ed orienta la formazione umana. Lo sviluppo e
l’educazione rappresentano i due vettori di cambiamento che orientano il
processo formativo all’interno del quale rimangono attive sia le tendenze
evolutive dell’individuo, sia l’intervento educativo intenzionale. La
formazione congiunge le spinte evolutive del soggetto che si forma con le
molteplici indicazioni educative attivate a loro vantaggio, in modo da rendere
la persona simultaneamente oggetto e soggetto, destinatario e protagonista
della propria realizzazione personale. La formazione umana consiste
nell’integrazione di processi[63]
di sviluppo (intasi come maturazione ed apprendimenti spontanei nell’ambiente)
con l’educazione (diretta ed indiretta). L’educazione si delinea allora come un
vero e proprio processo di umanizzazione in quanto si svolge in direzione
dell’intera organizzazione della personalità e quindi di tutte le funzioni
bio-psichico-operanti dell’individuo, valido per condurre chiunque a raggiungere
la più elevata forma di umanità consentitale dalle sue tipiche condizioni
soggettive ed oggettive.[64]
Per questo non è sbagliato dire che
l’educazione opera su tutte le strutture biologiche, psicologiche ed operative
della personalità, soggetti all’influenza ambientale e, quindi, modificabili
(educabili) perché non determinate compiutamente dal genotipo. L’aiuto a tali
strutture e funzioni è quindi il suo oggetto di studio.
In altri termini, possiamo conferire alla
pedagogia il senso della scienza dell’uomo, concepito come totalità e non
sommatoria di parti a se stanti, affinché si agevoli il percorso di
realizzazione dell’uomo, a patto che essa si munisca delle necessarie risorse
scientifiche relative alle materie di “processi dello sviluppo” e di “processi educativi”,
che le consentano di orientare, interpretare e conoscere il complesso delle
variabili personali e ambientali, ritenute significative per l’andamento e la
realizzazione del processo formativo[65].
In conclusione, dopo quanto affermato,
possiamo riconoscere che lo scopo centrale dell’educazione, clinicamente
intesa, resta quello di agevolare il migliore sviluppo della personalità umana,
non di curare, controllare, misurare o condizionare ma di favorire la crescita
armonica, integrata e totale della personalità nell’intero arco della vita
affinché tutti possano autorealizzarsi in maniera compiuta e contribuire
attivamente alla costruzione di un mondo umano in cui vivere, con gli altri, in
condizioni sempre più soddisfacenti per tutti[66].
[1] Cambi F., Orefice P., Ragazzini D., I saperi dell’educazione, La Nuova
Italia, Scandicci, Firenze, 1995, pp. 3 e ss.
[2] Per maggiri approfondimenti sulla
complessità del sapere pedagogico, Cfr. Cambi F., Cives G., Fornaca R., Complessità, pedagogia critica, educazione
democratica, La Nuova Italia, Scandicci, Firenze, 1995.
[3] Cfr. Dewey J., Democrazia e Educazione, Sansoni,
Firenze, 2004
[5] Fabi A., La
Valutazione dell'alunno, Armando, Roma, p. 97, 1966
[6] Crispiani P., Pedagogia Clinica della Famiglia, Junior, Bergamo,pp. 46 e ss. 2008
[7] Sul rapporto tra mente ed affetti, si sono
soffermati diversi autori. Cfr. Mannucci A (a cura di)., L’emozione fra corpo e mente: educazione, comunicazione e metodologie,
Del Cerro, Tirrena, Pisa, 2006; Mannucci A, Landi M., Collacchioni L., Per una pedagogia e una didattica delle
emozioni, Del Cerro, Tirrenia, Pisa, 2006; Collacchioni L., Insegnare emozionando, emozionare insegnando,
Del Cerro, Tirrenia, Pisa, 2006.
[8] Bellatalla L., Genovesi G., Scienza dell'educazione. Questioni di fondo,
Mondadori, Milano, 2006 pp. 75 e ss.
[9] Bellatalla L., Genovesi G, op cit, pp. 21 e ss.
[10] Sul rapporto tra la pedagogia e le altre
scienze che hanno come oggetto di studio l’uomo e il suo sviluppo, si è soffermato (tra gli altri) Domenico
Izzo; Cfr. Izzo D.,Manuale di Pedagogia
Generale, ETS, Pisa 1997
[11] Cfr. Dewey J., Le fonti di una scienze dell'educazione, La Nuova Italia, Firenze,
1990
[12] Cfr. Visalberghi A., Pedagogia e scienze dell’educazione, Oscar Saggi, Milano 2000
[13] Frabboni F., Pinto Minerva F., Manuale di
pedagogia generale, Laterza, Roma, Bari, 1999, pp. 57 e ss.
[14] Frabboni F., Pinto Minerva F., op cit., p.58
[15] Cfr. Cambi F., Manuale di Filosofia dell'Educazione, Laterza, Roma 2005
[16] Massa R., Istituzioni
di pedagogia e scienze dell’educazione, Laterza, Roma, 1997, pp. 5 e ss.
[18] Scaglioso C., L'agire
educativo: ragioni, contesti, teorie, G. Dalle Fratte, 1995. p. 107
[19] Orefice P., Pedagogia, Editori Riuniti, Roma, 2006, pp. 5 e ss.
[20] Orefice P., op. cit.,pp. 94 e ss.
[21] Cfr. Geertz. C., Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna, 1988.
[22] Per maggiori chiarimenti circa la differenza
tra educazione intesa come trasmissione di saperi ed educazione come
costruzione di conoscenze, Cfr. Cristiani P., Didattica Cognitivista, Armando, Roma, 2004 oppure Calvani A., (a cura di), Fondamenti di didattica, Carocci, Roma,
2007
[23] Per maggiori approfondimenti sulle Scienze
dell’Educazione, Cfr. Cambi F., Le
pedagogie del novecento, Leterza, Roma-Bari, 2005.
[24] Sul rapporto tra pedagogia e scienze
dell’educazione Cfr. Massa R.,
Istituzioni di pedagogia e scienze dell’educazione Laterza, Roma-Bari,
1997.
[25] Orefice P., op. cit., pp. 18 e ss.
[26] Sulla differenza tra educazione e formazione
e la loro reciproca interdipendenza si sono soffermati diversi autori. Cfr.
Cambi F., Introduzione alla filosofia dell’educazione,
Laterza, Roma-Bari, 2008; Cambi F., Le
pedagogie del novecento, Laterza, Roma-Bari, 2005; Frabboni F., Pinto
Minerva F., Manuale di pedagogia generale,
Laterza, Roma-Bari 1994, Massa R., Istituzioni
di pedagogia e scienze dell’educazione, Laterza, Roma-Bari, 1997
[27] L’approccio sistemico – relazionale è ben
approfondito in un’ottica pedagogica nel testo di Bassa Poropat M.T., Lauria F., Professione educatore, ETS, Pisa, 1998,
pp. 66 e ss.
[28] Van
Den Berg J. H., Metabletica, Nijkerk,
Callenbach,1967., pp. 131 e ss.
[29] Demetrio D, Educatori di Professione, La Nuova
Italia, Firenze, 1990, p. 36
[30] Bonagura
P., L’arte di invitare. Il dialogo come
stile educativo, Ares, Milano, 1995, pp.19-20
[31] Bonagura
P., op cit., pag. 245
[32] Demetrio
D., Educatori di professione,op. cit., pag. 33
[33] Cfr. Eibl-Eibsfeldt
I., Dall’animale all’uomo. Le invarianti
nell’evoluzione delle specie, Di Renzo, Roma,2005, p. 39
[34] Postic.
M., La relazione educativa. Oltre il
rapporto maestro-scolaro, Armando, Roma, 1983, pp. 159-160.fr
[35] Cfr. Benedetti B., La relazione educativa nel gruppo, Liguori, Napoli, 2003
[36] Sull’importanza di un’educazione che consenta
una crescita armonica del soggetto, inteso quest’ultimo come una totalità
integrata e non come una sommatoria di parti a se stanti, si sono soffermati
diversi autori. Cfr. Galanti M.A., Affetti
ed empatia nella relazione educativa, Liguori, Napoli,2001.
[37] Crispiani P., Pedagogia clinica. La pedagogia sul campo, tra scienza e professione, Junior
, Bergamo, 2001, p. 12
[38] Massa
R., op. cit.,pp. 582 e ss.
[39] Cfr.
Massa R (a cura di), La Clinica della
Formazione. Un’esperienza di ricerca, Armando, Roma, 1993
[40] Cfr. Riva
M. G., L’abuso educativo, Unicopli,
Milano 1995
[41] Cfr. Massa R. Cerioli R., La Clinica della Formazione come pratica di
consulenza e supervisione, IRRSAE Lombardia, Angeli, Milano, 1999
[42] Cfr. Crispiani P. Pedagogia
clinica. La pedagogia sul campo, tra scienza e professione, Junior ,
Bergamo, 2001
[43] Per approfondimenti sulla gestione delle
relazioni nei diversi contesti, Cfr. Catarsi C. (a cura di), La relazione d’aiuto nella scuola e nei
servizi socioeducativi, Del Cerro, Tirrenia, Pisa, 2004.
[44] Sulla relazione d’aiuto, Cfr. Canevaro A.,
Chieregatti A., La relazione di aiuto,
Carocci, Roma, 2001.
[45] Cfr. Trisciuzzi L., La pedagogia clinica, Laterza, Bari, 2006
[46] Crispiani P, Catia Giaconi, Diogene 2008. Manuale di diagnostica
pedagogica. Junior, Bergamo, 2008, pp. 13 e ss.
[47] Fabi A., Alcuni
principi di tecnologia educativa, in
Innovazione e scuola, IRRSAE Marche, n. 1-4/1984.
[48] Corsi M, Come
pensare l'educazione, La Scuola, Brescia, 1986, pp. 103 e ss.,
[49] Crispiani P., Pedagogia clinica. La pedagogia sul campo, tra scienza e professione,
Junior, Bergamo, 2001, pp.39 e ss.
[50] Sulle relazioni disciplinari della pedagogia
cfr. De Giacinto S., Educazione come
sistema, La Scuola, Brescia, 1977
[51] Crispiani P., op. cit., pp. 124, 125.
[52] Crispiani P., op. cit., pp. 125,126.
[53] Per maggiori approfondimenti relativi agli
aspetti sincronici e diacronici della pedagogia e alle differenze operative
rispetto alla psicologia, Crispiani P., op.
cit, p. 127
[54] per gli aspetti diagnostici si vedano Bollea
G., La selezione scolastica, in Infanzia anormale, n. 6/1954, pp. 219,
227 e Cervellati L., La selezione dei
minorati psichici dal punto di vista pedagogico, in Infanzia anormale, n. 6/1954; Zavalloni R., La psicologia clinica nell’educazione, La Scuola, Brescia, 1972,
pp. 30,31.
[55] Cfr. Crispiani P., Giaconi Catia, Hermes
2008, Junior, Azzano S. Paolo (BG) 2007.
[56] Crispiani P., op. cit., p. 133.
[57] Sul concetto di ecologia, Cfr. Meazzini P., trattato teorico-pratico di terapia del
comportamento, ERIP, Pordenone, 1984
[58] Damiano E., Insegnare con i concetti, SEI, Torino,1994, pp. 11 e ss.
[59] Corsi M., Come
pensare l’educazione, La Scuola, Brescia, 1997, pp. 11 e ss.
[60]
Crispiani P., op cit, p. 117.
[61] Per maggiori approfondimenti circa il
rapporto cultura/processi formativi Cfr. Mialaret G., Introduzione alla pedagogia, Paris, 1964, 1967, Armando, Roma,
1970.
[62] Cfr. Fabbri D., Montesano, Munari A., Il conoscere del sapere. Complessità e
psicologia culturale, in Bocchi G., Ceruti M. (a cura di), Feltrinelli,
Milano, 1985.
[63] Fabi A., Alcuni
principi di tecnologia educativa, in Innovazione
scuola, IIRSAE Marche, n. 1, 4/1984
[64] Pieretti A., in L’educazione come processo di umanizzazione, in Annali della P.I,
n.1/1990, pp. 14,25
[65] Corsi M., op.
cit., pp. 87 e ss.
[66] Crispiani P., Op cit., pp. 112, 113.
Nessun commento:
Posta un commento