sabato 8 agosto 2015

La pedagogia come Scienza della formazione


 La Pedagogia moderna

Parlare di pedagogia non è semplice perché una disciplina complessa necessita di un linguaggio complesso e di argomentazioni articolate per non scadere in una eccessiva semplificazione o in un mero tecnicismo.
La pedagogia è proprio infatti la scienza della complessità ed è per questo che è spesso considerata la più umanistica fra le scienze umanistiche, ossia la disciplina che, proprio grazie al suo statuto complesso riesce ad inquadrare l'uomo sotto una lente che lo comprende all'interno di una cornice ampia, ricca di sfaccettature, senza potature o riduzionismi di sorta, che consente insomma di leggerlo in tutta la sua ricchezza e singolarità.
L'oggetto di studio della Pedagogia è l'uomo, inteso non in senso <<fotografico>> ma in senso dinamico, mutevole, in formazione, appunto.
Potremmo dire che la specificità di questa disciplina  sia lo studio dei meccanismi di crescita e di maturazione del soggetto, in modo da arrivare a concepire quali siano i metodi educativi più idonei per favorire questo articolato percorso, così da aiutare ad attivare risorse, potenzialità e capacità creative.


La pedagogia è la scienza che ha fatto proprio il concetto di educabilità dell'uomo, ritenendo che egli sia educabile in ogni momento della sua esistenza e che sia possibile perseguire questo obiettivo in maniera intenzionale e scientifica. In passato si è creduto che la pedagogia (ma non è questa la sede per ripercorrerne le tappe dello sviluppo storico), in quanto scienza teorica, potesse  guidare in modo unidirezionale l'azione educativa e la didattica. Oggi, invece, si afferma l'esistenza di una circolarità delle informazioni che vanno a integrare e a modificare sia la pedagogia (teoria) sia la prassi educativa. Educare significa promuovere le potenzialità e le attitudini (o abilità) dell'altro, favorendone l'autonomia e l'autodeterminazione. La pedagogia elabora quindi teorie e fornisce impianti teorici e metodologici all'educazione. Queste nozioni, pur delimitando il terreno di indagine della pedagogia, non ci dicono ancora molto sulla sua specificità e su quali siano le reali caratteristiche che la differenziano da altre discipline empiriche, come ad esempio la sociologia o la psicologia. Sappiamo che la pedagogia si è confrontata con le diverse scienze umana ed ha inglobato le leggi che potevano in qualche maniera orientarla nel complesso terreno della formazione e fornire così risposte attendibili e significative alle domande che provenivano dai diversi contesti educativi (scuole, agenzie di formazione, centri per l'infanzia, ecc.).
Il bisogno di formazione da parte della società (umana, lavorativa, scolastica), di una società sempre più complessa, mutevole, aperta all'immigrazione e alla diversabilità, con le sue nuove tecnologie, le sue ricchezze, miserie e devianze, si è fatto sempre più urgente e necessario. Ad una domanda complessa però non possiamo rispondere in maniera semplicistica perché non solo forniremmo soluzioni inadeguate ed inefficaci ma anche controproducenti. Quando la richiesta è articolata, mutevole, come quella sollevata dai problemi della formazione, occorre appellarsi ad una disciplina che per sua natura fa della complessità il proprio statuto fondamentale.
La pedagogia è la scienza  che può, grazie alla sua capacità di trasfondere e declinare i diversi  saperi provenienti dalle più svariate discipline (si pensi alle neuroscienze, all'antropologia, alla psicologia, ecc.), curvare e plasmare le conoscenze maturate su terreni diversi e formalmente lontani anni luce da loro, affinché ben si adattino al terreno mutevole ed incerto della formazione. La pedagogia è così quell’interfaccia che non solo consente di tradurre in un linguaggio pedagogico le informazioni (o ricerche se preferiamo) che provengono da ambiti disciplinari diversi (ma che comunque ne condividono le finalità) ma di forgiare al fuoco della propria fucina queste conoscenze con personali strumenti di lavoro, affinché sia possibile ottenere alla fine di questa laboriosa procedura, una più chiara visione del problema e allo stesso tempo una maggiore precisione/attendibilità dell'intervento educativo.
Questo lavoro di “assimilamento, forgiatura ed accomodamento” della pedagogia consente di fornire risposte adeguate al bisogno di adattarsi di fronte al mutamento, attraverso l' orientamento e facendo leva sulle motivazioni personali dei soggetti in-formazione. Oggi, l'educazione, pedagogicamente intesa, mette al centro della sua analisi l'individuo nella sua totalità e nella sua globalità, ne conserva il punto di vista e fornisce gli strumenti utili per giungere alla consapevolezza del proprio essere e del proprio agire, costruendo teorie atte a comprendere e delineare il processo educativo. La Pedagogia è quindi una scienza dell'educazione (abbiamo già precedentemente accennato  che sono molte le discipline che hanno come oggetto di studio l'uomo ed il suo agire) che si occupa della riflessione critica e della progettazione della pratica educativa e si inserisce all'interno del complesso delle Scienze dell'Educazione[1].
Occorre comunque ricordare che la pedagogia è stata spesso considerata sotto un’ottica d’identificazione con un altro settore di sapere (la filosofia prima e la psicologia e la sociologia dopo) che le ha di volta in volta offerto la propria interpretazione, il proprio linguaggio, la propria metodologia, negandole perciò autonomia e indipendenza. In tutti questi casi le concezioni pedagogiche, infatti, derivano la propria impostazione direttamente da come si pensa avvenga il fatto educativo: nel biologismo come consequenziale sviluppo funzionale di fenomeni organici naturali, nel sociologismo come forma d’adattamento alle condizioni dell’ambiente sociale di vita, nello psicologismo come naturale dispiegarsi dei processi di sviluppo della personalità individuale, nell’attualismo come realizzazione del puro processo spirituale di personificazione. Ecco come il discorso pedagogico, dunque, può avere senso soltanto all’interno del sistema conoscitivo predisposto da quella disciplina che è di riferimento, e dunque certamente sovraordinata rispetto alla pedagogia.
 Oggi però è chiaro che ciascun punto di vista delle diverse discipline preso individualmente, ma poi anche tutti presi insieme, non sono sufficienti a consegnare tutto il sapere che devo possedere nel considerare i problemi educativi, pur costituendo ciascun punto di vista un elemento irrinunciabile d’indagine e riflessione. Si è affermata, in altre parole, poco alla volta la convinzione che la pedagogia da un lato si sia staccata dalla matrice filosofica per innestarsi sui saperi positivi, onde calare il proprio progetto educativo entro coordinate che, senza rinunciare alla dimensione dell’ideale, siano però tendenti al concreto e all’operativo, più che puramente astratte come quelle metafisiche, e dall’altro lato consista in un complesso insieme di discipline. Da ciò viene il termine di scienze dell’educazione e il disegno di un sapere composito che si esprime appieno solo nell’enciclopedia pedagogica.
Sarebbe sbagliato dunque pensare che la pedagogia sia la principale scienza dell'educazione, oppure la scienza dell'educazione in assoluto; come abbiamo già accennato la pedagogia si inserisce in un ambito scientifico-disciplinare costituito da un insieme di disclipline che hanno come oggetto di studio il processo educativo, e quindi l'educazione. All'interno di questo insieme di scienze, le cosiddette "Scienze dell'Educazione e della Formazione", si inserisce anche la pedagogia che si distingue per una propria identità epistemologica e metodologia conoscitiva[2].
La pedagogia è perciò scienza dell’educazione; la scienza che studia in modo sistematico come l’educazione si realizza in un determinato ambiente sociale. Il termine “educazione” significa, infatti, sia un processo che il suo risultato e si riferisce a tre elementi che intervengono nel suo sviluppo: 1) quelli interni al soggetto, intesi come caratteristiche di chi si educa (personalità, salute, intelligenza ecc.); 2) quelli esterni, come influenze dell’ambiente sociale cui l’individuo è sottoposto; 3) quelli interattivi, come le modalità con cui l’individuo risponde agli stimoli esterni e si modifica; in tal senso, infatti, la personalità è la risultante delle originarie dotazioni individuali e degli influssi esercitati dall’ambiente. La pedagogia studia i procedimenti scientifici adatti a modificare la dotazione dei soggetti nel modo migliore per il compimento integrale della personalità di ciascuno e, da un lato poiché consta di una ricerca condotta con metodo scientifico, è scienza, come già indicato da J. Dewey[3], e, dall’altro lato poiché ha un suo campo specifico d’applicazione, è scienza autonoma.
La pedagogia è una scienza in quanto costituita da un organico sistema di saperi, il destinatario dei suoi prodotti teorici e pratici è l'Uomo, cioè il soggetto agente e nel contempo anche oggetto primario delle pratiche educative. Egli è il destinatario di questa scienza e, pertanto, il fine di tutta la ricerca pedagogica[4].
Con quest'ultima affermazione, comunque, non dobbiamo pensare ad una pedagogia in balìa di saperi-altri; è vero che essa deve sempre relazionarsi con una concezione filosofica dell'uomo, tipica dell'antropologia filosofica e dialogare spesso con essa, ma ormai  ne è completamente autonoma, così come pur avvalendosi dei contributi di numerose altre scienze umane, da queste rimane comunque sempre disgiunta.
La pedagogia, nell'analisi ed articolazione dei processi educativi, fa riferimento ai dati culturali delle differenti etnie forniti dall'antropologia; fa riferimento alle teorie dell'apprendimento e del comportamento elaborate dalla psicologia; fa riferimento infine alle analisi delle dinamiche sociali elaborate dalla sociologia  e alle ricerche emergenti della biologia. Questi saperi vengono quindi vagliati e curvati secondo le direzioni dei vettori pedagogici, rimandando la verifica dell'efficacia delle conseguenti azioni formative all' operatività della pedagogia sperimentale, sui grandi numeri, e su differenti tecniche di verifica e di valutazionedi tipo qualitativo e quantitativo. La pedagogia è quindi scienza al servizio della persona e della comunità, i cui modelli di riferimento si rifanno tradizionalmente, sia all'individuo (con riferimento a Immanuel Kant e Rousseau) sia alla società (con riferimento a Emile Durkheim ). I due modelli di pedagogia non possono essere giudicati in modo univoco, poiché in ognuno si possono trovare elementi solo apparentemente contrapposti e comunque entrambi necessari. La teoria kantiana è basata su una forte spinta positiva nei confronti dell'uomo: la fiducia nell'essere umano porta il pensatore a vederlo come artefice di un miglioramento della sfera sociale. L'educare il fanciullo evitandogli completamente ogni rapporto con la realtà lo porterà ad una formazione tale da riuscire a cambiare in meglio la società che lo ospita. Durkheim, al contrario, è restio ad educare in completa astrazione dalla realtà sociale, poiché ciò porterebbe ad una ritorsione dei costumi contro il soggetto, se questi non li rispettasse. Ogni società ha delle regole che, se non conosciute, vengono innocentemente ignorate, causando situazioni "illecite" che possono ritorcersi contro il soggetto.
 In pedagogia rimane sempre presente questa antinomia irrisolvibile e irriducibile che costituisce uno dei pilastri fondamentali della pedagogia stessa: da una parte la necessità di formare un soggetto autonomo, artefice delle proprie scelte, che sappia andare oltre ogni forma di omologazione e di passività; dall'altra la necessità di adeguarsi e di interiorizzare le norme e le regole di quella determinata società, in quel prciso contesto storico. Tutto questo ci porta a riflettere su Rosseau e  al suo Emilio che  tratta anch'esso di un'educazione del fanciullo fuori dalla società, con molta analogia con la teoria kantiana. E' proprio qui che troviamo la completa astensione dalla società da parte del fanciullo che porta, secondo l'autore, ad una non conoscenza diretta della società stessa. L'educatore può insegnare ad Emilio tutto ciò che riguarda i costumi, leggi e gli usi, ma questo rimane solamente nella sfera teorica. La pratica è tutta un'altra cosa, che, senza una diretta esperienza di cosa voglia dire vivere immersi nella società, non può portare ad una conoscenza e ad una crescita reale. Durkheim, a questo punto, giustamente parla di un'educazione interna alla società stessa. Dobbiamo aspettare la rivoluzione industriale affinchè le caratteristiche della società subiscano un enorme cambiamento, infatti, senza un rapporto diretto con esse non si potrebbe vivere in modo conforme a questi moderni usi e costumi. Ciò in cui Durkheim è criticabile è nell'attribuire maggior peso all'educazione impartita dalla società in confronto a quella che possono dare gli insegnanti.
 Se un bambino vivesse completamente a contatto con la società e solamente da essa fosse educato, (privato quindi della presenza dei genitori) molto probabilmente non avrebbe le capacità per comprendere la società stessa e quindi non riuscirebbe a cogliere l'insegnamento che questa gli offre. Il rapporto che un soggetto ha con i propri genitori non è paragonabile a quello che ha con la sfera sociale in cui è inserito. Un rapporto stabile, protetto da possibili traumi, lontano quindi dalle influenze sociali, è la classica relazione a due, asimmetrica, condotta in ambiente asettico, in cui uno assume il ruolo di guida. Con la sfera sociale si ha un rapporto completamento diverso, meno lineare e stabile, più ricco di stimoli e di insidie, ma anche di opportunità e di occasioni che sicuramente giocano un ruolo fondamentale ed insostituibile nel percorso di maturazione e di crescita del soggetto. L'educazione imposta dalla società può avere molte strade ed è il soggetto a dover scegliere quale intraprendere e, pur avendo maggiori  possibilità di percorrerne una sbagliata, la libertà di scelta rimane, così come rimane la scelta di farsi guidare ed orientare. La pedagogia gioca quindi su questi due fronti, fra libertà del soggetto e la necessità di esperienze formative, fra regole a cui adeguarsi e necessità di individualizzarsi, riconoscendosi come soggetto con bisogni specifici e quindi non conformabile alle tendenze omologatrici della società. Attualmente la Pedagogia si sta imponendo come la scienza che, più di altre, è chiamata ad interpretare i diversi bisogni formativi dell’individuo, centrando l’attenzione sui processi di sviluppo e di maturazione sociale, linguistica, intellettiva, affettiva ed emotiva. L’obiettivo della Pedagogia è quello di favorire uno sviluppo integrato e totale della personalità nell’intero arco della vita[5] . Attraverso percorsi formativi ben strutturati ed orientati, è possibile  portare un concreto aiuto ai processi evolutivi di ciascun individuo, in modo da promuovere uno sviluppo integrato ed equilibrato della personalità[6] . Per poter attivare questi percorsi di aiuto allo sviluppo umano, è necessario inquadrare le risorse soggettive, gli interessi individuali e le potenzialità, così da agevolare il naturale processo formativo, ossia, la possibilità di maturare in maniera libera, consapevole e creativa, attraverso la manifestazione della propria natura più autentica. Educare, infatti, vuol dire nutrire, stimolare, aiutare a far emergere e a manifestarsi, vuol dire prendersi cura degli altri e di se stessi in maniera responsabile e competente. Aiutare il percorso di sviluppo dell’individuo, significa mettersi a disposizione dell’altro soprattutto nei confronti di chi, purtroppo, non gode delle stesse possibilità degli altri: penso soprattutto ai diversabili e a tutti coloro che vivono in una condizione di svantaggio sociale. La pedagogia, modernamente intesa, ha il dovere etico e professionale di intervenire affinché tutti abbiano la possibilità di migliorarsi, attraverso percorsi educativi integrati e centrati sui reali bisogni delle persone, così da far emergere quelle che sono le abilità residue, spesso soffocate dal peso dei condizionamenti, dalle situazioni o dalla disabilità.
Intervenire in maniera efficace è difficile perché la nostra tradizione educativa tende a considerare l’individuo solamente sotto l’aspetto intellettuale, scisso dalla dimensione corporea (Cartesio), mettendo in ombra gli aspetti emotivi ed affettivi del soggetto. Il corpo, invece, negli ultimi anni, soprattutto grazie alle ricerche nel campo delle neuroscienze, è stato rivalutato, dimostrando come esso rappresenti il mezzo principale attraverso il quale fin dalla più tenera età, sia possibile comunicare ed apprendere, grazie alle diverse reazioni fisiologiche, da tutti conosciute come emozioni. Partire dall’educazione del corpo e con il corpo significa cominciare a concepire l’individuo nella sua globalità, come una realtà unitaria e non più scissa nelle dimensioni “intellettuali vs fisiche”. Un’altra concezione da tenere presente è che il motore dell’apprendimento e della maturazione psicologica è l’interesse; il bambino non è un ente passivo in attesa di essere con-formato e manipolato, ma è un dispositivo attivo, capace di orientare forze ed energie verso obiettivi ben definiti[7].


In conclusione perciò si può dire che tutte le discipline riferite all' educazione, sia quindi l' istruzione e la formazione, debbono essere strutturate su una pedagogia di tipo teorico che costituisce la dottrina di una visione del mondo costruita su quel tipo di società in quel preciso frangente storico, con il preciso scopo di raggiungere concretamente obiettivi ben definiti, in armonia con i valori etici stabiliti. Spetta quindi alla pedagogia pratica ed operativa realizzare, attraverso la metodologia (studio del metodo d’insegnamento migliore e più proficuo per quel contenuto, in quella situazione, per quel soggetto) e alla didattica (studio delle diverse tecniche didattiche) fornire (o aiutare a costruire) gli strumenti più idonei per raggiungere determinati traguardi. In questa dimensione pratica rientrano, dunque, a pieno titolo, le ricerche sulle diverse morfologie disciplinari, sull’individuazione di obiettivi educativi, didattici e formativi, sul rapporto educativo, sull’organizzazione del gruppo d’apprendimento, sulle strumentazioni e le procedure didattiche ecc.. La pedagogia teorica, quindi, ha una fondamentale importanza nel processo formativo in quanto fornisce una determinata visione della realtà, permettendo così una più precisa individuazione di fini e valori, per rivolgersi con cognizione di causa alle diverse caratteristiche del soggetto dell’educazione[8]. La pedagogia deve discutere, appropriarsi o in ogni caso tener conto delle acquisizioni realizzate nell’ambito delle scienze dell’educazione, sia quelle naturali che quelle sociali, tutte pienamente autonome nell'attività di ricerca per la descrizione critica e sistematica del proprio oggetto di studio e per il conseguimento di obiettivi prefissi. Queste discipline utilizzano strumenti propri, i criteri  e le metodologie che le caratterizzano, con il linguaggio specifico che le distingue, cercando di mantenere un atteggiamento di oggettività e di imparzialità  applicabile ai problemi educativi. Rispettando le regole del metodo scientifico (verificazione/falsificazione), tali discipline  si occupano così di studiare le caratteristiche individuali e sociali del soggetto in formazione (crescita, sviluppo, capacità e abilità nelle diverse funzioni ecc.), o dell’ambiente (studio della società, delle organizzazioni, del lavoro ecc.), ma anche in particolare di realizzare ricerche sulla relazione tra fini previsti dalla teoria pedagogica e i mezzi impiegati dalla pedagogia pratica o sulle condizioni per il miglior conseguimento degli obiettivi già individuati[9].Il rapporto con discipline sorelle quali psicologia e sociologia sta nell’utilizzo da parte del pedagogista dei risultati di ricerca psico-sociologici per leggere il rapporto Io-Tu-Ambiente (oggetto plurale della pedagogia). La pedagogia si distingue dunque, dalla psicologia in quanto interessata all’individuo psichico ma anche ai processi motivazionali, emozionali e contestuali che lo caratterizzano in una reciproca influenza e si distingue dalla sociologia in quanto considera l’individuo nella propria individualità e non solamente come soggetto sociale. Queste scienze si interessano tutte della condotta umana ma la prima in un ottica prettamente psichica. La sociologia in un interazione Io-Tu e Ambiente a scopo conoscitivo e la pedagogia in un interazione Io-Tu e Ambiente con un fine pratico[10].
La pedagogia si occupa di trovare strategie educative, applicabili a ciascun individuo alfine di migliorarne lo stato emotivo, relazionale e di apprendimento, contestualizzandole e rendendole direttamente spendibili e concretamente applicabili. La pedagogia affronta la questione dell’educare = educere, tirar fuori in un ottica ecologica e dinamica ossia in un approccio totale alla persona, bambino o adulto, utilizzando concetti propri della psicologia, della sociologia, della medicina, della filosofia, dell’antropologia in un contesto di continua evoluzione e dinamicità del singolo e del contesto in cui è inserito.
Dal quadro di riferimento indicato impone innanzittutto l’esigenza di chiarire lo statuto epistemologico proprio della pedagogia, su questo sapere intorno all’educabilità umana. In passato, come abbiamo visto, esso veniva identificato come sapere sull’essere stesso dell’uomo, nella sua totalità, ponendosi in un’ottica sostanzialmente di tipo filosofico. Anche il termine educazione, nel senso di “educere”, ha sempre avuto un valore morale (formazione delcarattere) e un senso intellettuale (formazione del sapere e dell’intelligenza).
Oggi, forse, si assiste ad una specie di identificazione della pedagogia come sintesi delle varie scienze dell’educazione e ad un suo eccesso di descrittività, trascurando il suo specifico carattere prescrittivo. Ma per esser tale, occorre riportare il discorso intorno ai concetti di “educabilità” e di “educere”, che sostanzialmente può esser ricondotto a quattro variabili: - il riconoscimento dell’educabilità dell’essere umano, della sua potenzialitàattuativa che si esprime attraverso un determinato contesto psicologico e storico; cherichiede, appunto, una formazione, l’azione di e-ducere, nell’interdipendenza visione ontologica e antropologica dell’uomo, tra il processo di etero e autoeducazione; - il riconoscimento della caratteristica trascendente dell’essere e non solo della sua
storicità e concretezza, ma di una sua tipica essenza che tende, come natura umana, alla perfezione, a portare sempre più vicino l’uomo storico all’idea di uomo come valore in sé; - l’azione intenzionale, funzionale, personalizzante del maestro che deve sempre esser finalizzata alla formazione di “quel maestro interiore”, di quella voce, che progressivamente deve guidare l’educando alla propria libertà e al senso di autoresponsabilità;
- il fine verso cui orientare l’azione educativa, consci di questo problematico,
affascinante e, a volte angoscioso, intreccio tra esistenza ed essenza, tra inautencità e
autenticità.
In fondo, da queste quattro condizioni dell’educazione emerge chiaramente quello che
dovrebbe esser il discorso fondante delle stessa pedagogia, cioè il fatto che essa non può
prescindere da una teoria, da un’idea di perfezione, da una ricerca delle finalità verso cui
orientare l’educazione, ma ciò è strettamente legato all’idea di uomo e del suo destino.












La Pedagogia come Scienza della Formazione
Abbiamo visto come la pedagogia debba mantenere saldi i propri rapporti con le altre discipline e questo lo dobbiamo in gran parte a Dewey, uno dei più grandipedagogisti del Novecento, il quale, nel testo Le fonti di una scienzadell’educazione[11] scritto nel 1929, ha definitola pedagogia come una disciplina scientifica in grado di utilizzare i metodi delle scienze sperimentali pur riconoscendo la complessità dell’evento educativo e la sua irriducibilità aduna mera catena di cause-effetti. La pedagogia, comunque, intrattiene rapporti significativi con le altre scienze dell’educazione, come la filosofia, la psicologia e la sociologia dell’educazione che si presentano come fonti speciali per comprendere l’accadere educativo. Con il trascorrere del tempo e più precisamente verso gli anni Settanta e gli anni Ottanta la pedagogia sembra essersi polverizzata in tante scienze dell’educazione, quindi, il problema adesso è quello di dimostrare la necessità dell’esistenza e della specificità della pedagogia, nonché del suo rapporto con le scienze dell’educazione ed è a questo proposito che occorre fare riferimento ad Aldo Visalberghi, il quale, in un suo fondamentale lavoro,[12] propone quattro settori intorno ai quali si sono sviluppate le scienze dell’educazione, ovvero: il settore psicologico, che riguarda la conoscenza dell’allievo e dei processi di apprendimento, riconducibili pertanto alla psicologia dell’educazione, evolutiva, sociale, ecc; il settore sociologico, che riguarda lo studio del rapporto scuola-società , come la sociologia generale, dell’educazione, della conoscenza, ecc.). Il settore metodologico -didattico, invece, riguarda lo studio dei mezzi, metodi e strumenti dell’educazione ( tecnologie educative, teorie sulla programmazione e sulla valutazione scolastica, ecc.). Il  settore dei contenuti ha a che fare con l’analisi delle discipline di insegnamento e della conoscenza in generale, come ad esempio la storia della materia specifica, l' epistemologia generale e genetica, ecc. In questo schema la pedagogia, intesa come pedagogia generale, occupa una posizione esterna, poiché rappresenta un momento di riflessione critica dell’educazione. Si determina quindi la necessità di concepire la pedagogia come scienza critica della Formazione. La proposta di Visalberghi stimola gli studi di epistemologia pedagogica di tutti gli anni Ottanta e Novanta. I termini chiave di tale dibattito sono quelli di Criticità e di Formazione. Il primo propone la pedagogia come riflessione critica sulla formazione, ovvero come disciplina che ci aiuta a capire gli aspetti impliciti e latenti di ogni atto educativo; il secondo riconosce che la pedagogia non si limita allo studio dell’istruzione scolastica per soggetti in età evolutiva ma si occupa di un processo, la formazione appunto, che riguarda l’intero arco della vita. L’oggetto della pedagogia poggia quindi su precise categorie formali, relative all’oggetto, al linguaggio, alla logica ermeneutica, al dispositivo indagativo e al principio euristico, arrivando a legittimarsi come <<scienza della formazione[13]>>.
Si definisce così l’ambito della ricerca pedagogica, con i suoi linguaggi, la sua metodologia  e la sua logica interpretativa, volti all’individuazione dei percorsi e delle strategie della trasformazione e dell’evoluzione dell’identità esistenziale, culturale, valoriale dell’uomo e della donna, in quel determinato contesto socio-culturale.
I principi cardine su cui ruota il discorso pedagogico sono identificabili con  prassi ben definite: sviluppo, interesse, gioco, diversità, autonomia, educazione intellettuale, estetica, fisica, affettiva ed etico-sociale[14]. Questi fondamenti, carichi di vissuto storico ed antropologico, attenti alle problematiche di natura esistenziale, culturale etica e sociale, rappresentano la specificità stessa della ricerca pedagogica che influenza notevolmente anche da un punto di vista operativo e professionale, il pensare/agire dell’educatore e del pedagogista impegnato sul campo.
  Altri importanti studiosi si sono occupati della complessa problematica epistemologica, ad esempio  Cambi[15] propone uno schema in cui i saperi pedagogici sono strutturati in settori diversi e distinguendo quindi le scienze dell’educazione che si occupano in modo empirico dell’apprendimento e della formazione rispetto sia  alla pedagogia generale che riflette sulle scienze dell’educazione (coordinandole sugli aspetti generali e trasversali della formazione, come la pedagogia interculturale, la pedagogia di genere, la pedagogia della marginalità, ecc.), sia dalla filosofia dell’educazione che si occupa degli aspetti epistemologici e assiologici (cioè legati ai valori, all’etica) della formazione.
Attualmente l’educazione, oggetto di studio e di riflessione della pedagogia, viene definita tanto come apprendimento, ossia come modificazione stabile del comportamento, quanto come socializzazione e come inculturalizzazione, ossia come integrazione sociale e come acquisizione di modelli culturali. Definire la pedagogia come scienza della formazione vuol dire allora sottolineare l’aspetto mirato ed intenzionale di essa, rispetto ad obiettivi ritenuti strategici, sia sul piano della cultura che su quello della personalità e delle sviluppo delle attitudini. L’educazione mantiene allora  un aspetto individuale che chiama in causa soprattutto ricerche di tipo biologico e psicologico ed un aspetto sociale e culturale che è stato studiato parallelamente con indagini di natura sociologica ed antropologica, spingendosi anche in settori come quello giuridico, politico ed economico. Parlare di educazione oggi, inoltre, vuol dire avere a che fare con scopi e significati di grande impegno teorico ed intervenire operativamente in campo educativo, o comunque analizzare gli interventi che si conducono in questo ambito, manipolando progetti e procedure, attraverso lo studio delle condizioni, l’individuazione di obiettivi, l’attribuzione di significati, contenuti e metodi, l’attribuzione mezzi, materiali e strumenti di controllo[16]
Se la Pedagogia è realmente scienza in quanto costituita da un organico sistema di saperi e Il destinatario dei prodotti teorici e pratici della pedagogia è l'individuo che è il soggetto agente e, nel contempo, anche l'oggetto primario delle pratiche educative, dobbiamo condividere l'idea di Pellerey[17] secondo il quale il fine ultimo della Pedagogia non è quello di creare teorie generali dell'educazione (a quello servirebbero, in questa interpretazione, le altre scienze dell'educazione e della formazione), ma di costituire modelli di intervento educativo spendibili nella pratica educativa immediata. Per fare questo la pedagogia rivisita e rielabora modelli di intervento già proposti ed esamina e valuta risorse, strumenti e contesti già disponibili per progettare e attuare così un intervento educativo; fatto ciò, la pedagogia, sempre secondo l'autore, organizza strategicamente le sue conoscenze per individuare un possibile percorso educativo da realizzare ed elabora un progetto che sta alla base dell'intervento educativo da attuare. Di questo avviso è anche Cosimo Scaglioso[18], il quale precisa che lo scopo della pedagogia non starebbe nella formulazione teorica, ma nella risoluzione di problemi pratici dell'esperienza educativa; grazie alla progettazione la pedagogia può formulare le basi di un intervento educativo riferito però ad uno specifico contesto, infatti, non si può creare un progetto educativo unico per tutto e tutti, ma la pedagogia si fa carico dell'analisi di ogni problematica presentata, progettandone una possibile risoluzione.
Si viene delineando quindi, con il tempo, la necessità di una Pedagogia che sappia fornire soluzioni utili e pratiche ai problemi di carattere educativo presenti nella società, concentrando gli sforzi sul processo formativo del soggetto in questione, sull'analisi dei bisogni espressi, sui processi di crescita e maturazione, focalizzando l'attenzione su possibili blocchi o arresti, teorizzando ipotesi e interventi di carattere educativo. 
Anche Orefice ritiene che la Pedagogia, pur accedendo ai saperi delle diverse scienze empiriche moderne, assuma tuttavia il processo formativo umano come il suo specifico oggetto di indagine distinguendolo quindi dalle discipline altre e chiarendo il proprio punto di vista, la propria metodologia di indagine e il linguaggio[19].
Essendo disciplina di sintesi, la pedagogia assume il ruolo fondamentale di ricondurre all'unità indivisibile lo sviluppo del processo formativo, utilizzando le diverse componenti che provengono dagli studi  delle varie scienze dell'educazione e rivendicando così il proprio ruolo <<ecologico>>, ossia la tendenza a considerare il soggetto in formazione non come la sommatoria di elementi a se stanti, ma come un'unità complessa, soggetta a cambiamenti, innesti, arresti e metamorfosi.
I processi formativi, quindi, oggetto di studio della Pedagogia, riguardano essenzialmente le dinamiche di cambiamento che avvengono all'interno del soggetto in questione, articolandosi in un processo o in più processi che si possono attivare e modificare  attraverso l'azione formativa.
Questa complessa scienza dei processi formativi si esprime allora attraverso competenze di carattere trasformativo, il cui ruolo non è solo quello di alimentare la teoria da cui scaturisce ma è principalmente quello di orientare e sviluppare tale processo di maturazione (o di crescita se preferiamo) in un determinato contesto  storico-contemporaneo e sociale.
Pedagogia quindi con una struttura di sintesi, dal carattere trasformativo, che rivendica la centralità dell'apprendimento per la costruzione di conoscenze e competenze negli individui e nella diverse realtà sociali.      
La pedagogia intesa come scienza dei processi formativi riconduce i contributi mutuati dalle varie scienze dell'educazione, al fine di riportarli verso quell'unità indivisibile del processo formativo che caratterizza la pedagogia moderna, adottando gli approcci metodologici e tecnici che derivano dai saperi disciplinari a cui attinge e selezionandoli in funzione delle specifiche esigenze.
Tali metodi, saperi o tecniche, vengono modellati e articolati, in modo da armonizzarli in quel preciso impianto formativo, generando così facendo soluzioni originali, caratteristiche ed esclusive della pedagogia stessa e di nessun'altra disciplina[20].
Queste soluzioni metodologiche e tecniche, che marcano l'originalità disciplinare della pedagogia, devono essere considerate all'interno di una logica che vede il processo formativo come potenziale di costruzione di conoscenze e competenze, quindi flessibile e dinamico, in grado di adattarsi ad ogni contesto e situazione educativa; lo sguardo pedagogico incrocia un meticciato metodologico caratterizzato da visioni disciplinari diverse ma con paradigmi critici condivisi, dando vita ad una disciplina inedita dalle caratteristiche versatili, progettata per adattarsi alle espressioni più variegate dei processi formativi umani.
La pedagogia allora, interpretando il processo formativo in atto negli esseri umani e nei diversi contesti di vita, indaga  sul cambiamento da portare a tale processo nelle persone, in relazione all'età, ai desideri e ai bisogni formativi, senza perdere di vista naturalmente i luoghi, il contesto storico ma anche le strutture, le politiche locali, servizi disponibili, ecc.
Una volta chiarito la specificità della pedagogia, occorre chiedersi adesso: cosa può fare l'educazione/formazione per migliorare la qualità della vita delle persone, in età, contesti,  situazioni diverse, all'interno di un mondo sempre più complesso ed estremamente mutevole?
Per rispondere a questa difficile domanda dobbiamo ricordare che la pedagogia, da sempre, è la disciplina che studia la teoria e la pratica dell'educazione, articolandosi quindi, da un lato alla vita psichica del soggetto e dall'altra al contesto culturale in cui vive[21].
    Originariamente il termine educazione indicava l'atto di far emergere da una persona una potenzialità che custodiva al proprio interno e che altrimenti sarebbe rimasta inespressa (educere in latino significa infatti <<tirar fuori>>, <<fare uscire>>): questo concetto mantiene il presupposto che che esista un potenziale interno al processo formaivo, per cui, la persona educata è quella più completa e di conseguenza maggiormente realizzata.
Seguendo questa ottica la persona educata sarebbe allora quella a cui è stato insegnato a comportarsi, a parlare, a rispettare determinate norme, ecc.
Questo significato è stato modernamente ribaltato, passando dal far  <<venir fuori>> si è progressivamente passati a <<far entrare dentro>> determinate idee, comportamenti e atteggiamenti; un capovolgimento che è poi fondamentalmente la storia del formarsi e del trasformarsi della società e delle prospettive assunte e fissate in quel preciso contesto storico culturale.
Dalla nozione di educazione intesa come processo trasmissivo, vincolante ma soprattutto di <<riempimento>> da un contenitore capiente (l'educatore) ad uno concepito come vuoto (l'educando), si è approdati al termine <<formazione>> che ha il vantaggio di mettere in risalto con maggiore precisione la specificità attorno alla quale ci stiamo interrogando, che ha a che fare, appunto, col problema del prendere forma nella crescita, nelle diverse fasi della vita, nelle scelte più intime, nell'età adulta, ecc. Questa articolata prospettiva dei mutamenti umani ci consente di collocare la pedagogia in un ragionamento scientifico dalle radici piuttosto solide, delineando con accuratezza il significato di <<processo formativo>> che sta ad indicare, appunto, i modi in cui avvengono in ogni individuo i cambiamenti che gli fanno assumere nel corso della vita determinate forme umane: caratteristiche, visioni della vita, obiettivi, progetti, ecc[22].
L'attenzione viene posta sia alle strutture formative, come apparati, strumenti, mezzi, tecniche, ecc., sia al soggetto portatore di una necessità di formazione e di potenzialità che gli consentono di trasformarsi (di attuare in sé il processo formativo). Occorre interrogarsi quindi sulla natura dei bisogni formativi impliciti, espliciti e latenti, connessi alla personale realizzazione raggiunta attraverso le diverse esperienze individuali e collettive di una specifica società, chiedendosi come tali bisogni si articolino in presenza di una risposta tesa a soddisfarli, attraverso quali corsie preferenziali, con quali metodi e che tipo di risultati ci si aspetti da questo percorso.
Le moderne scienze dell'educazione hanno consentito di approfondire con accortezza lo studio del soggetto inteso come indivisibilità mente/corpo e nella sua appartenenza a micro e macrosocietà ben determinate, delineando chirurgicamente la mappatura del processo formativo a cui destinare l'azione educativa.
L'offerta formativa infatti non è concepita a priori ma è sagomata sulle reali esigenze del soggetto o dei soggetti, con il fine di farne emergere le potenzialità.
E' stata proprio questa la grande conquista della pedagogia moderna, la quale, uscendo da un approccio unidimensionale al processo formativo in quanto vincolata alla filosofia, è riuscita ad acquisire un approccio multidimensionale ai modelli utilizzati, grazie al contributo delle scienze dell'educazione. I modelli interpretativi che di volta in volta sono chiamati in causa devono rispettare i parametri evolutivi del soggetto destinatario dell'attività formativa e le loro chiavi di lettura sono sempre soggette ad essere rimesse in discussione perchè mai definitive e sempre reinterpretate alla luce di nuove acquisizioni, ricerche ed integrazioni[23].
Ecco che allora si chiarisce quale sia stata la reale necessità di coniugare filosofia (dell'educazione) e scienza, di fatti, senza questo stretto connubio, non sarebbe stato possibile distillare e allo stesso tempo ampliare lo spettro di lettura del processo formativo, inteso sia da un punto di vista strutturale e architettonico, sia dei contenuti e dei saperi elaborati.
Il destinatario del processo formativo, come abbiamo detto, è la persona intesa nella propria unicità e irripetibilità ma per arrivare a compiere questo passo in maniera concreta, senza correre il rischio di concepire questo concetto solamente come una mera struttura discorsiva, è stato necessario accedere ai contributi delle scienze psicologiche e sociali così da poterli calare all'interno del processo formativo e plasmarli in modelli empiricamente controllabili.
Questa apertura della pedagogia alle altre scienze empiriche, al fine di decantare i saperi del processo formativo e metterne in luce le piste e le corsie preferenziali per una sua migliore definizione ed interpretazione, rappresenta un punto di forza ma allo stesso tempo una debolezza che non ci consente di inquadrare bene il discorso da un punto di vista rigorosamente scientifico.
Se da una parte i modelli di carattere disciplinare presi in prestito dalle altre scienze  hanno aiutato a far luce sul percorso formativo, esplorandone aspetti limitrofi e specifici, dall'altra è necessario tener presente che nessuna disciplina a se stante riesce a cogliere questo intricato processo evolutivo in maniera unitaria e definitiva.
Il processo formativo, in altre parole, non è mai riducibile alle sue singole dimensioni costitutive, siano esse sociali, culturali o biologiche; per quanto puntuali e specifici, tali contributi sono necessari e funzionali solo per quella singola “stringa” del processo che hanno analizzato, senza poter pretendere di costruire un modello interpretativo dell'intero processo formativo.
In ogni ricerca in ambito formativo occorre selezionare dall'”archivio” delle scienze dell'educazione quei contributi che meglio si adattano alla risoluzione dei singoli problemi con l'accortezza però, di tener sempre presente che non basta semplicemente trasbordare una conoscenza da un campo di ricerca ad un altro ma occorre vagliarla e modellarla al fine di renderla significativa nel confronto con l'intero processo formativo (obiettivi, strumenti, metodi, valutazioni, ecc.)[24].
Per rendere funzionale questo processo di <<presa in prestito>> dei modelli dalle altre discipline occorre un sottile e allo stesso tempo robusto lavoro di intermediazioni e di confronti, affinché l'impianto formale utilizzato non cozzi con i modelli teorici di riferimento delle discipline alle quali facciamo riferimento. Oltre a questo problema, non possiamo ignorare la tendenza delle singole discipline ad ergersi come depositarie di verità assolute, soprattutto a causa della tendenza che hanno a stringersi in una sorta di corporativismo le cui teorie ergendosi a totalità interpretative della realtà umana, non riescono a superare la logica del separatismo e dell'autoreferenzialità[25].
Occorre ammettere allora di continuare a  disporre, in molti casi, unicamente di letture parziali della realtà umana perché i modelli funzionali non possono essere dedotti semplicemente trasponendo i contributi delle singole discipline né tantomeno muoversi all'interno di un universo costellato di saperi tra loro separati e non dialoganti. Senza una reale comunicazione fra specialismi né di un reale confronto  fra studi che utilizzano linguaggi diversi per analizzare il medesimo problema, non arriveremo mai una sintesi formale ed efficace di contributi disciplinari diversi in grado di cogliere l'eterogeneo processo formativo nella sua interezza e unicità.
   Un altro problema ancora oggetto di discussione riguarda la genesi e la dinamica del processo formativo, ossia il modo in cui avviene la sua costruzione e secondo quale dinamica. L'uomo entra in contatto con l'ambiente, prende forma adattandosi ad esso ma allo stesso tempo lo trasforma secondo le proprie esigenze attribuendogli significati specifici; senza questo meccanismo di interpretazione non avremmo la costruzione e l'evoluzione del sistema dei saperi di ciascun individuo e quindi non avremmo il processo formativo. L'uomo in quanto artefice della propria incompiutezza, è sempre chiamato a darsi una forma attraverso l'analisi della propria storia, interpretandosi ed elaborando continuamente saperi e conoscenze maturate con l'esperienza. Tutto questo fascio di informazioni rappresenta la <<cassetta degli attrezzi>> con cui affrontare in maniera costruttiva il rapporto con la vita e tessere il filo della propria identità attraverso la continua  accettazione e modifica della realtà stessa.
Trasformazione, interpretazione e creazione dei saperi rappresentano le tre parole chiave del processo formativo inteso come sistema che si alimenta attraverso l'elaborazione dei significati conoscitivi.
L'intera impalcatura formativa si alimenta di significati conoscitivi la cui elaborazione concorre alla costruzione di saperi sensomotori, emozionali e razionali, intesi come componenti che fanno parte, sì, di un medesimo disegno ma con radici appartenenti a <<terreni>> (sociali, culturali, bilogici e psicologici) diversi.
Se è vero che il processo formativo è specifico per ogni individuo in quanto riflette l'unicità soggettiva, è altrettanto vero che l'uomo è e si fa all'interno di una realtà condivisa con altri individui; ecco perché occorre pensare l'azione formativa sempre come un agire relazionale ossia come esperienza di rapporto tra persone costruttori di saperi diversi sul piano individuale, culturale e sociale.
Il processo formativo non è concepibile in maniera isolata, non è una reazione chimica che si svolge in un ambiente asettico ma è altresì un sistema aperto del quale occorre conoscere i sistemi dei saperi dei soggetti con i quali si ha a che fare, così da arrivare ad individuare i bisogni formativi individuali e gruppo.
Questi saperi personali espressi, rappresentano l'interpretazione della realtà che avviene attraverso l'elaborazione dell'esperienza maturata, ossia attraverso il vissuto di ciascuno; un mondo di saperi che si muove all'interno, che modifica gli individui nel rapporto che stabiliscono con il mondo esterno e che differisce nel modo in cui ognuno impiega  tali saperi per capire e comprendere ciò che è altro da sé.
I mattoni, intesi come saperi acquisiti attraverso il processo di apprendimento nell'età evolutiva, concorrono a definire l'edificio delle personalità durante tutto l'arco della vita, arrivando all'età adulta sempre più consolidato ma comunque sempre soggetto a revisioni e <<aggiustamenti>>.
Questi mattoni non sono comunque tutti uguali in termini di peso e consistenza, anzi, uscendo dai termini metaforici possiamo affermare che ogni sapere ha proprio una rilevanza ben precisa a seconda della natura e dei soggetti che li elabora, non solo, essi possiedono caratteritiche peculiari proprie, tali da permettere una minore o maggiore integrazione tra i saperi (sociali, culturali o cognitivi che siano), con diverse combinazioni possibili.
In età giovanile queste conoscenze partecipano alla costruzione del <<puzzle>> esistenziale soggettivo, mentre in età adulta quando questo puzzle è ormai formalmente compiuto, rimane ancora aperta la possibilità di rielaborare l'esperienza personale maturata durante tutta   l'attività di assemblaggio, recuperando i saperi personali da integrare con le riflessioni attuali.
Metabolizzando i diversi saperi che definiscono il profilo del soggetto, si arriva ad una integrazione delle conoscenze tale, da divenire un unico indivisibile, un sistema che si identifica insomma con la persona stessa. I saperi elaborati, naturalmente non sono eterni, hanno una durata necessaria a quella particolare fase di vita, poi, una volta divenuti inefficaci non finiscono nell'oblio ma vengono abilmente assorbiti nei caratteri permanenti della personalità, contribuendo a definire quello che è l'argomento della nostra trattazione: la dimensione della complessità nella costruzione della conoscenza nel processo formativo.
Il soggetto, immerso in un mondo i relazioni, imposta il lavoro della mente attraverso i parametri della mediazione continua, ossia mediante un lento e costante processo di costruzione che non è mai a priori ma sempre scandito dall'esperienza con l'altro da sé, piegato ai bisogni di vita individuali o collettivi.
Si viene a delineare, in conclusione, l'oggetto di studio della pedagogia, ossia la formazione, intesa come il prendere forma di ciascun soggetto, considerato nella sua individualità irripetibile e nella sua appartenenza a gruppi umani specifici, fornendo quindi una scansione di quelli che sono gli aspetti peculiari di tale intricato processo: il sentire, il pensare, l'adattarsi e il modificare. 


Certamente, seguendo queste direttive, occorre ripensare anche i termini di “educazione” e
“formazione”[26] che assumono una chiara corrispondenza semantica e pratica. Da una parte il
termine “educare” pone l’accento sull’azione del pedagogista, quale fonte indispensabile per la
formazione dell’educando; dall’altra, lo stesso termine indica il fatto che l’azione
del pedagogista non può in alcun modo agire senza tener conto delle potenzialità dell’educando,
né sostituirsi a lui, che risulta così essere il vero protagonista delle sua esperienza formativa.
Interdipendenza tra eteroeducazione ed autoeducazione
Iniziamo con il metter in rilievo i due significati essenziali del termine educazione come -
“nutrire”, che riconduce al concetto di “eteroeducazione”, e -“far uscire”, finalizzato all’
“autoeducazione”. In questo senso, l’educazione può esser pensata come un processo di sintesi
tra un dinamismo di autoeducazione e di eteroeducazione.
Se si volesse stabilire una sorta di priorità tra i due processi, si dovrebbe pensare ad un
rapporto complementare, di tipo “a spirale”. Indubbiamente, dal “punto di vista temporale”,
l’azione di eteroeducazione, quale processo che parte dall’esterno, è prioritaria
sull’auteducazione, mentre dal “punto di vista valoriale”, in realtà, viene prima di tutto
l’educando con tutte le sue potenzialità di crescita e, poi, l’azione dell’educatore, nel rispetto
delle esigenze dell’educando.
Si tratta, quindi, di un rapporto a spirale, in quanto l’eteroeducazione favorisce
l’autoeducazione e la maturazione del soggetto, che sempre nuova e specifica attenzione da
parte dell’ educatore, che a sua volta potenzia la sua crescita, e così via.
Necessità dell’educazione quale risposta ad un bisogno vitale
E’ evidente che la persona non può far a meno dell’educazione, né come individuo né come
essere sociale. Ma anche la società ha bisogno di educare le giovani generazioni, per garantire
la propria conservazione e il proprio sviluppo. In questo senso, l’educazione può esser pensata
come “processo di personalizzazione”, di “socializzazione”, di “inculturazione”.
Come processo di personalizzazione, l’educazione può esser pensata come realizzazione
progressiva di sé in quanto persona. Se così non fosse, l’educazione potrebbe configurarsi
come meccanismo di manipolazione dell’individuo da parte di altri soggetti. Inoltre, il
processo di personalizzazione non avviene in modo astratto, fuori dal contesto ambientale, ma
accompagnato da un corrispondente processo di socializzazione, di inserimento progressivo
della persona nella comunità. A sua volta, la socializzazione passa attraverso il processo di
inculturazione, ossia di assunzione graduale del linguaggio, dei valori, delle conoscenze propri
dell’esperienza e della visione della vita elaborata dalla società di appartenenza.
I tre processi sono tra loro interdipendenti, pur mantenendo ciascuno una propria
autonomia rispetto agli altri. Infatti, la persona non può esser confusa né tantomeno assorbita
con la dimensione sociale-culturale; la socialità non può esser limitata alla sua dimensione
culturale o di rapporti tra persone, ma si riferisce anche alle strutture, norme e istituzioni, che
interconnettono tra loro, come in una trama, ogni elemento della vita sociale; la cultura, a sua
volta, non può esser limitata alla vita dei singoli o alle vicende sociali, in quanto possiede un
valore sovraindividuale, metastorico, che fa riferimento alla spiritualità profonda che anima la
specie umana, di ogni tempo e di ogni luogo.
L’esperienza educativa è per natura, quindi, “sistemica”, nel senso che é un tutto organico, formato
da diversi fattori tra loro interdipendenti[27].
Essa, inoltre, è tale perché fondata sulla “relazione”. Inevitabilmente, proprio perché
esperienza umana, l’educazione ha il suo fondamento costitutivo nella “socialità”. Perdere il
senso dell’altro, in definitiva, equivarrebbe anche a perder se stessi. La relazione, inoltre, è
condizione necessaria anche perché l’insieme di fattori o elementi implicati nel processo
educativo possano costituirsi come “sistema”.
Il processo educativo, poi, si distingue per il suo carattere di “possibilità”, quale capacità di
dare un senso all’esperienza, cercando di colmare l’inevitabile scarto tra pensiero e azione, ma
nello stesso tempo anche di affrontare l’esperienza attraverso una “libera scelta”. In questo
senso, l’educazione è un processo di tensione intenzionale verso un traguardo non ancora
raggiunto, un “dover essere” tra realtà e speranza, tra natura, cultura e filosofia.

La pedagogia come scienza del cambiamento     
  
Il termine metabletica è stato introdotto da Van Den Bergh[28] ed è stato assorbito in ambito pedagogico; il suo significato riguarda il cambiamento, o meglio la trasformazione intesa non in senso arbitrario ma sempre sotto il controllo della volontà, ossia intenzionale e soggetta alle spinte motivazionali. L'approccio metabletico prevede, in ambito squisitamente pedagogico, lo studio e l'analisi delle condizioni che inducono i processi di cambiamento, allo stesso tempo, fornisce indicazioni circa le condizioni e gli strumenti necessari affinchè il cambiamento possa avvenire in modo razionalmente controllato, modificando le condizioni che ne bloccano lo sviluppo. Chi si educa cambia e chi cambia vive un processo formativo, quindi, possiamo affermare che non c'è educazione senza cambiamento e viceversa. Spetta alla pedagogia  ricostruire le dinamiche metabletiche che incidono nel percorso di vita del soggetto, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti cognitivi, affettivi e corporei, attraverso un processo che rispetti l'architettura profonda dell'impianto metabletico, riassumibile in cinque elementi cardine di stampo educativo:
la temporalità: rappresenta il processo di tipo educativo che ha a che fare con il concetto
di metabletica, tenendo presente che non si cambia sempre ma soltanto in determinate situazioni e per un certo periodo e attraverso modalità che nulla hanno a che fare con l'idea di progressività, continuità e cumulo;
la novità: ossia l'avvento dell'elemento a sorpresa, dell'inaspettato e dell'accidentale, che si manifesta attraverso l'evento, un incontro o un desiderio prima di allora sconosciuto, contrapponendosi alla routine, al quotidiano e ad ogni forma di consuetudine.Tutto ciò aiuta ad attivare le risorse necessarie per aduguarsi a situazioni diverse e quindi a cambiare i propri schemi o modelli comportamentali;
la spazialità: non esistono i luoghi sacri dell'educazione né il monopolio esclusivo di questo articolato processo; tuttavia, è anche vero che il cambiamento inteso in senso pedagogico non avviene ovunque, anzi, esso si realizza in determinate aree fisiche anziché in altre, al di là di ogni pretesa di categorizzare a priori spazi potenzialmente formativi
la direzionalità: ha a che vedere con lo scopo dell'agire pedagogico poiché l'azione educativa si giustifica mediante esso e il soggetto in formazione cambia in virtù degli atti intenzionati verso un obiettivo, contrapponendosi ad ogni forma di a-finalizzazione sia del cambiamento che del processo educativo
la reversibilità: riguarda il cambiamento in educazione che, oltre ad aggiungere, allo stesso tempo toglie qualcosa; ogni variazione prevede l' abbandono di una precedente forma, cognitiva, affettiva o comportamentale che sia, trasformando ciò che era in qualcosa di nuovo, ben oltre quindi la classica rappresentazione che vede nell'educazione lo sterile accumulo di nozioni, senza nessuna forma di continuità e di rielaborazione personale.
L'emozionalità: è un fattore decisivo nel cambiamento, attivabile attraverso i meccanismi del ricordo e della nostalgia; cambiare prevede infatti sempre uno scarto tra il prima e il dopo, tra una fine e un nuovo inizio, ossia tra un lasciarsi alle spalle un'esperienza ormai esaurita e l' affacciarsi ad una nuova e diversa realtà. L'elemento emotivo è quindi una componente imprescindibile del percorso formativo che completa l'elemento razionale e lo traspone su un piano idoneo all'attivazione della chimica del cambiamento, fungendo da reagente e da catalizzatore insieme. Ecco che allora tutti questi elementi si decantano in quel processo vitale che caratterizza la pedagogia moderna, ponendo al centro del proprio sistema la relazione come flusso di esperienze , necessarie per ogni tipo di cambiamento rilevante da un punto di vista strettamente educativo. Il lavoro pedagogico, detto in altri termini, “ha per scopo la modificazione di qualche parte di un tutto (in questo contesto, il ragazzo) per ristrutturare questo intero o una qualche sua componente”. La caratteristica di questo lavoro è perciò quella di porsi, sempre il problema di un cambiamento di strutture nel lungo o breve periodo”[29]. Operare con bambini, con ragazzi o adulti impone sempre la chiara consapevolezza, l’intenzionalità e le finalità, delle metodiche operative che verranno messe in atto negli interventi relazionali.“Il cambiamento educativo” sempre secondo Demetrio, “è un progetto ambizioso, un incidere, un graffiare intenzionalmente la vita individuale per lasciarvi un' impronta visibile”  . Poiché “il soggetto non è una tavola a-reattiva, o una carta assorbente desiderosa di intridersi”, può non accogliere immediatamente e spontaneamente il contenuto dell’atto educativo, in quanto è portatore di significati non congruenti con quelli degli atti di cambiamento. Occorre allora coltivare l’arte di invitare che si determina come pratica dalla caratteristica molto particolare, infatti, per compiersi pienamente ha sempre bisogno della decisa collaborazione di un’altra persona. Saper invitare si profila come quel modo di intervenire nella vita degli altri che è bene attuare (contrariamente ad un pregiudizio comune) perché non solo non soffoca la loro libertà ma, anzi, cerca di promuoverla al meglio”[30].La pedagogia intesa come scienza del cambiamento deve  suscitare nel soggetto in formazione degli “spostamenti di posizione” [31] proposti intenzionalmente dal pedagogista ma voluti, necessariamente, da entrambi. L’agire può avere questa connotazione dialettica: rendere consapevole l’altro del suo bisogno d’aiuto ed invitarlo a chiederlo, rispettandone radicalmente la sua libertà d’azione e di pensiero, lasciando l’altro libero di rispondere. Da queste considerazioni deriva che “il cambiamento educativo è  necessariamente  di natura relazionale” e che perciò esso si realizza sia grazie all’intervento di cause esterne sia per la scelta e la decisione consapevole del soggetto di cambiare[32].Occorre però chiarire la differenza tra relazione in generale e relazione pedagogica e  perché il termine relazione è quello che meglio qualifica la comunicazione educativa. La relazione, in generale, può essere definita molto semplicemente come il legame che unisce due o più persone. I motivi per i quali le persone si relazionano tra loro sono molteplici e, probabilmente, il principale è insito nella natura stessa dell’individuo, in quella tensione biologica alla consociazione che accompagna ciascuno di noi nella lunga storia evolutiva dell’uomo. Una relazione è strutturata su più piani e comprende variabili comportamentali dipendenti dalla natura di ogni individuo, e variabili affettive, dipendenti dal tipo di rapporto, più o meno intenso, che lega le persone coinvolte in esso. Queste variabili si esprimono nella percezione che si ha di se stessi,  nella percezione che si ha degli altri,  nel modo in cui ognuno si sente percepito dagli altri,  nelle conseguenze di precedenti esperienze di relazione, nelle aspettative che ognuno ha dell’altro,  nelle emozioni e nei sentimenti che vengono agiti e nelle regole che guidano il comportamento di ognuno.
La significatività della relazione pedagogica orientata in senso metabletico, è costruita interamente dalle persone coinvolte in essa, che possono renderla più o meno superficiale, più o meno matura, dal modo dunque in cui ciascuna ‘gioca’ se stessa in questa avventura, con quanta trasparenza od opacità è pronta ad agire nel circolo comunicativo e relazionale.
E’ perciò essenziale, nello stabilire la significatività di questo tipo di relazione, il grado di condivisione esistente tra le persone coinvolte, consistente non solo nel fare insieme ma anche nel rendere partecipi gli altri di ciò che si è fatto, detto, pensato e vissuto facendoli in tal modo essere e, presumibilmente, sentire dentro la propria esperienza facendo emergere a consapevolezza il proprio personale e specifico livello di radicamento. Quando la relazione tra due persone ha lo scopo unico di promuovere lo sviluppo e la crescita, oltre che la prevenzione e la cura di particolari stati di disagio, si definisce pedagogica ed assume anche, sul versante adulto che orienta, accompagna e supporta, la dimensione centrale ed essenziale della responsività[33].
Una delle caratteristiche principali della metabletica intesa in senso formativo o orientativo è, infatti, l’intenzionalità che fa dell’atto educativo, di questa relazione nel qui ed ora, un evento mirato ad obiettivi precisi e non improvvisato. L’intenzionalità fa agire il pedagogista con la consapevolezza e la certezza di sapere sempre i motivi per i quali si fa o non si fa una cosa. L’intenzionalità, infatti, si esprime formalmente nel progetto educativo, la grande trama che giustifica le nostre e le altrui azioni. La scelta del termine relazione, per definire la forma di comunicazione educativa più efficace, deriva dal riconoscimento delle sue peculiarità insite nella etimologia stessa del termine.
Il termine metabletica o trasformazione è quello che meglio esprime quelle condizioni necessarie perché un rapporto tra due persone sia definito educativo. Se si fa riferimento al latino, il termine relazione può derivare dal composto del prefisso “re” che esprime una ripetizione, oppure del suffisso “res” che indica l’agire nei confronti di un oggetto o un soggetto. La prima interpretazione rimanda all’aspetto della continuità che deve esserci nel rapporto tra due persone, la seconda invece si riferisce agli aspetti della referenzialità e della pragmaticità che riguardano un rapporto tra due persone che comunicano, che parlano di qualche cosa dall’atro e parlano l’uno all’altro, ma soprattutto che agiscono, che mirano a cambiare e trasformare ciò di cui si parla.
La continuità, la referenzialità e la pragmaticità sono i tre attributi, quelle peculiarità, come sopra detto, insite nella etimologia stessa del termine. La continuità implicita nella relazione si riferisce al legame duraturo e intenso tra due individui, che sussiste anche quando la comunicazione interpersonale non è visibile ma continua ad agire nelle azioni e nelle scelte del singolo. La relazione tra due soggetti, infatti, prevede uno scambio continuo di emozioni nuove da sperimentare e emozioni da rivivere attraverso l’altro . La referenzialità e la pragmaticità riguardano l’esistenza di un contenuto di cui parlare che diventa l’oggetto e l’obiettivo dell’intento educativo.
L’aspetto referenziale si riferisce al fatto che, nella relazione educativa, l’educatore i due soggetti della relazione hanno sempre qualcosa cui riferirsi. Può essere un problema pratico, un problema personale, oppure può riguardare opinioni, idee, emozioni o sentimenti che si vogliono condividere. Oltre che parlare insieme e riferirsi allo stesso contenuto, il pedagogista e il soggetto agiscono in vista di un cambiamento, di una trasformazione nelle biografie personali, di correzioni di tiro oppure di cambiamenti strategici[34].
La relazione educativa, dunque, costituisce la base di appoggio di qualsiasi intervento, la strategia più efficace per costruire un rapporto significativo e di fiducia senza il quale il lavoro educativo risulterebbe molto più faticoso e problematico, dal momento che ogni maturazione o cambiamento è impossibile in assenza di un coinvolgimento attivo dei soggetti nel processo che li rende attuali e possibili.
L’educazione è da intendersi allora, soprattutto come relazione interpersonale[35], in cui i due
“attori”, educatore ed educando, agiscono in modo autonomo e, contemporaneamente,
interdipendente, tendente all’unica direzione. In questa prospettiva, la comunicazione
interpersonale assume la forma di “comunicazione reciproca”, di apertura, scambio,
comunione.
Essendo fondato sull’interazione, il rapporto pedagogista - educando diventa un fatto di
reciproco modellamento-condizionamento. Inoltre, occorre riconoscere a ciascuno dei
protagonisti di vivere un proprio “ruolo”, che è asimmetrico sia per quanto riguarda il livello di
maturità personale sia il livello di decisionalità e d’iniziativa.
Questi riferimenti sono necessari per meglio delineare le caratteristiche fondamentali competenze
del pedagogista. Fondamentale risulta essere quella di assunzione di responsabilità
sia nei confronti dell’educando sia delle scelte o finalità educative, configurandosi come
responsabilità morale. Inoltre deve esser credibile, attraverso la coerenza tra pensiero e vita,
teoria e pratica. Infine egli deve saper incoraggiare i giovani verso una continua mediazione
tra finalità e azione tendente a quel fine.
Si possono indicare tre fattori principali di rilevanza pedagogica: il pedagogista in sé; l’azione che egli esprime per favorire il cambiamento e le parole che esprime affinché tutto ciò avvenga.
Il concetto di“ pedagogista in sè” riporta a tutte quelle problematiche della sua formazione che fanno da sfondo ad ogni discorso circa la potenzialità stessa dell’ azione educativa;
con il termine “azione”, quindi, ci si riferisce a tutta quella serie di comportamenti
del pedagogista nei confronti dell’educando che determinano la qualità stessa degli esiti
formativi e di cambiamento: si possono qui includere tutti i caratteristici comportamenti di tipo verbale e non verbale, qualificanti l’azione stessa del pedagogista, in stretta interdipendenza con il tipo di risposta emessa dall’educando, in una sorta di rapporto circolare, interdipendente; in questo
senso, l’uso del linguaggio è determinante, in quanto modulatore della comunicazione
interpersonale tra insegnante e allievo, madre-figlio, figlio-padre, fratello-fratello…
Il grande presupposto del cambiamento inteso in termini pedagogici è il concetto di “educabilità”, quale personale capacità di vivere e di partecipare in modo attivo alla suo processo educativo.
L’uomo, infatti, è educabile perché possiede facoltà psichiche aperte e modificabili, cioè
dinamiche. In questo senso, l’educabilità coinciderebbe con la sua intelligenza, con le sue
potenzialità. Teniamo presente, però, che è inevitabile che l’uomo si formi, quindi, attraverso
una continua interazione con il vissuto sociale. Nello stesso tempo la sua educabilità non può
esser interamente condizionata da fattori sociali o biologici, anche se il  discorso pedagogico non può trascurare il fatto che l’educazione avviene entro determinati contesti di personalità, culturali
e sociali.
L’intenzionalità educativa, quindi, si esplica se la pedagogia riesce a porsi anche come
scienza dell’uomo educabile attraverso l’utilizzo di conoscenze scientifiche e su un
metodo educativo, attraverso un’interazione con le scienze, la ricerca di unitarietà tra gli
apporti offerti dalle varie discipline. In questa prospettiva trova collocazione anche il
discorso sulla necessità di un’educazione integrale dell’essere umano, in una sincronia tra
il tutto e le parti, volte al cambiamento e alla crescita armonica della personalità
Solo così è possibile parlare della funzione del pedagogista come arte d’incontro, che nel rispetto
della libertà dell’educando ne promuove l’autonomia e la volontà di autorealizzazione,
mantenendosi autentico e coerente con la propria identità, pur nella continua tensione all’unità
compartecipativa del suo essere con quello dell’educando. Il rapporto educativo, quindi,
come continua tensione all’Essere, permea la sua azione di quell’essere, fatto di incontro sul
piano esistenziale e umano, di mediazione e ricerca che richiama alla continua dialettica tra
potenza e atto, tra essere e dover essere[36].

La Pedagogia professionale

Abbiamo avuto modo di approfondire gli aspetti più importanti della pedagogia e messo in risalto il suo volto più attuale; abbiamo definito la pedagogia come scienza dei processi formativi e visto come il suo come campo di lavoro e di interessi sia l’educazione e quindi il cambiamento dell'individuo. Più precisamente la pedagogia è stata inquadrata come teoria dei processi educativi ed è stata scandagliata nei suoi diversi piani epistemologici e professionali: eticofilosofico,
psicologico, sociologico, didattico e relazionale[37].
Abbiamo altresì accennato (e qui adesso riprenderemo il discorso) come questa contaminazione contenutistica abbia reso la pedagogica dipendente dalle altre discipline e l’abbia relegata in uno stato di “ancillarità” rispetto alle altre, fino ad arrivare (erano gli anni ‘ 80/ ’90) a parlare di una crisi della pedagogia, proprio a causa  della mancanza di un proprio statuto epistemico. Questo ha generato una disordinata ricerca di scientificità di derivazione extradisciplinare, nonostante negli ultimi anni la pedagogia stia recuperando un assetto epistemologico basato essenzialmente sul modo di operare, detto clinico, che fu sperimentato nel passato da pedagogisti come Itard, Seguin, Montessori, Decroly, Claparede.
Se la pedagogia è la scienza che si occupa di studiare i processi formativi, essa ha a che vedere da una parte con lo sviluppo, la maturazione, la crescita e il cambiamento del soggetto nel tempo, in un determinato contesto sociale, dall'altro all'unicità del soggetto e all'irripetibilità delle sue scelte, interpretazioni e percorsi di vita. La pedagogia clinica intesa come scienza centrata sul soggetto in formazione, sembra essere un ottimo connubio tra queste visioni solo apparentemente antitetiche. La pedagogia è e si fa per la persona intesa come un unicità che è sì destinataria di un suo privato percorso formativo ma allo stesso tempo aperta alle realtà altre, incrociando persone, percorsi e tracciati diversi che la vedono inserita sempre e comunque in un detrminato contesto di vita. 
Il Pedagogista clinico si definisce tale in quanto il suo è un approccio di tipo individuale, basato sul caso singolo e la valenza del termine giustifica anche i paradigmi fondanti della pedagogia clinica:
l’empiricità, l’individualità e l’ecologia.
La pedagogia clinica ha come oggetto di studio il soggetto individuandone i bisogni formativi al fine di inquadrare un percorso educativo atto a favorire cambiamenti, intesi in termini di crescita, maturazione ed aiuto allo sviluppo.
 Ormai la ricerca da più parti è impegnata su questo fronte, già Massa parlava di “clinica della formazione” intendendo con questo termine la necessità di inquadrare il discorso formativo centrandolo sul singolo, considerato nella propria unicità e inteso come portatore di bisogni particolari, dai quali occorre partire per elaborare un progetto che abbia come obiettivo il cambiamento[38].
La pedagogia, intesa in questi termini è allora  un percorso educativo il cui obiettivo è l'apprendimento. Per attuare l’apprendimento abbiamo bisogno però di metterci a studiare i processi, i progetti e gli interventi che ci consentono di arrivare a dei risultati, intesi in termini di cambiamento, che scaturiscono proprio dall’obiettivo di produrre un apprendimento consapevole, cioè voluto e cercato, ossia razionale, come può essere un corso intrapreso di propria spontanea volontà. L'esigenza della formazione si manifesta come evento scatenante, ossia come un qualcosa di molto evidente e che non si può fingere di ignorare, che fa scattare la molla dell’esigenza di innovazione, di riforma, o di qualcosa che porti ad un netto miglioramento. Da questa premessa si procede all'identificazione del bisogno, ossia all’individuazione del problema che si è manifestato e si razionalizza, nel migliore dei casi, per vedere dove è necessario il miglioramento o il cambiamento da promuovere. Si arriva così alla definizione del problema che è’ la vera e propria diagnosi necessaria per risolvere la situazione e dalla quale scaturirà una ipotesi di soluzione, ossia  delle idee che possono aiutarci e guidare verso la soluzione più ottimale del problema che, in questa sede, si concretizza come domanda di formazione. Da qui scatta la vera e propria domanda di formazione ed è il momento dalla presa di coscienza che fa sentire l’esigenza di un intervento superiore e specifico per ogni caso. Se perciò la Formazione, in generale, indica qualunque pratica consapevole e intenzionale per l’apprendimento, la Clinica della Formazione intende cogliere il  sempre presente nel mondo stesso della Formazione organizzata.La Clinica della Formazione attinge direttamente dal mondo della vita (Fenomenologia di Husserl), con la sua materialità Educativa, attraverso le dinamiche esterne e interne, similmente ad una reazione chimica, le quali, rendono possibile il processo formativo. La Clinica della Formazione promossa da Massa[39] vuole proporsi come mediazione educativa tra il mondo della vita e quello della Formazione attraverso azioni intenzionali, dai quali scaturisce Il Metodo Clinico che si fonda su due campi connessi alla Pedagogia: la Medicina e la Psicologia, o meglio, la Psicoanalisi. Si approda quindi su un terreno diverso da quello abituale della pedagogia classica. Non si parte più da una teoria generale in grado di comprendere tutte le situazioni problematiche pratiche ma al contrario lo Sguardo clinico qui proposto è uno sguardo empirico, fondato cioè sull’esperienza. Infatti, il termine Clinica deriva dal greco klino, cioè chinarsi, curvarsi sul malato che giace sul letto, ed è proprio ciò che fa il medico quando si china, con intento conoscitivo, sul malato per visitarlo. E, in una situazione del genere, non ci si può semplicemente mettere in una posizione frontale, perché bisogna entrare nelle situazioni che ci hanno sottoposto delle precise richieste per capire i processi e le dinamiche senza classificarle o etichettarle. Significa, cioè, mettersi nei panni dell’altro e considerare normali e naturali anche il malessere, il disagio e la malattia. Così l’atteggiamento clinico, sempre in evoluzione, quindi di conoscenza, divenuto atteggiamento di ricerca, oltrepasserà un sapere che viene calato dall’alto, come il medico che si china per creare una situazione di Ricerca Congiunta, che si fa insieme tra Formatore e Formando, scoprendo e imparando insieme.
E’ un percorso a due o più persone. E’ possibile così esplorare aspetti di margine di possibili transizioni legate alla vita vissuta da ciascuno.
Il contributo della Psicoanalisi rende molto efficace la teoria pedagogica clinica qui proposta, facendo attenzione però a non confondere i ruoli e chiarendo che non esiste la pretesa di fare gli psicologi o gli psicoanalisti, perché, prima di tutto non c’è la preparazione adatta e poi perché il sapere psicoanalitico non viene utilizzato per interpretare il mondo interno dei soggetti, ma viene utilizzato come schema di analisi e decodificazione di elementi fantasmatici e rappresentazionali. Il concetto di Clinica, comunque, oltre a basarsi sullo schema di analisi e decodificazione della pratica psicoanalitica, prevede, esattamente come la precedente, un setting specifico e variabile ad ogni situazione in cui si deve entrare per conoscere i particolari e i processi dinamici che vogliono una risposta.
Il setting o situazione è uno specifico spazio simbolico, se non fisico (come l’aula o una stanza) in cui poter svolgere un’azione; questo contesto si costruisce da sé col gioco delle relazioni e dei rapporti tra gli attori della situazione e possiede regole e ruoli che si possono modificare facilmente.
L’atteggiamento clinico è, perciò, attento allo spazio istituzionale, a quello simbolico del gioco relazionale e del suo contesto ed è per questo che nel metodo clinico sono presenti sia la dimensione esperienziale che quella sperimetale (di ricerca)[40].
E’ un processo circolare di teoria-prassi, cioè un continuo confronto della ricerca con l’esperienza, nel suo processo evolutivo (Ermeneutica), inoltre, ma non per ultimo come importanza, c'è l' aspetto fondamentale legato alla  dimensione linguistica, infatti, non si possono conoscere i propri bisogni se non attraverso la comunicazione linguistica.
La pedagogia clinica lavora proprio su ciò che si dice, sul modo in cui vengono esposti i problemi, sul modo di esprimersi e sul linguaggio usato dai soggetti che devono produrre dei testi scritti, basandosi molto sulle proprie esperienze personali. Partendo da qui, si fa un’ interpretazione per vedere come si parla della Formazione, cosa si pensa, come la si definisce.
In questi scritti c’è una dimensione nascosta che rinvia all’idea di latenza di formazione, sono cioè gli elementi che, nel racconto, vengono lasciati in ombra durante il percorso educativo.
Questa latenza si riferisce ad aspetti della formazione meno percepiti e più impliciti. Infatti, la radice etimologica della parola lat rinvia all’idea di rifugio o luogo protetto e appartato, come una nicchia, un proprio spazio interno, nel quale si possono decodificare e decostruire le rappresentazioni mentali e i vissuti affettivi di esperienze della circostanza per capire i meccanismi processuali a cui danno luogo, per poi interpretarli.
In sintesi gli elementi fondanti della clinica della formazione e quindi della pedagogia clinica stessa, sono da una parte la dimensione esperienziale cheriguarda l’esperienza di tutti i giorni, dall'altra la dimensione sperimentale che è la vera e propria ricerca, che si può fare anche con elementi che esulano lo specifico psicoanalitico, fino ad arrivare alla dimensione linguistica, legata appunto al linguaggio parlato, il tutto, si realizza all'interno di una complessa dinamica, di  un processo, appunto, circolare (ermeneutico) di teoria-prassi[41].
Anche Crispiani ha dedicato molte ricerche in favore della pedagogia clinica per meglio definire tra l'altro, la figura del pedagogista clinico, ipotizzando metodi, strumenti, lessico e ambiti di lavoro. Per Crispiani si deve ad Itard, medico e pedagogista dei primi dell’Ottocento, la nascita della pedagogia clinica , intesa come connubio tra scienze dello sviluppo e scienze dell’educazione che oggi è alla base della scientificità della pedagogia.
Lo studio condotto da Itard sul fanciullo selvaggio portò alla individuazione di diverse fasi utili
nell’ambito specialistico: la distinzione tra condizioni organiche e funzionali, la dipendenza
formativa dalla situazione di vita, il condizionamento dell’azione educativa da parte di disabilità,
ritardi e deprivazioni.
Nell’osservare il fanciullo selvaggio, Itard attuò una serie di atti importantissimi per la futura
disciplina: l’osservazione diretta ed empirica del fanciullo, l’osservazione sia in condizioni spontanee che provocate, la redazione di una diagnosi funzionale completa sulla funzione motoria, percettiva,emotiva, affettiva, intellettiva, linguistica e sociale, infine,  l’elaborazione di un progetto educativo per mete, obiettivi ed ipotesi di lavoro.
Itard partì dalla considerazione che il fanciullo selvaggio, non potendo essere confrontato con
nessun altro individuo, doveva essere studiato nella sua singolare unicità e doveva essere
confrontato solo con se stesso . Per questo motivo, lo studio del medico pedagogista sul fanciullo
procedette attraverso l’osservazione empirica e fenomenica dei comportamenti e attraverso il
coinvolgimento delle funzione biologiche complete della persona.
Rilevando la stretta relazione tra l’educazione e lo sviluppo delle funzioni umane, Itard pone le basi
professionali per la pedagogia clinica. Itard costruì l’impianto della pedagogia clinica basandosi essenzialmente su diversi paradigmi, come la distinzione organico-funzionale riguardante la duplice natura delle patologie e dei comportamenti umani, arrivando ad intuire se i deficit mentali sono congeniti o acquisiti ed applicando progetti educativi specifici e calibrati sul deficit riscontrato. Per arrivare a questo, occorre però partire dal presupposto dell'educabilità dell'uomo in qualsiasi momento delle a vita, infatti, partendo dal concetto che il fanciullo selvaggio, sollecitato dagli interventi educativi dello stesso medico, poteva pervenire ad uno sviluppo delle capacità biopsichiche, si può affermare che tutti gli individui sono perfettibili e quindi possono essere
sottoposti ad interventi educativi che ottimizzino le funzioni evolutive.
 Itard mette al centro del proprio lavoro l’osservazione con l'intento iniziale di lasciarsi coinvolgere emotivamente, cognitivamente ed affettivamente nella situazione di studio, ma distaccandosene alla fine per elevarsi al livello di interprete degli stati emotivi dell’individuo in osservazione.
 Un altro importante punto cardinale di questo impianto risiede nel primato corporeo e sensoriale, mettendo l’accento sul condizionamento che le condotte e gli stati psicologici delle persone subiscono dalla biologia. L’azione diagnostica deve pertanto cominciare dalla dimensione corporea e sensoriale, tenendo conto dell'importanza di considerare l'individuo non come una sommatoria di parti a se stanti ma come una totalità integrata. Con il termine “ecologia”si intende una presa in carico totale, infatti, Itard voleva tentare un approccio globale all’intera personalità dell’individuo, cercando di valutare tutti gli aspetti dell’intera unità bio-psichica operante (motori, percettivi, logici, linguistici, emozionali, affettivi, sociali, morali).
Tale paradigma è importante perché lo sviluppo intellettivo e lo sviluppo fisico di una
persona avvengono simultaneamente e si influenzano a vicenda. Occorre comunque ricordare che il termine “clinico” non è mai stato utilizzato da Itard, ma è stato da lui messo in pratica,
nel senso che, studiando il fanciullo selvaggio, ha adottato un atteggiamento empirico
(diretto e ravvicinato, ai piedi del letto), ecologico (ha osservato tutti gli aspetti della
persona), adattivo (ha sperimentato modalità plurali individualizzate).
Per arrivare a questo, Itard ha utilizzato materiali che ha inventato, modificato,
perfezionato e che oggi costituiscono un importante corredo del lavoro del pedagogista. Tali
materiali itardiani sono stati utilizzati successivamente da Montessori, Decroly, Vigotskij. Insomma,  questi contributi sono stati l'alimento principale che hanno consentito alla pedagogia di ergersi a  pedagogia scientifica e Itard, con la sua formazione medica, ha veicolato l’idea della duplice
funzione della pedagogia che deve muoversi entro i versanti dello sviluppo umano e dei
processi educativi. Ciò anticipa il carattere transdisciplinare della pedagogia che mutua le
conoscenze da altre scienze affini come la neurologia, la psicologia, la sociologia, la
filosofia, per utilizzarle sinergicamente, senza pregiudiziale distinzione di campo,
nell’approccio ecologico alla persona. E' da questo che scaturisce l'idea del progetto, inteso come un “guardare avanti” al fine di costruire un precorso evolutivo, certi della base dalla quale partiamo; dopo il primo lavoro di diagnosi, infatti, occorre elaborare il progetto basato sugli
obiettivi da raggiungere e sulla verifica degli apprendimenti attesi e dei comportamenti
manifestati[42].
Insomma, da quanto detto emerge chiaramente la centralità della fenomenologia del cambiamento all'interno dell'agire pedagogico e ne è stata chiaramente esposta la sua fisica più profonda. Occorre adesso però introdurre all'interno del quadro concettuale della pedagogia professionale la variabile umana, ossia l'elemento destrutturante che ha il pregio di rendere visibili nella loro materilità i concetti esposti, così da poter effettivamente affermare che ciò che abbiamo messo sotto analisi e sottoposto ad un agire intenzionale (educativo), possa essere al termine dirsi effettivamente <<cambiato>>-
Detto questo occorre allora cominciare a ragionare anche su altri elementi necessari all'azione pedagogica, quali ad esempio il tempo lasciato all'educando e considerare gli spazi necessari, affinchè il processo educativo possa effetivamente avvenire anche a livello emozionale, cogliendo le novità che qui si propongono. Conoscenze, stili di vita e comportamenti appresi devono inoltre essere soggetti a reversibilità ossia alla possibilità per il soggetto di rimanere libero di scegliere di non continuare ad essere sempre uguale a se stesso, oltre naturalmente alla direzione, ossia gli atti messi in opera dall'educando e dal pedagogista seguono necessariamente uno scopo ben definito. C'è da chiedersi però se il successo dell'attività formativa, ossia il cambiamento auspicato che si verifica, sia dovuto alla personalità del pedagogista, alla sua <<voglia>> e quindi alle sue caratteristiche più umane anziché professionali. Se così fosse, dovremmo ammettere che per il pedagogista sia sufficiente una buona dose di volontà e di pazienza per raggiungere i risultati attesi, tuttavia, come ben ricorda Demetrio, atteggiamenti di questo tipo non possono andar oltre il mero assistenzialismo, in un'ottica squisitamente pedagogica, invece, quello che interessa è modificare la situazione esistenziale del soggetto, nonostante l'incertezza (o le incertezze) situazionali, soggettive, occasionali, etc., che costantemente si manifestano all'interno della relazione educativa. Accettare la sfida della instabilità significa decidere di abbandonare l'ottica assistenziale, (che vuol mantenere la condizone dell'individuo così come si manifesta nel qui ed ora) per proiettarsi invece nel pieno delle dinamiche formative, rimettendo sempre in discussione mezzi e finalità, in vista del traguardo da raggiungere[43].
La sfida pedagogica, professionalmente intesa, non accetta di adagiarsi in se stessi o su gli altri ma stimola a reagire costantemente, aiutando a convogliare forze, risorse ed energie affinchè il soggetto riesca ad uscire dalla propria difficoltà. Aiutare a capire, a riflettere, a stare con gli altri, ad accettarsi, significa proprio predisporre uno spazio (fisico e relazionale insieme) affinchè il cambiamento possa manifestarsi, mettendo il soggetto nella condizione di poter utilizzare gli strumenti messi a disposizione dalla relazione e cominciare così a rielaborare vecchi schemi per proporre forme nuove, arricchite da pratiche e stili comunicativi diversi.
La pedagogia professionale orienta gli sforzi verso la possibilità di costruire una relazione educativa  tale, da consentire al soggetto di ripensarsi e ricomprendersi all'interno di una cornice formativa più ampia rispetto a quella vissuta fino ad allora, così da collocarsi e riorientarsi in maniera piùfunzionale, in armonia con la propria natura più autentica.
La pedagogia professionale gioca insomma le sue carte in un preciso ambito, quello della cura (di cui avremo modo di parlare più avanti), tenendo conto del <<caso>> ossia della specificità della situazione che andiamo ad affrontare e dell'unicità ed irripetibilità del soggetto con il quale entriamo in relazione. La pedagogia professionale si coagula all'interno di un contesto denso di problematicità e di complessità, di incertezze e di equilibri instabili che necessitano di continui ripensamenti ed aggiustamenti affinchè le azioni educative non si rivelino eccessivamente intrusive e quindi prive  di una vera e propria caratura formativa, né troppo lasciate al caso perchè si corre altrimenti il rischio di lasciare il soggetto sprovvisto di orientatori e di regolatori, necessari per prevenire ogni forma di deriva esistenziale. Molti possono essere i fattori che compongono una problematica pedagogica: le difficoltà delle relazioni genitori-figli, gli svantaggi sociali, i conflitti culturali, l'inserimento delle persone diversamente abili, il reinserimento dei detenuti, la riabilitazione dei tossico-dipendenti etc, sono tutti fattori che possono essere oggetto di specifici interventi educativi oppure possono far parte di un insieme di elementi problematici rilevanti per l'agire pedagogico.
Educare significa "tirar fuori" ciò che è dentro alla persona: significa cioè valorizzare quanto di meglio ci sia potenzialmente in un individuo. L'educazione consiste in un rapporto tra due persone: un educatore ed un educando. Il pedagogista deve adeguarsi (e di conseguenza adeguare l'intervento educativo) al livello dell'educando, comprendendo i suoi bisogni e incentivando le sue competenze[44].

Il concetto di clinica in Pedagogia
Le ricerche pedagogiche ultimamente sono sempre più indirizzate in settori che hanno a che fare con l'ambito clinico[45], evidenziando come sia importante centrare l'attenzione sulle abilità sommerse del soggetto al fine di recuperarle e nutrirle, anziché considerare unicamente gli aspetti deficitari o mancanti. Declinare in senso clinico la pedagogia vuol dire considerare questa disciplina in un'ottica individuale, centrata sul singolo e sulla  specificità del soggetto in questione, in un preciso preciso contesto di vita. Il pedagogista allora, assumendo un ruolo di tipo clinico, si preoccuperà di assumere il ruolo osservatore non distaccato ma in relazione, con intenti diagnostici, progettuali e di intervento, portati in modo estremamente ravvicinato e seguendo un preciso iter che tenga conto degli obiettivi preposti e dei bisogni educativi più emergenti (mai definiti in modo stabile ed univoco ma sempre da rimettere in discussione, accordando l'osservazione con i bisogni nuovi del soggetto che di volta in volta si presentano e chiedono di essere interpretati alla luce della situazione di vita presente).
L'ottica clinica prevede l'assunzione di due concetti cardine, intorno ai quali ruota tutta la disciplina pedagogica professionale: l'individualità e l'empirismo. La prima ha a che vedere con l'azione intellettuale e professionale orientata sulla singolarità e la specificità dei casi, come già accennato in precedenza, rilevando particolarità ed eccezioni dalle condotte di gruppi, individui, ecc.
La seconda ha a che vedere con un approccio alla situazione di tipo ravvicinato, oculare, mantenendo comunque sempre una duplice valenza, in cui interagiscono simultaneamente sia l'azione incentrata sull'uomo, sia quella sull'educazione.
Ecco che allora la pedagogia clinica si propone da una parte come scienza dello sviluppo umano e dall'altra come scienza dell'educazione, attenta quindi sia all'educazione, sia ai processi evolutivi umani (motori, sociali, intellettivi, linguistici, adattivi, ecc.), orientata sempre nell'azione professionale specifica. Per agire in senso clinico occorre allora conoscere i fenomeni sui quali si lavora e quindi aver maturato conoscenze relative sia allo sviluppo umano, (ossia alle dinamiche evolutive del singolo e dei gruppi), sia all'educazione ( relativa invece all'andamento dei programmi didattici, scolastici, riabilitativi, formativi, ma anche alla gestione di scuole, servizi pedagogici, ecc.).
Si viene quindi a delineare una disciplina che si interessa della conoscenza operativa orientata sulle diverse singolarità facendo emergere i bisogni di ciascuno in un preciso contesto di vita. Tutto ciò è reso possibile dalle azioni diagnostiche di competenza pedagogica (lontane quindi da quelle  psicodiagnostiche) e dalle azioni pedagogiche, pur consapevole di utilizzare conoscenze maturate sul terreno psicologico e condividendo quindi con essa  ambiti e settori (di lavoro e di indagine) ma differenziandosi negli strumenti utilizzati e nella tipologia di lavoro.
La pedagogia clinica è la scienza che interessandosi dello sviluppo umano, studia i processi evolutivi individuali attraverso una specifica diagnosi evolutiva mentre, nell'ambito dell'educazione, indaga i processi educativi, ovvero le risorse e le modalità dell'aiuto allo sviluppo, attraverso la formulazione di diagnosi educative.
Gli ambiti di indagine della pedagogia clinica sono dunque caratterizzati da una duplice configurazione, dove ciascuna, pur abitando la medesima piattaforma clinica, presenta specifici indicatori metodologici ed opearativi riguardanti le condotte professionali, le procedure e gli strumenti utilizzati.
La piattaforma pedagogica evolutiva valuta i processi evolutivi nelle singole persone, inoltre, indaga ed interviene con gli strumenti educativi partendo da un'osservazione ravvicinata, con attenzione alla specificità del caso, e con riguardo a tutte le dimensioni della personalità ed ai relativi contesti di vita.
La piattaforma pedagogica educativa comprende un approccio valutativo ed operativo che tiene conto della qualità dei servizi formativi e delle modalità con cui si attivano i processi educativi, elementi centrali nella relazione di aiuto allo sviluppo delle funzioni personali. 
Ecco allora che procedendo in questa direzione, la pedagogia clinica si confronta necessariamente con lo stato evolutivo degli individui, il che fornisce il senso ed il nesso necessario tra educazione e processi evolutivi, così come tra diagnosi educativa e diagnosi evolutiva[46].
La pedagogia clinica si determina insomma come scienza fondata sullo studio del caso e sul metodo di indagine attraverso atti tipicamente predittivi, procedendo per ipotesi, riscontri progressivi sul caso in esame, raccolta di dati in partenza, revisioni delle ipotesi iniziali, ecc., focalizzando gli sforzi conoscitivi ed operativi su entità reali e complesse, al di là di ogni ogni enunciazione generale priva priva di visibili riscontri con l'esistente e la sua fenomenologia.
Una pedagogia proiettata quindi sul campo, volta a risolvere problemi specifici che si presentano nelle diverse istituzioni educative, una disciplina epistemologicamente matura che spinge a collocare il campo di esercizio della pedagogia oltre l'ambito meramente conoscitivo per orientarsi invece in direzione dei processi di formazione integrata e totale dell'uomo in tutte le possibili condizioni di vita[47]
L'educazione si delinea allora come processo di aiuto allo sviluppo umano, in quanto tendente all'integrazione delle strutture biologiche, psicologiche ed operative della persona, con il fine di favorire maggiormente la sinergia di tutte le funzioni che compongono l'individuo.
Naturalmente la vocazione clinica della pedagogia non è da confondersi con quella psicologica, pur condividendo con essa l'interesse per la dimensione dinamica evolutiva del soggetto, infatti, ogni soggetto è da considerarsi come un evento dinamico e singolare, difficile da classificare, dove l'intervento pedagogico non è volto a intrappolare in schemi o categorie ma ad ideare creativamente soluzioni concrete e nuove ai fatti con i quali il clinico si trova ad operare. Il lavoro pedagogico/clinico si declina quindi su due livelli fondamentali irriducibli e necessari: l'elaborazione di idee/teorie fondamentali da un lato e la sensibilità ai casi particolari e concreti dall'altro. Schemi concettuali e generali compenetrano e si infrangono nel reale e nel singolare, fertilizzando il terreno della relazione teoria-prassi di cui si nutre la disciplina scientifica pedagogica[48].  
La pedagogia clinica lavora quindi cercando il connubio tra idee fondamentali (e generali) e casi particolari affinché sia possibile procedere con  razionalità scientifica e organizzare/sistematizzare l'esperienza clinica all'interno di modelli che la dotino di senso senza correre il rischio che rimanga isolata e priva di ogni possibile utilizzo futuro.
Ancorando insomma i concetti della pedagogia generale alla realtà formativa singola e concreta, unica e soggettuale, è possibile fornire una lettura complessa ed interpretativa dei fatti umani, procedendo oltre le parvenze e riflettendo sui dati empirici, dai quali si ricavano sintesi originali e significative sulle vicende formative[49].
  Sviluppo ed educazione rappresentano i due termini chiave che caratterizzano la pedagogia professionale, un dominio di lavoro ad ampio spettro che costringe all'adozione di un adeguato statuto epistemologico in cui si riconosca alla pedagogia sia la funzione di studio dello sviluppo umano, sia la funzione complessa di scienza dell'educazione; un duplice impegno che vede questa disciplina interessata  allo sviluppo e all'educazione dell'uomo, centrando l'attenzione sulle condizioni nelle quali il soggetto si forma nell'arco della vita, senza trascurare quindi i processi apprenditivi e le modalità di insegnamento/educazione, intesi sempre in un regime di simultaneità continua.
La pedagogia si identifica così con il processo formativo, andando ad indagare le giunture e le connessioni che esistono fra educazione e sviluppo che insieme danno vita alla scienza della formazione umana, che, in un'ottica clinica, permette di affrontare i problemi della formazione e dello sviluppo della personalità umana.
Il termine clinico, abbinato alla pedagogia permette di assumere i caratteri dell'empiricità e dell'individualità, permettendo di percepire, osservare, studiare, diagnosticare e progettare, assumendosi la responsabilità dell'individuo e delle sue condizioni vitali.
Lavorando con entità discrete, reali e complesse, il pedagogista deve necessariamente definirsi clinico, ben oltre quindi la generale convinzione che il pedagogista debba solamente occuparsi di riflettere sul fatto educativo ed accettare una formazione che si pensa derivi da un semplice accostamento di discipline attinenti all'ambito formativo. Nonostante la necessaria esigenza di confrontarsi con le discipline empiriche limitrofe (psicologia, neuropsichiatri, antropologia, ecc.) la pedagogia clinica ha maturato aspetti conoscitivi e metodologici tali da penetrare in profondità nella complessa fenomenologia dell'individuo che evolve divenendo a tutti gli effetti scienza della formazione umana, attraverso studi sia propri che di sintesi (derivanti cioè da ambiti disciplinari affini).
Si viene a delineare allora uno statuto epistemologico complesso aderente alla complessità dei processi formativi a forte vocazione trans-disciplinare e tendente ad uno stile di lavoro clinico, dove  l'attenzione è diretta tanto ai processi di sviluppo, quanto ai processi di aiuto allo sviluppo[50]
La pedagogia clinica si occupa quindi di condurre studi inerenti i seguenti ambiti:
1)      lo sviluppo umano riguardante i processi di crescita e maturazione concepiti in un'ottica integrata e totale della personalità, analizzando le condizioni soggettive ed oggetive,  le tendenze e soprattutto i fattori favorevoli od ostacolanti per valutarne la norma e il tipo;
2)      i fini dello sviluppo ossia l'orizzonte valoriale connesso all'esistere umano nelle dimensioni individuali, come ad esempio libertà e tolleranza, oppure sociali, come cultura e pluralismo;
3)      la riflessione epistemologica  riguardante invece la necessità di ridefinire costantemente i confini della scienza pedagogica clinica e le relazioni trans-disciplinari, le procedure, i modelli e la genesi del modello di riferimento attuale;
4)      la teoria dell'educazione intesa come studio delle condizioni procedurali, tecnologiche ed ambientali per l'aiuto dello sviluppo della personalità.
Questa sommaria sintesi serve insomma a delineare la pedagogia intesa come scienza autonoma di natura essenzialmente empirico-ermeneutica(basata su dati esperienziali con aperura all'interpretazione di ciò che avviene, del vissuto e del contesto); orientata in senso clinico (e quindi calibrata sul soggetto, la situazione vissuta, il contesto, sempre in un'ottica ecologica); utile a tutti gli operatori sociali e culturali che quotidianamente si confrontano con soggetti di diversa età nei più svariati contesti (scuola, famiglia, agenzie formativi, centri socio-educativi, studi privati, ecc.)[51].
La pedagogia clinica rappresenta allora un'importante aspetto del sapere educativo che indaga sul campo i processi formativi (evolutivi+educativi) con atteggiamento analitico, sulle dimensioni corporea, psicologica ed operativa della personalità e sulle funzioni che che i soggetti manifestano nel loro agire quotidiano.
La scienza clinica in un'ottica pedagogica assume una forma progettuale capace di corrispondere alla piena originalità di ogni situazione formativa, capace di tener conto delle dverse dimensioni soggettive (cognitive, affettive, creative, ecc.) e focalizzarle sotto una lente interpretativa ed intuitiva, rispettando la singolarità di ogni situazione. Ecco perchè la procedura pedagogica può definirsi a ragione come disciplina ermeneutica-clinica, come già avviene per altre discipline ad essa affine.
Il lavoro pedagogico inteso in quest'ottica si centra sulle differenze individuali, sui problemi e sui bisogni educativi delle persone, progettando trattamenti di aiuto a misura di ciascuno o delle specifiche situazioni e allo stesso tempo organizzando interventi educativi individuali, ed orientati verso la singolarità dei casi.
Accennando ai bisogni educativi necessariamente il pensiero si dirige anche nella direzione dei soggetti che presentano patologie dello sviluppo ed anche qui, infatti, la pedagogia clinica risponde attraverso un approccio conoscitivo della patologia ma anche conoscitivo e prescrittivo dell'educazione speciale, pianificando interventi di aiuto adeguati alle realtà evolutive più complesse e problematiche, adottando uno stile clinico di natura empirica, individuale, ecologica, scientifica, differenziale, ermeneutica, progettata e sensibile alle differenze.
In sintesi la pedagogia clinica è definibile come scienza empirico-ermeneutica che osserva, descrive e teorizza i processi della formazione umana, studiando sia lo sviluppo umano, sia le condizioni dell'aiuto allo sviluppo (educazione), tenendo presente l'andamento evolutivo di quel soggetto e dei suoi bisogni educativi[52].
Molte, come abbiamo accennato, sono le discipline e le attività umane che si occupano di indagare la personalità umana al fine di conoscerla, curarla, descriverla e definirne i tratti, per cui, la scienza pedagogica dinamizza intense relazioni di scambio e di parziale sovrapposizione, che abbiamo definito relazioni trans-disciplinari mediante studi propri e studi di sintesi che fanno parte, anche se non in maniera esclusiva, della sua consapevole identità epistemologica, come, ad esempio, la fisiologia, la fisiatria, la neurologia, la psichiatria, la psicologia, l’etologia, il diritto, l’auxologia, ecc.
La pedagogia intesa come scienza dello sviluppo, ha comunque la sua specificità che riguarda il nocciolo centrale dell’educazione, ossia, lo sviluppo umano inteso in tutta la sua complessità, con i suoi cambiamenti organici e funzionali, la crescita, l’adattamento a nuove situazioni, il mutamento, ecc.
Una pedagogia questa, che lavora espressamente sullo sviluppo corporeo/biologico, motorio, emotivo, psicomotorio, affettivo, percettivo,intellettivo, linguistico e sociale, che, diversamente dalla psicologia (tesa ad inquadrare in maniera istantanea e fotografica le diverse funzioni umane), privilegia l’approccio diacronico, relativo ai mutamenti a ciò che cambia, all’andamento evolutivo del soggetto, attraverso uno sguardo ecologico, diretto cioè all’interezza dell’individuo.
L’approccio diacronico si intreccia poi con quello sincronico, realizzando una conoscenza integrata ed ecologica dello stato di maturazione di ciascun individuo in relazione all’evoluzione constatata nei diversi ambiti di funzioni (motricità, linguaggio, socialità, ecc.) ed alle condizioni di vita del soggetto, ricavando da questa lettura incrociata l’evento formativo dei casi singoli, che si presenta come un’articolata sintesi di questioni relative alle dinamiche di personalità, allo sviluppo di aree funzionali e alla loro reciproca correlazione[53]
La pedagogia clinica opera al fine di definire le tendenze evolutive umane nei diversi contesti di vita, accettando convergenze e contributi dalla psicologia sperimentale, l’etnologia, l’antropologia, al fine di elaborare un profilo evolutivo contestualizzato, che servirà come fondamento per redarre una diagnosi evolutiva clinica in grado di prendere in carico totalmente o almeno in parte lo sviluppo dei sistemi biologici, psicologici e delle capacità operative del soggetto. Con la raccolta dei dati (osservazione; tavole evolutive corporee, motorie, sociali, ecc.;narrazioni, colloqui…) e la stesura della diagnosi evolutiva clinica, la pedagogia come scienza dello sviluppo umano elabora  e controlla costantemente gli strumenti tecnologici più adeguati nel rilevare la complessità umana, attendibili da un punto di vista conoscitivo pedagogico[54].
La pedagogia clinica, consolidandosi come scienza dello sviluppo si occupa in definitiva di: acquisire solide conoscenze nell’ambito delle teorie generali dello sviluppo; valutare le tendenze evolutive nel contesto attraverso confronti con le tipicità dello sviluppo; effettuare diagnosi evolutive cliniche; elaborare ed acquisire strumenti di osservazione e diagnosi; prevedere l’andamento evolutivo di quel soggetto specifico. Dotata di autonomia disciplinare, la pedagogia clinica acquisisce allora un preciso statuto epistemologico munendosi  di oggetto di lavoro, scopi, metodi e relazioni disciplinari; i dati conoscitivi sono estrapolati sia dalle ricerche sul campo, quindi cliniche, sia dalle sintesi delle conoscenze elaborate da discipline similari.
La pedagogia intesa come scienza empirico ermeneutica che è chiamata ad impegnarsi sul campo, ha insomma un suo preciso ruolo: osservare, descrivere e teorizzare i processi di sviluppo integrato e totale dell’uomo, considerando le condizioni che lo agevolano e lo ostacolano in un confronto con l’andamento normale o tipico dello sviluppo.

Pedagogia clinica e scienze dell’educazione: l’aiuto allo sviluppo  
Il modo di pensare e condurre l’educazione nei diversi contesti è certamente mutato nel tempo poiché sono cambiate le sedi, le fonti, gli stili e gli scopi da raggiungere; oggi le moderne scienze dell’educazione individuano importanti fattori che contribuiscono in maniera rilevante ad aiutare lo sviluppo delle potenzialità umane in ogni aspetto e momento esistenziale. L’educazione presta attenzione quindi ai processi evolutivi, attraverso l’assunzione di concetti essenziali come: relazione d’aiuto, attenzione simultanea a tutte le aree di funzioni della personalità (ecologica), il carattere permanente (interesse per tutto l’arco della vita del soggetto), intenzionalità, sistematicità e la clinica.
Le scienze dell’educazione (con le sue diverse modalità di manifestarsi, le sue articolazioni trans-disciplinari, come psicologia, sociologia, filosofia, psicoterapia,ecc. e sub-disciplinari, come metodologia, didattica, docimologia, educazione speciale, ecc.) operano direttamente per l’educazione, innervando la pedagogia stessa di quei saperi empirici che le permettono di intervenire intenzionalmente nella formazione umana, attraverso l’aiuto allo sviluppo e collocandosi necessariamente in un deicato ambito di complessità.
Una pedagogia che è prospettica, conoscitiva e descrittiva, in sintesi progettuale, capace di promuovere studi, ricerche e veicolare esperienze, debordando dai confini tradizionali delle competenze solo scolastiche e relative all’infanzia. Nell’ambito della pedagogia clinica l’educazione diviene il principale vettore che consente di direzionare e canalizzare gli sforzi operativi nei confronti di soggetti di tutte le età: il bambino che cresce, l’adulto che cambia stato civile, culturale o professionale, l’anziano chiamato ad adattarsi a nuovi regimi di operatività o socialità. Ogni individuo affrontando un cambiamento, necessita spesso di un aiuto per riuscire a  sostenere il carico dello sforzo, per tollerare frustrazioni, delusioni, sconfitte, o per trovare gli stimoli necessari e le vie di uscita da una situazione ormai stagnante e priva di ogni aspettativa futura[55].
L’educazione modernamente intesa si occupa quindi di progetti formativi e progetti educativi inerenti il tempo libero, l’educazione permanente, l’orientamento e l’aggiornamento professionale e formativo, l’educazione familiare, la formazione sportiva, l’architettura e l’arredo di spazi sociali, il trattamento per tossico-dipendenze e devianze, ecc.
La pedagogia, lavora insomma su tutti gli ambiti dell’educazione e su ogni condizione che influenza l’andamento dello sviluppo/adattamento dell’individuo di ogni età, attraverso: osservazione e valutazione del comportamento e dell’apprendimento; strategie dell’apprendimento; tecnologie educative, come didattiche, progettazioni, sussidi, procedure, ecc; epistemologia generale, epistemologie disciplinari, educazione permanente, conduzione di servizi, mediazioni, trattamenti, formazione nei diversi ambiti.
In un’ottica clinica però, occorre sempre eleggere ad interlocutore la singolarità dei casi individuali, delle situazioni e degli ambienti, mantenendo stretta aderenza con le diverse specificità, così da progettare interventi educativi organici e sistematici, mirati ai bisogni ed alle necessarie strategie di aiuto attraverso la stesura di una adeguata diagnosi educativa clinica.  La pedagogia si munisce quindi, soprattutto in fase conoscitiva dello sviluppo umano, di adeguate tecnologie dell’educazione al fine di ricercare e teorizzare i modi dell’intervento pedagogico. Le varie tecnologie (strumenti di controllo, intervento e previsione) consentono di consolidare le risorse sia procedurali che strumentali, utili per la miglior resa dell’intervento educativo, fornendo un assetto tecnico che insiste su: metodo, didattica, curricolo, programmazione, valutazione/controllo, sussidi, organizzazione, sperimentazione.
Pur frammentandosi nelle diverse scienze dell’educazione e complessificandosi nelle discipline settoriali, la pedagogia riporta sempre a sé il risultato delle ricerche condotte nei diversi ambiti, garantendo fonti di scientificità per la costruzione della teoria dell’educazione, per la quale esiste dunque una fisionomia autentica[56] .
Come scienza dell’educazione, la pedagogia clinica si preoccupa allora di osservare, descrivere e teorizzare i processi di aiuto allo sviluppo umano, le condizioni che lo agevolano o lo ostacolano ed i progetti educativi, formulando attendibili diagnosi educative e progetti educativi ad hoc.
In sintesi, all’educazione, che si organizza in riferimento all’ampio ambito della formazione, oltre quindi il classico approccio che vede questo complesso processo proiettato negli spazi della trasmissione culturale o dell’addestramento, si addicono alcune importanti connotazioni che, come abbiamo visto, orientano le scelte pratico-operative del clinico. Occorre qui riassumerle per approfondire il discorso: individualità dei soggetti, dei problemi dei gruppi e delle situazioni, nel riscontro cioè con la persona singola o con quello specifico contesto; empiricità o immediatezza dell’approccio conoscitivo, diagnostico, valutativo, senza la quale non si accede alla dimensione propria e singola dell’individuo; ecologia intesa come assunzione della totalità del fenomeno formativo, di tutte le componenti della personalità, dei contesti, delle azioni dirette ed indirette, del curricolo formativo[57].
Questi tre elementi rappresentano la piattaforma fondamentale su cui si eleva l’intero edificio dell’educazione clinica che si interessa con sensibilità operativa alla soggettualità dei casi e delle situazioni, cercando indizi e tracce importanti per aiutare il miglior sviluppo possibile dei soggetti in formazione, con riferimento alla singolarità dei loro percorsi.
Le scienze dell’educazione, declinate in senso clinico pongono l’attenzione ai momenti più significativi della formazione umana del soggetto: diagnosi o conoscenza dei casi, individuazione dei bisogni/problemi e delle diversità, progettazione di interventi, controllo dei processi formativi. L’educazione come attività clinica è allora centrata sul qui ed ora, con soggetti particolari, in quella situazione, in presenza di queste precise figure, aderente cioè ai casi e ai bisogni di aiuto espressi.[58]
Concepire l’educazione in questi termini significa in definitiva valorizzare le differenze individuali, dei gruppi e delle situazioni, lavorando su di esse per esaltarle, sollecitarne la miglior esplicitazione o le opportunità di recupero a seconda delle situazioni, scartando quindi procedure e stili univoci uguali per tutti sempre e comunque, a favore invece di interventi individualizzati, dove il modello di riferimento è la diversità intesa come risorsa culturale e di competenza da sviluppare.
Si realizza così il progetto di un’educazione che, intesa in senso clinico, promuove un forte investimento conoscitivo-diagnostico, inteso come esaltazione della soggettualità adattando continuamente programmi, progetti ed interventi al fine di tutelare sempre le diversità, i talenti o le disabilità delle persone con cui siamo in relazione.
E’ in questo terreno, in cui i processi formativi si focalizzano passando dal generale al particolare, o meglio, alla singolarità e soggettualità, che l’educazione si attrezza per svolgere il proprio compito di individualità, empiricità ed ecologia, ossia di clinicità, calibrandosi come aiuto intenzionale e scientificamente orientato, recato ai processi evolutivi di ciascun individuo, in relazione a precisi bisogni soggettuali[59].
L’educazione si connota di nuovi tratti rispetto al passato, non riconoscendosi più come semplice trasmissione culturale ma come più complesso aiuto ai processi evolutivi, ossia come relazione di aiuto, orientandosi in senso ecologico a tutte le aree della personalità umana, prestando attenzione ai processi evolutivi individuali.
L’educazione intesa in senso clinico osserva le condizioni di ingresso di ciascuno ( è quindi diagnostica), rileva le tipicità e i disagi, va oltre l’omologazione ma tende all’individualità, è consapevole, progettata, dotata di tecnologia e controllata. L’educazione tende quindi a promuovere lo sviluppo integrato della personalità anziché selezionarla e si adatta all’individualità dei casi, centrandosi sul soggetto in maniera permanente, senza identificarsi solo con la scuola o con la famiglia, ma proiettandosi in sedi plurime, perseguendo fini assoluti (quindi astorici e assiologici)ed istituzionali, ossia in quel preciso contesto storico e culturale[60].  
 Le finalità dell’educazione clinica rientrano nell’ordine di competenze che si intende promuovere e che rendono possibile l’attività individuale, tenendo presente sia le competenze culturali che le competenze funzionali. Per competenze culturali si intendono i saperi, i linguaggi, le esperienze, le norme morali, il senso comune, civile, ecc., che tutte insieme realizzano la dimensione sapienziale dell’educazione. Per competenze funzionali, invece, si considerano quelle inerenti le funzioni della personalità, ossia, le capacità corporee e psicologiche che la costituiscono, quindi i movimenti, le emozioni, le percezioni, l’intelligenza, il linguaggio, ecc.
Integrando questi aspetti tra loro otteniamo lo stato evolutivo dell’individuo restituendo quindi il concetto di educazione come una totalità di parti che costituiscono un insieme organizzato ed omogeneo che abbiamo più volte definita ecologica; tutto questo comporta uno spostamento di posizione dell’impianto culturale che cede il posto di centralità  ai processi formativi mediante i quali il soggetto in educazione tende allo sviluppo delle proprie potenzialità, in relazione alle condizioni ambientali in cui vive[61].
Le scienze dell’educazione, interessandosi alla prospettiva dello sviluppo integrale della personalità, corrisponde ad una duplice valenza pedagogica: in senso etico come aderenza piena alla natura individuale e compita della persona; in senso integrato come indissolubilità dei vincoli tra le diverse aree che compongono l’uomo (schemi motori, psicomotori, emozioni, prestazioni intellettive, ecc.).
Ci poniamo così facendo ben lontani dal tradizionale modello dell’insegnamento inteso unicamente come trasmissione di valori e cultura, per assumere invece quello più moderno connesso ai processi formativi della personalità in ogni suo aspetto, intervenendo là dove l’uomo manifesti l’esigenza di adattarsi a nuove condizioni sociali o ambientali, oppure di apprendere comportamenti e capacità, anche culturali.
Le procedure educative sono così rivolte a sollecitare dinamiche affettive/motivazionali, ed intellettive, oppure attivare o sostenere, o ancora, ridurre o bloccare l’azione del soggetto, sempre al fine di favorire la realizzazione delle potenzialità individuali. L’educazione clinica fa proprio il concetto che vede nel processo di apprendimento la piena partecipazione cognitiva del soggetto, facendo assumere a questi il ruolo di protagonista nella costruzione del proprio sapere, sollecitando ed orientando i processi di metacognizione, ovvero, di imparare ad imparare, mediante strategie per migliorare il funzionamento mentale o il comportamento in genere, con un uso più efficace delle funzioni cognitive (memoria, logica, percezione) e l’autoregolazione nell’apprendimento[62].
La maturazione bio-psichica dell’individuo, geneticamente disposta e gli spontanei apprendimenti favoriti dall’ambiente, si combinano insieme la cui singolare sintesi è lo sviluppo umano, infatti, l’educazione genera ed orienta la formazione umana. Lo sviluppo e l’educazione rappresentano i due vettori di cambiamento che orientano il processo formativo all’interno del quale rimangono attive sia le tendenze evolutive dell’individuo, sia l’intervento educativo intenzionale. La formazione congiunge le spinte evolutive del soggetto che si forma con le molteplici indicazioni educative attivate a loro vantaggio, in modo da rendere la persona simultaneamente oggetto e soggetto, destinatario e protagonista della propria realizzazione personale. La formazione umana consiste nell’integrazione di processi[63] di sviluppo (intasi come maturazione ed apprendimenti spontanei nell’ambiente) con l’educazione (diretta ed indiretta). L’educazione si delinea allora come un vero e proprio processo di umanizzazione in quanto si svolge in direzione dell’intera organizzazione della personalità e quindi di tutte le funzioni bio-psichico-operanti dell’individuo, valido per condurre chiunque a raggiungere la più elevata forma di umanità consentitale dalle sue tipiche condizioni soggettive ed oggettive.[64]
Per questo non è sbagliato dire che l’educazione opera su tutte le strutture biologiche, psicologiche ed operative della personalità, soggetti all’influenza ambientale e, quindi, modificabili (educabili) perché non determinate compiutamente dal genotipo. L’aiuto a tali strutture e funzioni è quindi il suo oggetto di studio.
In altri termini, possiamo conferire alla pedagogia il senso della scienza dell’uomo, concepito come totalità e non sommatoria di parti a se stanti, affinché si agevoli il percorso di realizzazione dell’uomo, a patto che essa si munisca delle necessarie risorse scientifiche relative alle materie di “processi dello sviluppo” e di “processi educativi”, che le consentano di orientare, interpretare e conoscere il complesso delle variabili personali e ambientali, ritenute significative per l’andamento e la realizzazione del processo formativo[65].
In conclusione, dopo quanto affermato, possiamo riconoscere che lo scopo centrale dell’educazione, clinicamente intesa, resta quello di agevolare il migliore sviluppo della personalità umana, non di curare, controllare, misurare o condizionare ma di favorire la crescita armonica, integrata e totale della personalità nell’intero arco della vita affinché tutti possano autorealizzarsi in maniera compiuta e contribuire attivamente alla costruzione di un mondo umano in cui vivere, con gli altri, in condizioni sempre più soddisfacenti per tutti[66].





[1]    Cambi F., Orefice P., Ragazzini D., I saperi dell’educazione, La Nuova Italia, Scandicci, Firenze, 1995, pp. 3 e ss.
[2]    Per maggiri approfondimenti sulla complessità del sapere pedagogico, Cfr. Cambi F., Cives G., Fornaca R., Complessità, pedagogia critica, educazione democratica, La Nuova Italia, Scandicci, Firenze, 1995.
[3]             Cfr. Dewey J., Democrazia e Educazione, Sansoni, Firenze, 2004
[4]             Cfr. Gennari M., Trattato di pedagogia generale, Bompiani, Milano, 2006

[5]    Fabi A., La Valutazione dell'alunno, Armando, Roma, p. 97, 1966
[6]    Crispiani P., Pedagogia Clinica della Famiglia, Junior, Bergamo,pp. 46 e ss. 2008
[7]    Sul rapporto tra mente ed affetti, si sono soffermati diversi autori. Cfr. Mannucci A (a cura di)., L’emozione fra corpo e mente: educazione, comunicazione e metodologie, Del Cerro, Tirrena, Pisa, 2006; Mannucci A, Landi M., Collacchioni L., Per una pedagogia e una didattica delle emozioni, Del Cerro, Tirrenia, Pisa, 2006; Collacchioni L., Insegnare emozionando, emozionare insegnando, Del Cerro, Tirrenia, Pisa, 2006.
[8]    Bellatalla L., Genovesi G., Scienza dell'educazione. Questioni di fondo, Mondadori, Milano, 2006  pp. 75 e ss.
      [9]      Bellatalla L., Genovesi G, op cit, pp. 21 e ss.
[10]  Sul rapporto tra la pedagogia e le altre scienze che hanno come oggetto di studio l’uomo e il suo sviluppo,  si è soffermato (tra gli altri) Domenico Izzo; Cfr. Izzo D.,Manuale di Pedagogia Generale, ETS, Pisa 1997

[11]  Cfr. Dewey J., Le fonti di una scienze dell'educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1990
[12]  Cfr. Visalberghi A., Pedagogia e scienze dell’educazione, Oscar Saggi, Milano 2000
[13]  Frabboni F., Pinto Minerva F., Manuale di pedagogia generale, Laterza, Roma, Bari, 1999, pp. 57 e ss.
[14]  Frabboni F., Pinto Minerva F., op cit., p.58
[15]  Cfr. Cambi F., Manuale di Filosofia dell'Educazione, Laterza, Roma 2005
[16]  Massa R., Istituzioni di pedagogia e scienze dell’educazione, Laterza, Roma, 1997, pp. 5 e ss.
[17]  Pellerey M. Educare, Manuale di Pedagogia come scienza pratico-progettuale,,1999, pp. 61 e ss.
[18]  Scaglioso C., L'agire educativo: ragioni, contesti, teorie, G. Dalle Fratte, 1995. p. 107
[19]  Orefice P., Pedagogia, Editori Riuniti, Roma, 2006, pp. 5 e ss.
[20]  Orefice P., op. cit.,pp. 94 e ss.
[21]  Cfr. Geertz. C., Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna, 1988.
[22]  Per maggiori chiarimenti circa la differenza tra educazione intesa come trasmissione di saperi ed educazione come costruzione di conoscenze, Cfr. Cristiani P., Didattica Cognitivista, Armando, Roma, 2004  oppure Calvani A., (a cura di), Fondamenti di didattica, Carocci, Roma, 2007 
[23]  Per maggiori approfondimenti sulle Scienze dell’Educazione, Cfr. Cambi F., Le pedagogie del novecento, Leterza, Roma-Bari, 2005.
[24]  Sul rapporto tra pedagogia e scienze dell’educazione Cfr. Massa R., Istituzioni di pedagogia e scienze dell’educazione Laterza, Roma-Bari, 1997.
[25]  Orefice P., op. cit., pp. 18 e ss.
[26]  Sulla differenza tra educazione e formazione e la loro reciproca interdipendenza si sono soffermati diversi autori. Cfr. Cambi F., Introduzione alla filosofia dell’educazione, Laterza, Roma-Bari, 2008; Cambi F., Le pedagogie del novecento, Laterza, Roma-Bari, 2005; Frabboni F., Pinto Minerva F., Manuale di pedagogia generale, Laterza, Roma-Bari 1994, Massa R., Istituzioni di pedagogia e scienze dell’educazione, Laterza, Roma-Bari, 1997
[27]  L’approccio sistemico – relazionale è ben approfondito in un’ottica pedagogica nel testo di  Bassa Poropat M.T., Lauria F., Professione educatore, ETS, Pisa, 1998, pp. 66 e ss.
[28]  Van Den Berg J. H., Metabletica, Nijkerk, Callenbach,1967., pp. 131 e ss.
[29]  Demetrio D, Educatori di Professione, La Nuova Italia, Firenze, 1990, p. 36
[30]          Bonagura P., L’arte di invitare. Il dialogo come stile educativo, Ares, Milano, 1995, pp.19-20
[31]          Bonagura P., op cit., pag. 245
[32]          Demetrio D., Educatori di professione,op. cit., pag. 33
[33]        Cfr. Eibl-Eibsfeldt I., Dall’animale all’uomo. Le invarianti nell’evoluzione delle specie, Di Renzo, Roma,2005, p. 39
[34]          Postic. M., La relazione educativa. Oltre il rapporto maestro-scolaro, Armando, Roma, 1983, pp. 159-160.fr
[35]  Cfr. Benedetti B., La relazione educativa nel gruppo, Liguori, Napoli, 2003
[36]  Sull’importanza di un’educazione che consenta una crescita armonica del soggetto, inteso quest’ultimo come una totalità integrata e non come una sommatoria di parti a se stanti, si sono soffermati diversi autori. Cfr. Galanti M.A., Affetti ed empatia nella relazione educativa, Liguori, Napoli,2001.
[37]           Crispiani P., Pedagogia clinica. La pedagogia sul campo, tra scienza e professione, Junior , Bergamo,  2001,  p. 12
[38]   Massa R., op. cit.,pp. 582 e ss.
[39]          Cfr. Massa R (a cura di), La Clinica della Formazione. Un’esperienza di ricerca, Armando, Roma,  1993
[40]        Cfr. Riva M. G., L’abuso educativo, Unicopli, Milano 1995
[41]            Cfr. Massa R. Cerioli R., La Clinica della Formazione come pratica di consulenza e supervisione, IRRSAE Lombardia, Angeli, Milano, 1999
[42]  Cfr. Crispiani P.  Pedagogia clinica. La pedagogia sul campo, tra scienza e professione, Junior , Bergamo,  2001
[43]  Per approfondimenti sulla gestione delle relazioni nei diversi contesti, Cfr. Catarsi C. (a cura di), La relazione d’aiuto nella scuola e nei servizi socioeducativi, Del Cerro, Tirrenia, Pisa, 2004.
[44]  Sulla relazione d’aiuto, Cfr. Canevaro A., Chieregatti A., La relazione di aiuto, Carocci, Roma, 2001.
[45]  Cfr. Trisciuzzi L., La pedagogia clinica, Laterza, Bari, 2006
[46]  Crispiani P, Catia Giaconi, Diogene 2008. Manuale di diagnostica pedagogica. Junior, Bergamo, 2008, pp. 13 e ss.
[47]  Fabi A., Alcuni principi di tecnologia educativa, in  Innovazione e scuola, IRRSAE Marche, n. 1-4/1984.
[48]  Corsi M, Come pensare l'educazione, La Scuola, Brescia, 1986, pp. 103 e ss.,
[49]  Crispiani P., Pedagogia clinica. La pedagogia sul campo, tra scienza e professione, Junior, Bergamo, 2001, pp.39 e ss.
[50]  Sulle relazioni disciplinari della pedagogia cfr. De Giacinto S., Educazione come sistema, La Scuola, Brescia, 1977
[51]  Crispiani P., op. cit., pp. 124, 125.
[52]  Crispiani P., op. cit., pp. 125,126.
[53]  Per maggiori approfondimenti relativi agli aspetti sincronici e diacronici della pedagogia e alle differenze operative rispetto alla psicologia, Crispiani P., op. cit, p. 127
[54]  per gli aspetti diagnostici si vedano Bollea G., La selezione scolastica, in Infanzia anormale, n. 6/1954, pp. 219, 227 e Cervellati L., La selezione dei minorati psichici dal punto di vista pedagogico, in Infanzia anormale, n. 6/1954; Zavalloni R., La psicologia clinica nell’educazione, La Scuola, Brescia, 1972, pp. 30,31.
[55]  Cfr. Crispiani P., Giaconi Catia, Hermes 2008, Junior, Azzano S. Paolo (BG) 2007.
[56]  Crispiani P., op. cit., p. 133.
[57]  Sul concetto di ecologia, Cfr. Meazzini P., trattato teorico-pratico di terapia del comportamento, ERIP, Pordenone, 1984
[58]  Damiano E., Insegnare con i concetti, SEI, Torino,1994, pp. 11 e ss.
[59]  Corsi M., Come pensare l’educazione, La Scuola, Brescia, 1997, pp. 11 e ss.
[60]    Crispiani P., op cit, p. 117.
[61]  Per maggiori approfondimenti circa il rapporto cultura/processi formativi Cfr. Mialaret G., Introduzione alla pedagogia, Paris, 1964, 1967, Armando, Roma, 1970.
[62]  Cfr. Fabbri D., Montesano, Munari A., Il conoscere del sapere. Complessità e psicologia culturale, in Bocchi G., Ceruti M. (a cura di), Feltrinelli, Milano, 1985.
[63]  Fabi A., Alcuni principi di tecnologia educativa, in Innovazione scuola, IIRSAE Marche, n. 1, 4/1984
[64]  Pieretti A., in L’educazione come processo di umanizzazione, in Annali della P.I, n.1/1990, pp. 14,25
[65]  Corsi M., op. cit., pp. 87 e ss.
[66]  Crispiani P., Op cit., pp. 112, 113.

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